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Un editoriale di storia ricco di “se” e di “ma”

Mielismo: una grande lezione di vita

Quanto accaduto dal 9 aprile dimostra che l’Italia è sempre la stessa dal 1945

di Antonio Gesualdi - 11 maggio 2006

Evento fausto (non nel senso di Bertinotti) l"elezione di Napolitano (non nel senso di meridionale). Così lo schierato direttore del Corriere della Sera commenta l"elezione al Quirinale di un comunista "migliorista". Già. Paolo Mieli, giornalista e storico, ha speso decenni della propria vita professionale a spiegare che gli opposti ideologismi erano superabili, antistorici. E come quasi sempre accade in Italia la sinistra su questo dibattito si è spesa. A Roma c"è un sindaco "comunista" che dedica una via proprio ad uno dei maestri di Mieli, lo storico Renzo De Felice. Chissà se è la sinistra ad aver capito qualcosa del mielismo o il mielismo (inteso come sinonimo di un certo terzismo, non di un certo giornalismo) ad aver capito qualcosa di sinistra.
Ma la lezione di Mieli non è passata a destra. La destra italiana pur sdoganata da Berlusconi, pur strattonata da Fini, pur suggestionata da Ferrara, pur turbata da Follini non ha capito il mielismo. E non capendo il mielismo – o un certo terzismo – questa destra non poteva votare D"Alema.
Sgomberiamo il campo dalle fregnacce sull"uomo di parte. Alla Camera, la volta scorsa, c"era Pierferdinando Casini, leader dell"Udc. Oggi c"è Bertinotti, leader di Rifondazione comunista. Ieri al Senato c"era Pera oggi c"è Marini. Dunque le alte e rappresentative cariche dello Stato sono ad appannaggio politico. Al Quirinale ieri c"era Ciampi suo malgrado garante della transizione – espressione della crisi degli anni novanta, prima come Presidente del Consiglio e poi come Presidente della Repubblica mai stato eletto in Parlamento –. Oggi al Quirinale c"è un politico che ha fatto politica così come accadeva fino all"altro ieri. E oggi Paolo Mieli scrive un editoriale di storia con tanti "se" e tanti "ma". Dice, in sostanza, che se il Pci avesse avuto Napolitano come segretario e non Berlinguer e avesse seguito la strada "migliorista" oggi avremmo avuto D"Alema quale terzo presidente "socialista dopo Giuseppe Saragat e Sandro Pertini". Cosa che è politica e non storia. E", appunto, mielismo e neppure terzismo.
Sgomberiamo il campo anche dalle dietrologie: D"Alema è stato battuto dall"accordo spurio tra la finanza cattolombarda filo Margherita e l"azionismo anti-comunista, ma anche anti-berlusconista, che pur avendo bisogno della pacificazione delle anime antropologiche del Paese, alla fine dei conti, ci guadagnano di più nell"avere governi deboli e forze politiche inconsistenti. Visto che pure i poteri forti, tanto forti non sono e quattro furbetti del quartierino possono pure preoccuparli. D"Alema, ad un eventuale crollo del governo Prodi, non scioglierebbe il Parlamento. Anche qui tanti "se" e tanti "ma".
Rispetto al mielismo è la destra che manca all"appello. Berlusconi ha dovuto rifare tutta una campagna elettorale estenuante sui bambini bolliti dai comunisti. Fini e Casini, per affinità di età, ma anche per grossi guai che hanno nei loro rispettivi partiti, tentano l"autonomia da Berlusconi, ma non se lo possono permettere. L"Udc è forte solo in Sicilia e in Veneto. Alleanza Nazionale non riesce ancora a rappresentare il Nord. Hanno sempre bisogno di Forza Italia. Ma Forza Italia se vuole vincere anche nel Nordest, non può fare a meno della Lega Nord autonomista e anti-comunista. Non c"è un mielismo di destra ecco perché anche il più grande quotidiano nazionale, gioco forza, si ritrova a sinistra. So’ ragazzi, pure in via Solferino!
Di fatto l"Italia non è poi così cambiata come si vuol far credere dai divani televisivi e neanche più dalle sfilacciate cattedre universitarie e neppure dai più autorevoli editorialisti. L"Italia è la stessa di Giorgio Napolitano di quando aveva (già) vent"anni nel 1945. Il Paese è uscito spaccato dalle urne (anche se questa questione è tutta da precisare) come quando ha deciso di diventare una Repubblica. Ma fu solo per poco che non restò un Paese monarchico. Oggi ha vinto Prodi, ma per poco non vinceva Berlusconi.
Come allora, per sanare le spaccature, fu scelto come primo Presidente della Repubblica un "monarchico", perché Enrico De Nicola tale era: liberale, monarchico e napoletano. Così oggi, per sanare le spaccature, tra il Nord che sta col centro-destra e il Centro-Sud che sta col centro-sinistra, il Paese sceglie un Presidente "migliorista" che, appunto, come scrive Mieli, fa rima con "comunista". Ma fa solo rima. La storia ci dice che i comunisti non hanno mai scelto, per se stessi, un segretario "migliorista", anzi.
E anche Paolo Mieli sa che è così e - con tanti "se" e tanti "ma" - si accontenta.

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