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L'Italia e le tasse

Meglio Dolce e Gabbana

La vicenda del ministro olimpionico e quella dei due stilisti: due casi esemplare dell'inferno fiscale italiano.

di Davide Giacalone - 24 giugno 2013

Mi sta più a cuore la coppia Dolge & Gabbana che non quella Guerrini & Idem. Sto parlando di fisco, a scanso d’equivoci. La prima dimostra come il satanismo fiscale distrugga il tessuto produttivo. La seconda riassume il decadimento morale indotto dall’ipocrisia fiscale. Due vicende istruttive, a patto di capire in cosa consiste la lezione.

I due protagonisti della moda si sono beccati una condanna a 1 anno e 8 mesi di carcere (in primo grado, appelleranno, e, comunque, essendo incensurati beneficiano della condizionale), riconosciuti colpevoli di avere evaso il fisco per circa 1 miliardo di euro. Più 500 milioni, quale provvisionale all’Agenzia delle entrate. La cosa non riguarda solo loro, ma l’intero sistema produttivo. Riassumo velocemente: crearono il marchio possedendone ciascuno il 50%, quali persone fisiche; evidentemente non avevano immaginato lo strepitoso successo cui andavano incontro (buon per loro, ma anche buon per l’Italia); nel 2004 vendono lo sfruttamento del marchio a una società lussemburghese appositamente costituita, incassando 360 milioni, sui quali pagano le tasse. Il fisco eccepisce: non lo avete, come avevate sostenuto, per concentrare in modo razionale la vostra operatività, lo avete fatto per approfittare del fatto che in Lussemburgo si pagano meno tasse. Già questo non lo trovo disdicevole. Quanto meno? Occhio alla parte succosa della sentenza: il vantaggio, secondo il tribunale, è dato dalla differenza fra l’aliquota italiana del 37% e quella lussemburghese del 4%. A voler credere nella fondatezza della sentenza, il vero crimine consiste nel tollerare inerti che, all’interno dell’Unione europea, possono esistere differenze di 33 punti percentuali nella tassazione della medesima cosa.

Mi dite come si fa a essere competitivi, dati questi abissi di differenziali fiscali? Non so quale sarà l’esito futuro della causa, so, però, due cose: a. i signori Dolce e Gabbana hanno commesso un errore, consistente nel non trasferire la propria residenza fisica assieme a quella del loro marchio, ciò perché l’inferno fiscale nostrano sollecita alla fuga; b. se la giustizia continuerà a dare loro torto sarà la dimostrazione che l’Italia ha scelto la via del suicidio fiscale, propiziante la desertificazione produttiva.

Questa sentenza dovrebbe trovarsi sul tavolo del presidente del Consiglio, suggerendogli un ottimo motivo per cambiare nettamente direzione di marcia. Io resto europeista, sicché m’indigna in fatto che, in queste condizioni, si moltiplicano le buone ragioni per far saltare tutto. Un’ultima osservazione: mettiamo che i marchi fossero restati in Italia e che qualcuno avesse avviato attività a loro danno (ipotesi concretissima, perché la merce falsificata con il marchio D&G la trovate sia fuori dal tribunale che fuori dal Parlamento, sul marciapiede), e mettiamo che i due rei si fossero rivolti alla giustizia per essere protetti, sapete cosa a cosa sarebbero andati incontro? Alla derisione e a dieci anni d’inutile processo. Per condannarli, invece, si fece prima.

L’altra coppia, Guerrini & Idem, è l’incarnazione di un prodotto italiano: i coniugi con residenza in posti diversi. Siamo un fenomeno, nel mondo. Capita, eccome, che si abbiano attività che portano a lavorare in città diverse, ma capita solo qui che avendole nella stessa città si risieda in due case diverse. Incompatibilità notturna? Ma va là: sollecitazione fiscale. E’ il fisco ad avere creato questo fenomeno, con la demente modalità di tassazione degli immobili. A nessuno capita a sua insaputa, o per distrazione, ma per razionale scelta. Sopra questa ipocrisia (che non è né reato né evasione) il ministro Idem ne ha sommata un’altra, risiedendo in palestra. E questa è evasione brutta, perché comporta concorrenza sleale nei confronti di altre palestre, ove non sia venuto in mente di farci risiedere qualcuno.

Ma il bello arriva quando si scopre che il ministro non solo faceva da testimonial per le campagne contro l’evasione, non solo cianciava come tanti contro gli evasori, ma ora dice “mi assumo le responsabilità”, supponendo che consista nel pagare il dovuto (quello è un obbligo che prescinde dall’assunzione). Invece dovrebbe dire: ho capito che tutti consideriamo evasori gli altri mentre non solo perdoniamo le nostre evasioni, ma le consideriamo un diritto, appositamente propiziato da professionisti che paghiamo apposta perché ci aiutino in tal senso. Invece no, ha preferito coniugare ipocrisia e viltà. Ci manca solo che nell’armadio abbia anche qualche falso Dolge&Gabbana. Che confermo essere, fra le due, la mia coppia preferita.

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