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Bunga bunga al Colle? Il miraggio svanito

Meno male che Giorgio c’è

Ma sono veramente i “puritani”(e i magistrati)ad aver interrotto la carriera del Cavaliere?

di Elio Di Caprio - 16 febbraio 2011

Mancava allo sfrontato e ironico lessico italiano l’importazione del bunga-bunga, la nuova espressione ammiccante che è già diventata linguaggio corrente in Italia ed all’estero. Lo dobbiamo non ad una battuta da avanspettacolo, ma alle vicende private del nostro Presidente del Consiglio, quello delle pacche sulle spalle con cui accompagna la strategia del sorriso per ottenere empatia e condivisione ai livelli più alti- almeno così si dice- con capi di Stato e di governo. Sostanza o immagine? Pubblico o privato? E l’etica è un concetto privato o pubblico? E’ un rovello irrisolvibile quando viene meno, come in questo caso, il senso della misura che rappresenta la prima condizione di ogni educazione, individuale o collettiva che sia.

Certo è vero che la misura nei comportamenti è diversamente valutata e giudicata a seconda dei tempi- e sappiamo bene quelli in cui viviamo- è appunto una misura. Ma possiamo mai dire che noi in Italia siamo l’eccezione, viviamo in un periodo così felicemente smisurato da fare a meno di limiti e principii? La polemica recente tra (presunti) puritani e (presunti)liberi o libertari la dice lunga sulle deviazioni profonde che ha prodotto e ancora produce una propaganda martellante che non si accontenta più di dividerci tra berlusconiani e antiberlusconiani, ma va oltre e divide antropologicamente gli italiani non diciamo tra buoni e cattivi, ma tra bacchettoni e moderni, tra chi spia dal buco della serratura con l’aiuto di magistrati e giornalisti e chi invece ritiene che l’uomo pubblico non debba avere alcun obbligo di misura nella sua sacrosanta libertà.

Ma quando finirà il tempo di Berlusconi cosa resterà dei promotori di questa incredibile faziosità armata che tenta di coinvolgerci tutti? Con chi ce la prenderemo? Ancora con la donna oggetto che a sua volta fa diventare l’uomo oggetto? Non con i giovani ma con i loro genitori che hanno male interpretato il sommovimento culturale (ma non antropologico) della contestazione del ’68 e hanno creato le premesse della decadenza dei costumi? Sono stati buoni profeti Francois Furet in Francia e Augusto del Noce in Italia a prevedere già negli anni ’90 che dopo la fine dei miti ideologici e in mancanza di remore di ordine religioso, si sarebbe passati nelle società occidentali dalla contestazione globale al disimpegno politico e all’individualismo estremo.

E’ una riflessione che fa capire molto meglio di tante altre perché siamo arrivati a questo punto, il perché quel clima del ’68 (tradito?), in cui si proclamava che ogni privato è pubblico – e guai a chi di non era d’accordo! - ha prodotto nell’arco di quaranta anni, da noi più che in altri Paesi il suo contrario, ha aperto le porte all’individualismo più sfrenato, al privato che non è mai pubblico anche se vissuto e rappresentato da un Presidente del Consiglio che dovrebbe tutti rappresentarci. Potevamo aspettarci come conseguenza di questa nemesi del ‘68 il berlusconismo e il bunga bunga, quest’ultimo anch’esso espressione ridanciana di un consumismo che ha invaso la sfera sessuale?

Certamente no, viste le differenze con ciò che succede negli altri Paesi. Ma non c’è solo l’ennesimo conflitto politica-magistratura nelle cronache politiche del nostro Paese. Mai avremmo pensato, ad esempio, che la destra italiana si riducesse a difendere l’ultimo Berlusconi in un improbabile “ridotto della Valtellina” giudiziaria, così come mai avremmo pensato che la sinistra attuale dichiarasse apertamente che l’ordine è un valore o che bisogna salvaguardare la dignità della nazione italiana ferita dagli scandali del Cavaliere. Per scuotere l’indifferenza generale al clima di decadenza sono dovute tornare in piazza le femmine e le femministe, ma questa volta per un ‘68 nazionale contro il maschio Berlusconi, facile simbolo e bersaglio nell’atmosfera da basso impero che avvolge le ultime vicende personali del Premier.

Siamo arrivati ai dubbi aizzati dalla propaganda su chi è più libero e sessantottino tra lo sfrontato e gaudente Berlusconi che tratta da bacchettone le sue contestatrici o l’universo femminile che profitta dell’occasione per rivendicare non solo l’immagine ma i diritti delle donne che in questi quaranta anni non sono stati pienamente riconosciuti, nonostante appunto il ’68. Ma i maschi, i soliti maschi italiani, che fine faranno una volta che sarà tramontata questa stagione chiamata per comodità del berlusconismo, ma che nel Cavaliere ha trovato più un maldestro interprete che il rappresentante?

Per nostra fortuna non c’è solo Silvio Berlusconi a rappresentarci anche se il suo nome sta diventando un’ossessione per i tanti che ne parlano e ne scrivono, in Italia e all’estero. Per un’involontaria preveggenza dei parlamentari che l’hanno eletto ( il popolo in questo caso non c’entra niente…) abbiamo in carica un Capo dello Stato come Giorgio Napolitano, un ex comunista con tanti errori politici (riconosciuti) alle spalle, l’unico che però riesce a darci nei suoi comportamenti pubblici e privati un senso della misura in tempi che ci vogliono costringere a considerare smisurati in nome della libertà individuale.

E’ lo stesso Napolitano contestato anni fa dai sessantottini come prototipo di una nomenklatura comunista irremidiabilmente sulla via del decadimento e dell’imborghesimento.

Chi l’avrebbe mai detto che ci sarebbe tornato comodo proprio un borghese ex comunista come Giorgio Napolitano, divenuto l’unico Presidente con la P maiuscola rispetto ai tanti altri “presidenti” emersi nel garbuglio della Seconda Repubblica, se non altro come garanzia che il clima del bunga-bunga mai arriverà sul Colle?

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