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Meglio Cacciari a Venezia, per risolvere i dilemmi nazionali del centrosinistra

I riformisti devono guardare ad una nuova stagione politica

di Enrico Cisnetto - 15 aprile 2005

Mario Monti o Fausto Bertinotti? Meglio Massimo Cacciari. Dietro la disputa sul nome del prossimo ministro dell’Economia – forse un tantino prematura e persino malaugurante per i recenti vincitori delle Regionali – si nasconde il vero dilemma del centro-sinistra: riformista o radicale? Per questo, pur tifando ovviamente per l’ex commissario Ue, ho indicato il nome dell’ex sindaco di Venezia – che speriamo torni ad esserlo domenica: se io fossi un cittadino veneziano lo voterei, specie se al primo turno avessi scelto centro-destra o mi fossi astenuto – in quanto oggi rappresenta coloro che nell’Unione hanno deciso di andare fino in fondo, senza mediare l’incomponibile. Perché è del tutto evidente, non solo alla luce dell’esperienza della scorsa legislatura ma soprattutto di fronte alla gravità delle scelte che il Paese deve fare in materia di economia reale e di finanza pubblica, che la posizione liberale di Monti non è per nulla compatibile con quella massimalista di Bertinotti e dell’intera area radicale del centro-sinistra (correntone Ds compreso, si veda il secco no al professore della Bocconi espresso da Cesare Salvi). Ha un bel dire il mio amico Pierluigi Bersani che “in corso d’opera si aggiusta tutto”: è vero che con questa legge elettorale per vincere occorre trasformare le coalizioni in un’arca di Noè dove imbarcare gente di tutte le specie, ma è dimostrato ormai statisticamente che dopo, al momento di governare, se ne paga puntualmente il prezzo. Tanto più questo rischia di accadere al centro-sinistra che, senza ancora un programma, sta già dando per scontato di dover affrontare, in quanto vincitore al prossimo giro elettorale, una stagione in cui tutti i nodi del declino strutturale stanno venendo al pettine. Oggi è comodo sfruttare il “cartellino giallo” di Bruxelles per il deficit eccessivo o la tirata d’orecchie della Corte dei Conti, del Fondo Monetario e dell’Ocse, che chiedono misure non congiunturali. Ma domani la stagnazione permanente – siamo al quinto anno consecutivo, la media quinquennio sarà un miserabile +0,9% – il rapporto deficit-pil che nel 2006 starà tra il 4,6% (previsione Ue) e il 6% (nel caso di linea dura da parte di Eurostat), le difficoltà di Fiat piuttosto che di Alitalia e la crisi nera dei settori del manifatturiero tradizionale (tessile-abbigliamento, scarpe, occhiali, piastrelle, legno, oreficeria, ecc.) saranno altrettante gatte da pelare per chi sarà al governo. Eppure, di fronte ad un agenda di problemi già scritta, la tendenza dell’attuale opposizione non è quella di chiarire al proprio interno e di comunicare quali soluzioni s’intenderà adottare una volta riguadagnato Palazzo Chigi. Con il rischio, per non dire certezza, di ripetere gli errori degli scorsi governi di centro-sinistra (per esempio, privatizzare al solo scopo di far cassa) oppure di cedere alla logica del compromesso a tutti i costi, che vista la distanza delle posizioni non può che tradursi in immobilismo. E’ facile maramaldeggiare con il centro-destra – non fosse altro per la mostruosa mole di errori che ha commesso, a cominciare dall’insana idea di negare il declino e ostentare irritante ottimismo – così come è semplice acquisire governatori regionali promettendo agli italiani di abolire o di non istituire i ticket sanitari, senza ovviamente porsi il problema di chi paga. Molto meno agevole, invece, è “trovare la quadra” di istanze e opzioni culturali prima ancora che politiche tra loro opposte. Per questo, va apprezzata la scelta di Cacciari di gareggiare anche contro il candidato (irrituale) dell’altra sinistra, ma soprattutto di aver detto con chiarezza che se batterà Felice Casson la sua giunta comunale vedrà l’esclusione di Rifondazione Comunista e dei Verdi. Non solo. L’indicazione che dai riformisti del centro-destra è venuta in questi giorni a suo favore (ieri il ministro Alemanno, per esempio) e l’appello al voto del presidente degli industriali veneziani Paolo Scaroni (che non può che tradursi in un aiuto a Cacciari), sono segnali del fatto che il voto a Venezia e il suo esito possono segnare l’inizio di una nuova stagione politica. Dal declino si esce solo con un programma di modernizzazione della struttura sociale (welfare) ed economica (profilo del capitalismo) del Paese, che significa un nuovo modello di sviluppo e un nuovo patto sociale che lo supporti. E per riuscire in un’impresa del genere occorrono una forza e una coesione che necessita radici ben più solide di una vittoria elettorale nata dalla pochezza altrui. Se il centro-destra ha fallito, il centro-sinistra eviti di imitarlo.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.