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Positivo il dialogo Bruxelles - Ankara

Mai più “mamma li turchi”

L’ingresso della Turchia in Europa è un’opportunità per tutti. Italia compresa

di Enrico Cisnetto - 06 novembre 2006

Tenere aperta la porta dell’Europa alla Turchia è una necessità, anche e soprattutto italiana. Proprio mentre il processo di integrazione subisce una pesante battuta d’arresto, occorre aiutare Ankara – oggi in equilibrio instabile tra le forze riformiste che hanno fondato la democrazia, che sembrano arretrare, e quelle fondamentaliste islamiche, che paiono avere il sopravvento (secondo i sondaggi la simpatia dei turchi verso l’Europa è calata al 45% e quella per l’Iran è in continua crescita) – a rimanere agganciate all’Occidente. C’è da dire che né il pur giusto atteggiamento della Francia nei confronti del genocidio armeno, né quello di Bruxelles sui curdi e su Cipro, hanno aiutato la distensione dei rapporti, mentre Erdogan stesso fatica a rimanere in equilibrio tra le strizzatine d’occhio alla religione musulmana – come testimonia, prima ancora del no al Papa, il tentativo (per fortuna non riuscito) di nominare presidente della Banca Centrale un uomo della finanza “islamica” – e la sua partecipazione al prossimo vertice della Nato a Riga, scoperto atto di fedeltà a Usa ed Europa.
Inoltre, un futuro ingresso nell’area-euro potrebbe aiutare un’economia in tumultuosa crescita, con un incremento del 7,4% del pil nel 2005 che potrebbe replicarsi quest’anno e investimenti esteri in aumento del 255%, ma dalle basi fragili, visti i grossi squilibri della bilancia commerciale e l’inflazione (+10% nel 2006) che rimane alta seppur fortemente ridimensionata. E di conseguenza evitare anche i piccoli terremoti valutari come quello del giugno scorso, quando la svalutazione del 20% della lira turca ha fatto schizzare i tassi d’interesse, portando il tasso overnight al 15%, in aumento di ben 175 punti base in un colpo solo, e di altri 200 all’inizio di luglio.
Ma se queste sono le buone ragioni della Turchia per un suo ingresso in Europa, non meno importanti sono quelle continentali, soprattutto di natura geopolitica: come ha detto il ministro D’Alema, Ankara deve essere la testa di ponte per aiutare i paesi islamici moderati, risposta Ue allo scontro di civiltà, così come l’integrazione dell’Europa orientale lo è stata alla fine del comunismo. Così come lo sono le ragioni italiane, prevalentemente economiche. Il totale degli scambi italo-turchi nel 2005 ha superato i 13,1 miliardi di dollari (siamo il loro terzo partner dopo Germania e Russia), e la nostra bilancia commerciale è in positivo per quasi due miliardi. E’ quindi assolutamente necessario riuscire a sviluppare ulteriormente quelle relazioni economiche che hanno fatto della Turchia un partner strategico per oltre 450 imprese italiane, tra cui Pirelli, Fiat e Unicredit (entro l’anno due sue partecipate turche, Koc Bank e Yapi Bank, formeranno la terza banca del Paese). Ma anche e soprattutto l’Eni, socio di Gazprom in Blue Stream, il gasdotto che porta il gas russo e dell’Asia centrale nel Mediterraneo, pronto a costruire altri oleodotti nella zona.
Insomma, “mamma li turchi” d’ora in avanti non dovrà più essere un’imprecazione.

Pubblicato sul Gazzettino del 5 novembre 2006

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