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De Magistris, il giudice e i testimoni

Magistratura vs politica

Minacce, ricatti, deposizioni e personaggi che ruotano intorno alla vicenda De Magistris

di Silvio Nocera - 31 ottobre 2007

Mentre infuria la polemica sullo scontro tra magistratura e politica, De Magistris è stato ascoltato dal Csm, nell’ambito dell’istruttoria avviata dalla Prima Commissione. Durante la seduta, convocata per chiarire le dichiarazioni su “collusioni tra politica, magistrati e imprenditoria” il sostituto procuratore ha affermato che “ci sarebbero una serie di eventi, concatenati tra loro, a dimostrare che fin dal 2005 si è tentato di sottrarre le inchieste a De Magistris”. Un’udienza particolare, in cui il giudice ha spiegato il perché di un’esposizione pubblica tanto massiccia ed ha ribadito i suoi dubbi (da cui è derivata la denuncia per abuso di ufficio) sul capo della Procura di Catanzaro, Mariano Lombardi, reo di aver informato l’amico Giancarlo Pittella, senatore di Fi, di una imminente perquisizione nell’ambito dell’inchiesta “Poseidone”. Ecco perché De Magistris “si sarebbe riservato di trasmettere al Csm una consulenza del perito Gioacchino Genchi che, attraverso uno studio sui flussi di telefonate, dimostrerebbe che c’è stata fuga di notizie”. Nel frattempo si attendono novità in merito alle deposizioni di Luigi Apicella, procuratore di Salerno che è competente per le inchieste che riguardano i magistrati di Catanzaro, Antonio Pietro Sirena, presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, e, Giuseppe Iannello, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati.

Dolcino Favi E mentre si attende un verdetto per il prossimo 10 di dicembre, si appura anche che De Magistris ha avviato una procedura di ricorso in Cassazione contro l’avocazione dell’inchiesta Why not da parte di Dolcino Favi, avvocato generale presso la Procura Generale della Corte d’Appello di Catanzaro e facente funzione di Procuratore Generale. Ed è proprio su di lui che cadrebbero ombre pesanti circa presunti rapporti con la malavita organizzata. Rapporti che sono stati oggetto di un’interrogazione parlamentare del 17 gennaio 1989 da parte di Mellini, Vesce, Rutelli e Calderisi al Ministro di Grazie e Giustizia, ai tempi in cui era sostituto procuratore a Siracusa. Favi era accusato di “sistematiche violazioni di norme, in particolare di quelle poste a presidio dei diritti fondamentali dell"individuo come sostenuto dal consigliere del CSM Renato Papa dinanzi al plenum del CSM durante la seduta di mercoledì scorso”.

Il superteste e la Rete Ma è quella che il superteste Giuseppe Tursi Prato, 53 anni, un passato da socialista stroncato da accuse per associazione mafiosa e corruzione, chiama “la Rete” nel verbale di 43 pagine redatto l’11 ottobre scorso nell’ambito dell’inchiesta Why Not, a gettare fango e diffidenza sul meccanismo dell’assegnazione degli appalti pubblici e sulla trasparenza delle istituzioni. Un verbale esplosivo in cui il testimone, sentito come persona informata sui fatti, descrive minuziosamente il sistema di collusione e spartizione dei finanziamenti pubblici alla cui testa ci sarebbe Antonio Saladino e che ha coinvolto trasversalmente i più importanti esponenti della politica calabrese a livello locale, nazionale ed europeo. Compaiono i nomi di Abramo, Gentile, Morello, Loiero, Minniti, Mastella, Prodi. Un sistema che, non a caso, Tursi chiama “rete” per spiegare il grado di penetrazione, la vastità, la pervasività di un’organizzazione alla cui base ci sarebbero forti legami di solidarietà e mutuo soccorso. Un sistema che sfruttava la società Why not per il drenaggio di fondi pubblici, il piazzamento di uomini ad hoc e lo scambio di voti tra imprenditoria e politica. Con contatti assolutamente influenti anche a Bruxelles dove pare che Antonio Saladino si occupasse direttamente di seguire la questione del P.O.R. Calabria.

Ed in merito al meccanismo di voto di scambio dà la sua lineare spiegazione: “Io ti finanzio un progetto, te lo finanzio a condizione che tu mi assumi le persone che dico io, le persone che ti dico io mi fanno i voti…”. Cioè, voglio dire poi, siccome poi lui deve accontentare tutti e lui è il centro, il perno del sistema poi, nel momento in cui si tratta di fare una campagna elettorale di tipo Loiero-Abramo, lui mette in moto una struttura a servizio del Presidente – in quel caso è stato LOIERO – ha messo tutta la struttura…”. Ma il 22 ottobre, giorno in cui avrebbe dovuto essere risentito, l’incontro risulta annullato a seguito del provvedimento di avocazione sull’inchiesta.

La vicenda TelCal E proprio nell’ambito di questa inchiesta viene tirata in ballo anche la vicenda della TelCal, un consorzio a partecipazione pubblica deputato alla costruzione delle infrastrutture informatiche in Calabria. Il Consorzio TelCal era costituito da Regione Calabria con una partecipazione del 40%, Telecom Italia con il 20%, Intersiel con il 24% e Italeco con il 12% (queste ultime controllate da Telecom) e competente per l’attuazione del nuovo Piano Telematico Calabria. Il progetto fu finanziato con una pioggia di miliardi dal Ministero per la Ricerca Scientifica e tecnologica (oggi MIUR) con lo scopo di realizzare un’efficiente rete infotelematica regionale su cui fare viaggiare una vasta gamma di servizi di Information and Communication Technology. Dice ancora Tursi “Il progetto TelCal era un’operazione di migliaia e migliaia di miliardi. Produsse, secondo me, effetti minori rispetto a quelle che erano…”. Precisamente 409 miliardi. Che non si sa né dove siano finiti né tantomeno che benefici abbiano portato alla comunità: dal 2003, infatti, “con la chiusura di tutti i servizi del Piano Telematico Calabria operata dalla Regione e la mancata certificazione da parte di questa delle competenze acquisite dal personale ex TelCal (la costosissima quanto inutile "formazione Consiel" effettuata con il placet regionale), la società diretta secondo Tursi da Enza Bruno Bossio”, moglie del Vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria, Nicola Adamo, “alcuni dipendenti della TelCal vengono assorbiti da Why Not in qualche centinaio e questi dipendenti per un passaggio, diciamo, di qualche mese poi non gli rinnovarono il contratto e alcuni di questi rimasero a lavorare nel giro della regione in diversi dipartimenti. Li facevano girare con contratti a tre mesi, a due mesi, però gli davano, diciamo, la certezza, la garanzia: “ Vediamo di sistemare la cosa…” E questo discorso parte proprio dal… Chiaravalloti…. Franco Morelli, il quale era il tramite di questo gruppo, dove anche la Bruno Bossio seguiva questo…”.

Un consorzio che viene sciolto, con il primo abbandono di Telecom e delle controllate. perché non ci sono più fondi disponibili da sfruttare secondo quanto dichiarato da Tursi. Quando compare una nuova società di gestione del personale concorrente alla Why Not, che “praticamente comincia a far firmare dei precontratti a questi ragazzi, lì succede la fine del mondo”. Prosegue Tursi, “Figuratevi che Saladino li minacciò, dice: “Guardate che questa società non avrà nessun finanziamento, il finanziamento ritornerà a noi e noi poi non vi garantiremo nessun tipo di lavoro… nessun tipo di posto di lavoro”. Ed affonda “Quindi questa vicenda della TelCal è passata anche tramite Why Not, i dipendenti TelCal sono passati una parte sono passati anche nel progetto Why Not, poi sono sparite le Why Not, sono andati a finire nelle nubi, alcuni hanno operato con contratti senza capire chi erano le società, anche questo, una cosa stranissima, pagati dalla regione, sarebbe opportuno sapere chi sono”. E scorrendo ancora i verbali viene messa in mezzo la società TESI, fondata da Adamo ed in cui lavorano la stessa Bruno Bossio, assieme ad altri personaggi, ed il gruppo CLIC con il presunto intento di arrivare a gestire tutte le commesse dei poli informatici calabresi.

Caterina Merante
Circa due settimane dopo, il 24 ottobre, l’Ansa pubblica delle dichiarazioni di Caterina Merante, principale testimone dell’inchiesta Why Not, in cui la signora afferma “Io sono stata pedinata per un periodo. Ora le attenzioni di sono spostate sulla persona che ha cura dei miei figli. Più di due persone hanno potuto assistere a quanto accaduto una sera. Un"auto le si è accostata e dal di dentro un giovane, un uomo, le ha fatto il segno che aveva in mano una pistola”. E racconta anche di un’intrusione avvenuta all’interno dei loro uffici di cui sono state informate le autorità giudiziarie con conseguenti minacce a scopo, probabilmente, di intimidazione.

Forleo, confermata scorta
Nel frattempo non si abbassano i toni delle violente polemiche istituzionali seguite alla vicenda De Magistris, sostenuto dal “gip delle scalate”, Clementina Forleo, nelle sue dichiarazioni. Dopo le lacrime pubbliche della Forleo e le denunce di pressioni istituzionali in merito alla vicenda Unipol, oggi il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza di Milano ha confermato al scorta al magistrato che nei giorni scorsi vi aveva rinunciato. Ma lei fa sapere che non ci sta, che vuole venire a conoscenza delle motivazioni e che non può essere costretta ad una scelta del genere. E’ a seguito di ”protratte condotte omissive e attive di taluni esponenti dell"arma dei Carabinieri"” e di pericoli provenienti “non dalla piazza, ma da esponenti delle istituzioni” che il giudice aveva rinunciato al diritto alla scorta.

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