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Public Policy

Su Ue, Usa e Russia

Matteo batti un colpo

Stiamo tornando alla contrapposizione Est-Ovest? E la sfida di Renzi all'Europa è reale o solo tattica?

di Enrico Cisnetto - 07 marzo 2014

Prima domanda: la decisione della Commissione europea di metterci tra i “sorvegliati speciali” è un commissariamento vero e proprio, pur senza uso di troika, e quindi rappresenta un atto di ostilità nei confronti di Renzi e del suo governo, oppure è in realtà un favore fatto al nuovo presidente del Consiglio, cui viene data l’opportunità di opporre alle ritrosie nazionali verso il risanamento e le riforme strutturali il diktat europeo cui non ci si può sottrarre? Seconda domanda: che relazione c’è tra questa uscita – la cui tempistica è quantomeno sospetta – e la vicenda russo-ucraina, su cui l’Europa ha mostrato con evidenza palmare una spaccatura tra la linea “filo Putin” della Merkel e quella opposta in sintonia con Obama? Terza domanda: perché Renzi, la cui ascesa a palazzo Chigi al posto di Letta è stata apertamente sponsorizzata dagli americani nella speranza di costruire una diga nei confronti della politica estera, economica ed energetica della Germania, di fronte allo scontro Putin-Obama si è schierato, pur prudentemente, dalla parte dei tedeschi? Solo per tutelare gli interessi italiani nell’approvvigionamento del gas o c’è dell’altro? Quarta domanda: come mai mentre Renzi, né ex comunista né socialista, porta il Pd dentro il Pse, sposando dunque la candidatura di Martin Schulz alla presidenza della Commissione Ue, Romano Prodi benedice pubblicamente il liberaldemocratico Guy Verhofstadt?

Si tratta di quesiti che possono sembrare disgiunti l’uno dall’altro, ma che in realtà sono una sola questione, che investe pienamente la tenuta dei vecchi equilibri geopolitici e geoeconomici venutisi a delineare dal 1989 in poi, quelli post caduta del muro di Berlino e fine del comunismo organizzato su scala imperiale, che hanno messo la parola alla lunga stagione apertasi con Yalta. Domande a cui è complicato dare una risposta secca. Per esempio, è difficile negare che quello del solito Olli Rehn e soci sia stato un intervento a gamba tesa, visto che il debito al 133% del pil è dato noto così come il nostro deficit di competitività. Senza contare che il surplus commerciale della Germania è cosa non meno grave dei nostri squilibri, i quali andrebbero analizzati tenendo anche conto che negli ultimi 22 anni solo una volta non abbiamo prodotto avanzo primario (saldo tra entrate e uscite al netto dei costi del debito).

Ma nello stesso tempo, è vero che le nuove regole di governance dell’Eurogruppo prevedono che Bruxelles possa dettare le misure da prendere se un paese da solo non lo fa, ed è palese che noi i nostri compiti a casa non li abbiamo fatti. Inoltre, fin qui non siamo stati capaci, per ignavia e mancanza di credibilità, di imporre una linea alternativa a quella tedesca, e in politica chi soccombe ha sempre torto. Tuttavia, queste considerazioni non aiutano a sciogliere il dubbio: era un brutto fallo intenzionale, o un finto intervento cattivo che Renzi, al di là delle parole usate ieri per respingere al mittente il diktat, può usare come scudo? Il fatto è che per rispondere a questo dilemma bisognerebbe rispondere all’altra domanda: su Ucraina e Crimea, Renzi ha dovuto tener conto della nostre forte dipendenza da Mosca in campo energetico ma il suo cuore batte comunque per Obama, oppure ha scelto di stare deliberatamente con la Merkel? E intorno a lui, uomini dalle relazioni ben più consolidate e ramificate, che partita giocano? Padoan, l’unico ministro che non fa parte del “monocolore Renzi” e detentore di solidi legami con Draghi, che certo è più vicino agli americani che ai tedeschi, che gioco gioca? E Prodi, che molti sensori avevano intercettato vicino all’astro nascente Renzi, come mai imbocca una strada opposta nelle sponsorship in vista delle prossime elezioni europee? Nodi ingarbugliati, che nemmeno un Andreotti sbroglierebbe con facilità.

Al momento della nascita del governo Renzi, ho detto e scritto che la mia sarebbe stata una posizione di “supporto critico”, nella convinzione che il Paese non può davvero permettersi di perdere altro tempo e incamerare l’ennesima sconfitta nell’affannoso tentativo di passare dalla Seconda alla Terza Repubblica, mentre la gran parte degli italiani – e gli imprenditori in particolare – appuntano tutte le (residue) speranze di ripresa alla capacità di Renzi di essere davvero l’uomo della “rottura”. Resto di quell’idea. Ma ora bisogna che Renzi smetta di fare il leader politico che gira l’Italia come se fosse in campagna elettorale e indossi l’abito del presidente del Consiglio di un paese consapevole di tre cose fondamentali che, come abbiamo visto, convergono in un unico punto: a. che l’Italia deve fare le riforme che finora ha evitato, e farle con un approccio davvero rivoluzionario; b. che l’Europa così com’è non regge ed espone l’euro al pericolo di disintegrarsi; c. che il mondo rischia di tornare alla contrapposizione Est-Ovest di un tempo, e noi torniamo ad essere terra di frontiera. Matteo, batti un colpo.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.