Sul Tfr non ci sono buoni e cattivi
Maroni e la riforma impossibile
Un ministro che minaccia dimissioni, e l’Ania che non ci sta. Finirà tutto con un rinvio?di Alessandro D'Amato - 21 ottobre 2005
La riforma del Tfr è necessaria. Come ha spiegato su questo sito l’articolo di Filippo Tozzato, da quando il sistema pensionistico italiano è passato dal modello contributivo a quello retributivo, andare in pensione con l’80% dello stipendio non è più possibile. E quindi è fondamentale che insieme al “primo pilastro” della previdenza, il lavoratore abbia la possibilità di un “secondo pilastro” che integri la pensione Inps. Senza contare i vantaggi per l’economia che potrebbero derivare dalla smobilizzazione del Tfr e dal suo utilizzo in fondi che, a prescindere dalla loro utilizzazione, vanno comunque ad investire e a rivitalizzare un mercato povero di capitali.
Detto questo, la riforma Maroni presenta molti punti discutibili. L’Ania, attraverso un’attività di lobbying, ha fatto pressione fino a ottenere una vittoria parziale con il rinvio alla Commissione per una chiarificazione sulle deleghe. Il meccanismo del silenzio/assenso, che trasferisce il Tfr in automatico ai fondi chiusi negoziali se il lavoratore non dice esplicitamente di no, pare un vantaggio spropositato accordato ai sindacati, soprattutto in un’ottica di libero mercato. Così come pare una furbata non di poco conto la facoltà, da parte dell’azienda, di non trasferire la parte di liquidazione che le compete, nel caso che il lavoratore scelga un fondo aperto.
D’altronde, l’Ania stessa non pare esente da colpe. Che il mercato delle assicurazioni auto italiano sia uno dei più redditizi, anche a fronte di un generale calo dei sinistri, lo afferma anche il suo ufficio studi. L’Antitrust ha acclarato l’accordo di cartello che per molto tempo ha permesso alle compagnie di tenere alti i prezzi delle polizze anche in un regime di apparente concorrenza, anche se il Tar ha annullato in parte la multa che l’Authority aveva comminato alle assicurazioni. Per quanto riguarda Pip e Fip (i piani pensionistici individuali che vengono venduti al lavoratore singolo), il loro costo (specialmente nel primo anno) è troppo alto rispetto a quello di altri paesi europei (nel Regno Unito la percentuale non può superare l’1,5%, mentre in Italia alcuni Fip arrivano a mangiarsi l’80% dell’investimento del lavoratore nel primo anno e l’8% in quelli successivi).
In tutto ciò, quel che pare più criticabile è il comportamento diel ministro del Welfare Roberto Maroni. Prima concede ai sindacati privilegi discutibili: ad esempio, il divieto al datore di lavoro di creare una forma pensionistica complementare diversa dal fondo negoziale. In questo modo anche i lavoratori di imprese non sindacalizzate sono costrette a versare il tfr ai fondi sindacali. Poi permette che i componenti dell’organismo di sorveglianza dei fondi aperti ad adesione collettiva “siano nominati tra nomi scelti dalle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentativi sul piano nazionale” (indovinate quali sono…). Quindi, in un’intervista sulla Stampa, invita il presidente del Consiglio a fare l’uomo di Stato, dimostrando, con una scelta forte che vada contro le sue tasche (Berlusconi è azionista di Mediolanum), che il conflitto di interessi è un’invenzione della sinistra.
E, alla fine, ridimensiona la sua minaccia di dimissioni (con parole da vero ministro della Repubblica: “Le mie dimissioni? Queste sono decisioni che verranno prese dal mio partito…”). Quindi, continua a dire che la riforma andrà in vigore, a tutti i costi, dal 1° gennaio 2006 (nonostante che ci siano 3 mesi di tempo per le compagnie di assicurazioni per conformarsi agli obblighi della Covip, che saranno emanati dopo l’approvazione della riforma stessa), e questo è impossibile a meno che i leghisti non abbiano messo in conto anche una riforma del calendario che prolunghi il 2006…Con un colpo di teatro finale, fa sapere che se Berlusconi gli blocca la riforma del Tfr, lui renderà il favore fermando la riforma elettorale al Senato. E, nel marasma dichiaratorio, si dimentica di presentarsi in commissione Lavoro del Senato per l’audizione sul Tfr.
Ministro, calma! Gli interessi in gioco in questa riforma sono tanti. Un dibattito pubblico, che facesse emergere quali sono i problemi sul tavolo, sarebbe meglio di questo continuo mandarsi messaggi per interposto giornale. Nell’attesa, si spera che l’impressione data nel giorno del Consiglio dei ministri sia solo un errore. L’impressione cioè che della riforma non se ne farà niente e la politica, per non scontentare nessuno, si prepara a rinviare un’altra volta questa che sarà l’ennesima Trattativa dal Finale Ritardato. Il Tfr, appunto (copyright Tito Boeri)...
Detto questo, la riforma Maroni presenta molti punti discutibili. L’Ania, attraverso un’attività di lobbying, ha fatto pressione fino a ottenere una vittoria parziale con il rinvio alla Commissione per una chiarificazione sulle deleghe. Il meccanismo del silenzio/assenso, che trasferisce il Tfr in automatico ai fondi chiusi negoziali se il lavoratore non dice esplicitamente di no, pare un vantaggio spropositato accordato ai sindacati, soprattutto in un’ottica di libero mercato. Così come pare una furbata non di poco conto la facoltà, da parte dell’azienda, di non trasferire la parte di liquidazione che le compete, nel caso che il lavoratore scelga un fondo aperto.
D’altronde, l’Ania stessa non pare esente da colpe. Che il mercato delle assicurazioni auto italiano sia uno dei più redditizi, anche a fronte di un generale calo dei sinistri, lo afferma anche il suo ufficio studi. L’Antitrust ha acclarato l’accordo di cartello che per molto tempo ha permesso alle compagnie di tenere alti i prezzi delle polizze anche in un regime di apparente concorrenza, anche se il Tar ha annullato in parte la multa che l’Authority aveva comminato alle assicurazioni. Per quanto riguarda Pip e Fip (i piani pensionistici individuali che vengono venduti al lavoratore singolo), il loro costo (specialmente nel primo anno) è troppo alto rispetto a quello di altri paesi europei (nel Regno Unito la percentuale non può superare l’1,5%, mentre in Italia alcuni Fip arrivano a mangiarsi l’80% dell’investimento del lavoratore nel primo anno e l’8% in quelli successivi).
In tutto ciò, quel che pare più criticabile è il comportamento diel ministro del Welfare Roberto Maroni. Prima concede ai sindacati privilegi discutibili: ad esempio, il divieto al datore di lavoro di creare una forma pensionistica complementare diversa dal fondo negoziale. In questo modo anche i lavoratori di imprese non sindacalizzate sono costrette a versare il tfr ai fondi sindacali. Poi permette che i componenti dell’organismo di sorveglianza dei fondi aperti ad adesione collettiva “siano nominati tra nomi scelti dalle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentativi sul piano nazionale” (indovinate quali sono…). Quindi, in un’intervista sulla Stampa, invita il presidente del Consiglio a fare l’uomo di Stato, dimostrando, con una scelta forte che vada contro le sue tasche (Berlusconi è azionista di Mediolanum), che il conflitto di interessi è un’invenzione della sinistra.
E, alla fine, ridimensiona la sua minaccia di dimissioni (con parole da vero ministro della Repubblica: “Le mie dimissioni? Queste sono decisioni che verranno prese dal mio partito…”). Quindi, continua a dire che la riforma andrà in vigore, a tutti i costi, dal 1° gennaio 2006 (nonostante che ci siano 3 mesi di tempo per le compagnie di assicurazioni per conformarsi agli obblighi della Covip, che saranno emanati dopo l’approvazione della riforma stessa), e questo è impossibile a meno che i leghisti non abbiano messo in conto anche una riforma del calendario che prolunghi il 2006…Con un colpo di teatro finale, fa sapere che se Berlusconi gli blocca la riforma del Tfr, lui renderà il favore fermando la riforma elettorale al Senato. E, nel marasma dichiaratorio, si dimentica di presentarsi in commissione Lavoro del Senato per l’audizione sul Tfr.
Ministro, calma! Gli interessi in gioco in questa riforma sono tanti. Un dibattito pubblico, che facesse emergere quali sono i problemi sul tavolo, sarebbe meglio di questo continuo mandarsi messaggi per interposto giornale. Nell’attesa, si spera che l’impressione data nel giorno del Consiglio dei ministri sia solo un errore. L’impressione cioè che della riforma non se ne farà niente e la politica, per non scontentare nessuno, si prepara a rinviare un’altra volta questa che sarà l’ennesima Trattativa dal Finale Ritardato. Il Tfr, appunto (copyright Tito Boeri)...
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.