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Finanziaria passa a colpi di fiducia del governo

Mille emendamenti e nulla di nuovo

Un profondo malessere attraversa l'Esecutivo e la maggioranza. Ma quanto durerà?

di Alessandra Servidori - 13 novembre 2006

Ogni giorno ha le sue pene ed evidenzia, purtroppo, quanto la politica vive nel presente. È quindi poco attenta al futuro (anche a quello prossimo) e si dimentica presto del passato, anche recente. Se andassimo a ripercorre la sequenza storica delle leggi finanziarie, finiremmo per imbatterci più o meno nelle medesime vicende: migliaia di emendamenti, maggioranza nel caos, Governo occupato a difendersi dall"assalto alla diligenza, opposizione in allarme. Poi, come d"incanto, sotto Natale tutto si ricompone, magari a colpi di voti di fiducia. Capita persino che un ministro dell"Economia come Tommaso Padoa Schioppa elogi la manovra di bilancio del suo predecessore (appartenente ad un differente schieramento) a suo tempo fieramente avversata dalla minoranza di prima, divenuta ora maggioranza. Anche stavolta, dunque, è il “teatrino della politica” a dominare la scena ? Sono certamente presenti elementi strumentali di lotta politica, ma la situazione è molto più complessa, i dissensi sono molto diffusi, anche in strati sociali che l"Esecutivo pensava di aver tutelato. Ha ragione, dunque, Prodi ad affermare che, se una Finanziaria è contrastata da tutti, ciò significa che essa va bene ? Oppure le cose andranno come dice Massimo D"Alema, secondo il quale, a gennaio, gli italiani, una volta riscossa la busta paga, si riconcilieranno con il Governo ? Purtroppo, la realtà ha un"altra opinione. A fianco del Governo e della maggioranza sono schierate solo le confederazioni dei lavoratori, le quali, non esitano a presentare il conto per il loro appoggio, come hanno fatto, con tanta disinvoltura, col rinnovo dei contratti pubblici, precipitandosi a garantire gli ultragarantiti proprio nel giorno in cui l"ultrasinistra manifestava “contro il precariato”. Preoccupa soprattutto lo sfarinamento del quadro politico. Sul decreto per il trasferimento del tfr alla previdenza complementare, il Governo ha recuperato il consenso dei sindacati, ma ha perso per strada un pezzo di maggioranza. Cgil, Cisl e Uil avevano protestato, nei giorni scorsi, contro alcune modifiche operative introdotte dall"Esecutivo. Modificando l"impianto precedente, il Governo aveva stabilito che, ad erogare la liquidazione ai lavoratori (nelle aziende di cinquanta e più dipendenti, tenute a versare, come vedremo, all"Istituto previdenziale i ratei di trattamento di fine rapporto maturati dal prossimo primo gennaio), fossero tanto il datore quanto l"Inps, ciascuno per la propria quota. I sindacati hanno chiesto ed ottenuto che, a liquidare il trattamento, fosse un interlocutore unico (non è ancora ben chiaro se il compito toccherà all"azienda o all"Ente). A fare notizia, però, è stato il voto contrario, in Consiglio dei ministri, di Paolo Ferrero, il titolare del Dicastero della Solidarietà sociale per conto del Prc, il quale ha giustificato il proprio dissenso nei confronti di un provvedimento che, a suo dire, è troppo simile a quello prefigurato dalla riforma Maroni. La posizione del ministro cade a sorpresa ed evidenzia un malessere profondo che attraversa l"Esecutivo e la maggioranza. Nella stessa riunione del Gabinetto ministeriale, vi sono stati dei voti contrari sul Mose, un"opera pubblica essenziale per impedire che la città di Venezia (una delle “meraviglie” del mondo) finisca definitivamente a bagnomaria. Nel caso del tfr, il ministro Roberto Maroni aveva condotto un lungo negoziato con tutti i soggetti interessati (i quali si erano uniti all"insegna di un “avviso comune”), arrivando a varare un decreto legislativo largamente condiviso, in particolare dalle parti sociali. Il rinvio della decorrenza al 2008 era dipeso da contrasti emersi all"interno del Governo Berlusconi. Certo, il provvedimento di Maroni non prevedeva la “nazionalizzazione” del tfr a favore dell"Inps; ma era stato il Governo di centro sinistra a compiere tale scelta e a modificarla nel giro di pochi giorni, senza che il ministro Ferrero trovasse - a quanto è dato sapere - alcunché da ridire. La presa di posizione del ministro neo comunista non è altro, dunque, che una manifestazione di ostilità politica e culturale - in nome di un presunto primato etico dello statalismo - nei confronti di un sistema pensionistico a due pilastri: uno pubblico a ripartizione,l"altro privato a capitalizzazione. Sembra, poi, insanabile il contrasto con il “partito dei sindaci” (si può dire ancora così ?). L"ultima trovata è quella della tassa di soggiorno differenziata a seconda delle dimensioni della città. Così, il Governo si è messo contro persino le categorie degli operatori turistici. C’è da dire che però ha accontentato( si fa per dire!) la Senatrice Montalcini e ha fatto finta di ripristinare alcune risorse per la ricerca scientifica, poi rivelatesi davvero una miseria. Intanto Romano Prodi esterna, esterna, esterna, contaminato da una vaga sindrome cossighiana. Ma si sa, la coperta quando la tiri da una parte la scopri dall’altra, e la storia si ripete.

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