L'arte del distrugger tecnologia e ricerca
Masochismo atomico
Quando le chiacchiere distruggono filiere industriali e traslocano la ricerca altrovedi Davide Giacalone - 15 marzo 2011
Coltiviamo una passione atomica nel distruggere tecnologia e ricerca, impoverendoci e arricchendo i concorrenti. Le drammatiche notizie che giungono dal Giappone sono state prese al volo per ridare fiato alla propaganda contro l’energia nucleare, al punto da sconfinare nell’umorismo macabro: non si presta attenzione alle migliaia di morti provocati dal cataclisma, ma ai possibili danneggiati dalle radiazioni atomiche. Come se un qualsiasi prodotto umano possa resistere a quel che abbiamo visto, e come se non sapessimo che le centrali hanno retto meglio del resto. Come se non fosse evidente che quella centrale di Fukushima, la più danneggiata, pur vecchia di quaranta anni, se si fosse trovata in Italia sarebbe rimasta integra, perché da noi non è immaginabile lo tsunami.
Il guaio, però, non è che ci sia chi soffia sul fuoco delle paure e dell’ignoranza, bensì quello che ci s’accapiglia come forsennati, ma poi non si fa un accidente. Il nucleare non c’è e non è alle viste, in Italia. Siamo circondati da centrali nucleari, compriamo l’energia che producono, sicché l’ipotesi demente dei comuni “denuclearizzati” è derubricabile a presa in giro, ma non siamo capaci di chiudere le discussioni è avviare le costruzioni. Così procedendo rendiamo risibili le scelte governative (è mai possibile che ci vogliano cinque anni per passare dalla decisione alla prima pietra, ammesso che sia mai posata?), appesantiamo le bollette dei cittadini e disintegriamo patrimoni di conoscenze e competenze.
Prima di uscire dal nucleare producevamo (e vendevamo) sistemi d’avanguardia nel campo della sicurezza, senza contare che la ricerca atomica più avanzata era italiana. Ci siamo evirati con le nostre mani. Ora, avendo usato le centrali solo per smontarle, abbiamo capacità notevoli nel trattare e smaltire materiale radioattivo (che non è solo quello delle centrali, perché ci sono anche gli ospedali, sebbene nessuno li citi). Se continuiamo a menare il can per l’aia finiremo con il dovere comprare all’estero anche quelle competenze. Nel frattempo i giapponesi si saranno ripresi e saranno ripartiti con il programma nucleare, puntando ad almeno il 50% del fabbisogno nazionale.
Non soddisfatti di ciò abbiamo pasticciato alla grande anche sulle energie rinnovabili. Premessa: nucleare e rinnovabili sono fonti complementari, non alternative. Nessun Paese industrializzato potrà mai alimentarsi a pale e pannelli (che poi devono essere smaltiti), ma nessuno sensato rinuncia a quel che, come il nucleare, produce energia e non inquinamento. Detto ciò, fino all’anno scorso abbiamo pagato un megawatt eolico 180 euro, mentre in Europa si andava dai 65 ai 100. I contributi governativi erano così alti che non solo si dilapidavano soldi dei cittadini, ma si attiravano frotte di speculatori e stormi di riciclatori. Abbassarli era doveroso.
Vanno anche stabilizzati nel tempo, però, in modo da favorire seri piani d’investimento (altrove sono fissi e indicizzati per 15 o 20 anni). Invece si procede sì come guida un ubriaco: sterzando bruscamente da una parte e dall’altra. L’esito è prevedibile.
In queste condizioni, privi di visione sul futuro e incapaci di politiche coerenti nel tempo, ci rotoliamo felici nelle polemiche inconcludenti e diveniamo sempre più clienti di tecnologie e prodotti altrui.
Le chiacchiere non sono gratis, perché distruggono filiere industriali e traslocano la ricerca. Ma a noi che ci frega, a noi piace cogliere qualsiasi spunto pur di dare addosso all’avversario e massacrare l’interesse nazionale.
Pubblicato da Libero
Il guaio, però, non è che ci sia chi soffia sul fuoco delle paure e dell’ignoranza, bensì quello che ci s’accapiglia come forsennati, ma poi non si fa un accidente. Il nucleare non c’è e non è alle viste, in Italia. Siamo circondati da centrali nucleari, compriamo l’energia che producono, sicché l’ipotesi demente dei comuni “denuclearizzati” è derubricabile a presa in giro, ma non siamo capaci di chiudere le discussioni è avviare le costruzioni. Così procedendo rendiamo risibili le scelte governative (è mai possibile che ci vogliano cinque anni per passare dalla decisione alla prima pietra, ammesso che sia mai posata?), appesantiamo le bollette dei cittadini e disintegriamo patrimoni di conoscenze e competenze.
Prima di uscire dal nucleare producevamo (e vendevamo) sistemi d’avanguardia nel campo della sicurezza, senza contare che la ricerca atomica più avanzata era italiana. Ci siamo evirati con le nostre mani. Ora, avendo usato le centrali solo per smontarle, abbiamo capacità notevoli nel trattare e smaltire materiale radioattivo (che non è solo quello delle centrali, perché ci sono anche gli ospedali, sebbene nessuno li citi). Se continuiamo a menare il can per l’aia finiremo con il dovere comprare all’estero anche quelle competenze. Nel frattempo i giapponesi si saranno ripresi e saranno ripartiti con il programma nucleare, puntando ad almeno il 50% del fabbisogno nazionale.
Non soddisfatti di ciò abbiamo pasticciato alla grande anche sulle energie rinnovabili. Premessa: nucleare e rinnovabili sono fonti complementari, non alternative. Nessun Paese industrializzato potrà mai alimentarsi a pale e pannelli (che poi devono essere smaltiti), ma nessuno sensato rinuncia a quel che, come il nucleare, produce energia e non inquinamento. Detto ciò, fino all’anno scorso abbiamo pagato un megawatt eolico 180 euro, mentre in Europa si andava dai 65 ai 100. I contributi governativi erano così alti che non solo si dilapidavano soldi dei cittadini, ma si attiravano frotte di speculatori e stormi di riciclatori. Abbassarli era doveroso.
Vanno anche stabilizzati nel tempo, però, in modo da favorire seri piani d’investimento (altrove sono fissi e indicizzati per 15 o 20 anni). Invece si procede sì come guida un ubriaco: sterzando bruscamente da una parte e dall’altra. L’esito è prevedibile.
In queste condizioni, privi di visione sul futuro e incapaci di politiche coerenti nel tempo, ci rotoliamo felici nelle polemiche inconcludenti e diveniamo sempre più clienti di tecnologie e prodotti altrui.
Le chiacchiere non sono gratis, perché distruggono filiere industriali e traslocano la ricerca. Ma a noi che ci frega, a noi piace cogliere qualsiasi spunto pur di dare addosso all’avversario e massacrare l’interesse nazionale.
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L'EDITORIALE
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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.