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Settimana Calda

Ma quale Imu. Era meglio una bella obbligazione

Piangere ora sul latte versato non solo è tardivo, ma anche notevolmente irritante. Forse sarebbe più pagante, elettoralmente parlando, dire “abbiamo sbagliamo” e raccontare come s’intende metterci rimedio.

di Enrico Cisnetto - 11 gennaio 2013

Pensarci prima, no? Il governo si è visto bollare come iniqua l’Imu dalla Ue proprio mentre la campagna elettorale s’infiamma (more solito) sul tema delle tasse tanto che lo stesso Monti ha dovuto ammiccare a possibili riduzioni fiscali per non essere scavalcato da Bersani e Berlusconi. Ma le aperture sulle modifiche all’Imu più che indurre gli italiani a non considerarlo un affamapopolo, rischiano di irritare perché è evidente che una tassa patrimoniale sugli immobili difficilmente può essere resa progressiva, tant’è vero che tutti i tentativi di legare le tasse sulla casa alle capacità di reddito sono miseramente fallite.

Ora, considerato che tra la prima rata e il saldo di dicembre, l’Imu ha permesso di raccogliere 23-24 miliardi (due o tre in più di quanto previsto dal governo nelle stime del “salva-Italia”), cioè un punto e mezzo di pil e poco più del 6% dei 378 miliardi di entrate fiscali complessive (+3,8 % rispetto al 2011 nonostante il deterioramento del ciclo economico), la domanda è: ne valeva la pena? Non era meglio evitare l’Imu e puntare su una patrimoniale light come quella rappresentata da un obbligo di acquisto di titoli (azioni e obbligazioni) di una società ad hoc nel cui portafoglio lo Stato e gli enti locali avrebbero potuto girare il loro patrimonio, immobiliare e non? Sempre soldi bisognava tirar fuori – anzi, molti di più del gettito Imu – ma non sotto forma di tassa (per di più iniqua) “vuoto a perdere”, bensì di acquisto di titoli con un loro valore e una loro (successiva) negoziabilità. E la differenza sarebbe certamente stata apprezzata dai contribuenti. Si dice: ma con l’Imu l’esborso per la prima casa è stato in media di 278 euro (aliquota media del 4,23 per mille) e per la seconda è stato in media di 745 euro (aliquota media 8,78 per mille), mentre se si fosse andati nella direzione di un’operazione che metteva in gioco patrimonio pubblico e patrimonio privato, l’impegno sarebbe stato ben maggiore.

A parte il fatto che nei grandi centri l’esborso per la prima casa è stato molto più alto (a Roma 639 euro e a Milano 428) e che un Comune su tre ha aumentato le aliquote sulla prima casa e uno su due per la seconda, quindi tanto piccola la botta non è stata, ma è vero: nell’altra ipotesi si sarebbe richiesto un sacrificio maggiore. Tuttavia, oltre ad avere in cambio un titolo con un valore di mercato, ai contribuenti sarebbe stata offerta una compensazione “morale” molto alta: avrebbero visto che al loro sacrificio si accompagnava quello dello Stato che metteva in gioco il suo patrimonio (peraltro senza svenderlo).

Piangere ora sul latte versato non solo è tardivo, ma anche notevolmente irritante. Forse sarebbe più pagante, elettoralmente parlando, dire “abbiamo sbagliamo” e raccontare come s’intende metterci rimedio.

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