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Quando il fisco diventa un persecutore ingiusto

Malagiustizia fiscale

La sola cosa che resta da fare è chiedere subito che sia condannato il sopruso

di Davide Giacalone - 31 marzo 2008

Quando il fisco si rivolge al cittadino lo fa con toni bruschi, perentori. Quando l’Agenzia delle entrate agisce in nome e per conto della Rai, poi, si è spesso oltre i limiti dell’estorsione, dato che richieste del tutto illegittime vengono accompagnate con autentiche minacce. La durezza dei modi, però, s’accompagna allo sfascio della sostanza, come rivelano i dati della giustizia tributaria.

Se il cittadino ricorre contro l’intimazione di pagamento, se la cifra richiesta giustifica la spesa dell’avvocato (che se si ricorresse sempre i dati, già drammatici, peggiorerebbero), la media nazionale prevede che ci vogliano 654 giorni per ottenere un giudizio di primo grado, ed altri 721 per il secondo. Nel Lazio, però, occorrono più di cinque anni. Nel corso dei quali il cittadino stesso paga le tasse per finanziare le spese dell’ufficio che lo persegue, e paga gli avvocati per difendersi dai persecutori.

Gli esiti del contenzioso parlano chiaro: in più della metà dei casi il cittadino vince, e ciò significa che in più della metà dei casi il fisco è stato un persecutore ingiusto, che ha torturato quel cittadino per anni. Nel mare dei numeri ce n’è uno che merita di far riflettere: la giustizia tributaria più efficiente si trova in Val d’Aosta, dove la prima sentenza arriva in 7 mesi, e proprio qui i cittadini dimostrano d’avere ragione in quasi il 79 per cento dei casi. Come dire: meglio funziona la giustizia più numerosi sono i torti accertati dello Stato. Nei prossimi anni la situazione potrà solo peggiorare, visto che il numero dei ricorsi aumenta e quello della cause definite diminuisce.

Se esistesse una buona informazione ed una seria coscienza civile, al termine di questo calvario il cittadino dovrebbe subito portare lo Stato davanti ad una Corte d’Appello, per vedersi risarcire il danno provocato dall’irragionevole durata del procedimento. A quel punto anche il procedimento risarcitorio avrà una durata irragionevole, che è meglio definire scandalosa e demenziale, dimostrando che la legge Pinto fu una pezza quando venne approvata, e, nel tempo, è divenuta un boomerang.

Toccherebbe sempre al cittadino, a quel punto, riportare lo Stato davanti ad un giudice, questa volta in quel di Strasburgo, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In quel luogo non solo contano le condanne (e le cifre dei risarcimenti), ma pesa il fatto che essendo l’Italia un Paese con giustizia incivile, prima o dopo verrà presa a calci e buttata fuori dal Consiglio d’Europa.

Molto spesso, quando critichiamo i molti aspetti deprimenti della politica italiana, ci viene chiesto: e noi che possiamo fare? Ecco, questo possiamo farlo, può farlo il singolo cittadino: armarsi di pazienza e perseverare nel chiedere che sia condannato il sopruso subito. Al moltiplicarsi della cause coinciderà la bancarotta definitiva di una giustizia che non è più tale, neanche nel nome.

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