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Nuovo accordo sul clima, compromesso con gli Usa

Montreal: cielo più blu che a Kyoto

Mano tesa da Washington per il controllo dell’inquinamento. Ma nessuna ufficializzazione

di Antonio Picasso - 12 dicembre 2005

Accordo di minima, ma meglio di niente. La conferenza delle Nazioni Unite di Montreal sul cambio climatico, iniziata il 28 novembre e proseguita fino al termine della scorsa settimana, ha raggiunto un compromesso. Un colpo al cerchio e uno alla botte, che soddisfa sia i firmatari del precedente Protocollo di Kyoto, sia chi a quest’ultimo non aveva aderito. Vale a dire, rispettivamente, Europa, Giappone e Canada da una parte, e Stati Uniti dall’altra. E i riflettori erano puntati proprio sulla delegazione americana e sulle scelte che essa avrebbe adottato. Vista la nota contrarietà dell’amministrazione Bush a rispettare un accordo tanto dispendioso.

Il Protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997 da 141 Paese, di cui 39 industrializzati, è entrato in vigore nel febbraio di quest’anno. Il trattato prevede una serie di complessi meccanismi, finalizzati alla riduzione dei sei specifici gas prodotti dalle attività industriali, che provocano l’effetto serra e quindi surriscaldano l’atmosfera: anidride carbonica, metano, protossido d’azoto, fluoroclorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo. Gas sparsi nell’aria da ciminiere, tubi di scappamento delle automobili, terreni agricoli e allevamenti zootecnici. La situazione ambientale, a cui si è giunti negli ultimi decenni, è preoccupante. L’80% delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, prodotta da due secoli di attività industriale, si è concentrato dal 1945 a oggi. E i cinque anni più caldi si sono avuti dopo il 1998. Gli analisti, inoltre, associano all’inquinamento le evidenti variazioni climatiche e non ultimo, l’aumento di tifoni e uragani. Vedi Katrina e gli altri successivi, tutti concentrati nella zona del Golfo del Messico. Certo, le decisioni prese a Kyoto, e solo parzialmente confermate a Montreal, non sono facili da realizzare. E peseranno notevolmente sulle economie nazionali. Perché allontanarsi da una soglia intollerabile di inquinamento significa spese. Tuttavia, poche sarebbero le alternative.

Durante il vertice canadese, allora, l’attenzione era focalizzata unicamente sulla posizione degli Usa e su un’eventuale loro apertura. Una necessità, questa, per sbloccare le trattative. Washington, infatti, è responsabile del 25% delle emissioni di gas in tutto il mondo. Di conseguenza, una mano tesa degli Usa potrebbe far sperare in un’altrettanta disponibilità al dialogo da parte dei grandi Paesi in via di sviluppo, Cina e India in particolare, le quali non sono tenute al rispetto dei vincoli di Kyoto e le cui emissioni sono la vera fonte di preoccupazione per la comunità internazionale. Società dove l’industrializzazione è solo all’inizio, del resto, prestano meno attenzione ai problemi ambientali.

A questo punto, la mano tesa degli americana c’è stata. Dopo le pressioni della presidenza canadese al summit, infatti, i rappresentanti di Washington hanno scelto di non fare ostruzionismo al dialogo in corso sulla realizzazione del progetto. Ma soprattutto di non imporre il proprio veto. Questo significa che il protocollo seguirà l’iter stabilito fino al 2012. L’Amministrazione americana ha accettato, così, di iniziare a parlare della lotta al surriscaldamento della terra, priorità per molti governi.

Un’apertura significativa, ma raggiunta a una condizione. L’assenza, almeno per il momento, di un calendario preciso di colloqui. Verrà, quindi, rispettato l’impegno di costituire quattro commissioni di studio entro il dicembre 2007. Tuttavia, si tratta di decisioni informali. Questo lo scotto pagato dalle Nazioni Unite al governo americano. In pratica, tutti d’accordo, ma nessuna ufficializzazione dell’accordo stesso.

Un’operazione duplice, quella americana. Perché, da un lato, gli Usa hanno scampato il pericolo di trovarsi invischiati in un nuovo trattato a loro svantaggioso e che non vogliono rispettare. Dall’altro, si sono affidati alla cooperazione con il resto del mondo per discutere finalmente di inquinamento. È stato l’uragano Katrina, allora, e con esso i successivi disastri vissuti da New Orleans, a spingere l’amministrazione Bush verso questa posizione di appeasement? Non è da escludere. Washington si è resa conto dell’urgenza di intervento per evitare altri cataclismi. Ed è corsa subito ai ripari.

D’altra parte, nonostante persistano le incertezze, e forse pure le diffidenza, sulla linea statunitense, il ministro dell’Ambiente canadese, Stephane Dion, ha voluto sottolineare l’importanza storica della conferenza. “Una grande vittoria per la comunità internazionale”, ha detto Dion. Forse ha esagerato, ma certo un passo avanti è stato compiuto.

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