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La storia che ci corre accanto e sopra (seconda puntata)

Ma chi ci vuole male?

Le analisi di “Limes” e i miracoli attesi dal governo Monti

di Elio Di Caprio - 04 gennaio 2012

I conti della finanza internazionale non sono come quelli della nostra INPS dove a sorpresa il supermanager dell’istituto assicurativo Mastropasqua scopre solo ora che i provvedimenti sulle pensioni del governo Monti sono necessari e indispensabili perché altrimenti il sistema salterebbe e fino a ieri aveva assicurato con e a Berlusconi e Tremonti il contrario, che i costi della previdenza erano perfettamente sostenibili nei prossimi anni senza necessità di alcuna riforma. Sono conti ben più seri e non consentono alcun gioco di prestigio quelli che riguardano le conseguenze della crisi finanziaria in termini economici, politici e geostrategici.

A tre anni dalla scoppio della bolla dei subprime negli USA gli allarmi di allora sono diventati realtà – basterebbe considerare quel che sta avvenendo in Europa e in Italia- ma resta ancora il dubbio ( non riguarda solo gli indignados sotto tutte le latitudini) se siamo in presenza di un sistema di culminante capitalismo finanziario di cui tutti hanno perso il controllo dopo che lo si è lasciato espandere spontaneamente secondo i canoni del più vieto liberismo oppure se all’inizio o nel corso di una crisi incontrollata e apparentemente sconosciuta si sia inserita una precisa strategia di super poteri ( altro che poteri forti) che hanno deciso di dare precisi sbocchi agli sconvolgimenti in atto dirottando il processo nella direzione da loro voluta. Non a caso si parla di “guerra” per i meccanismi di ostilità reciproca messi in moto da questa crisi in attesa di cosa ci riserverà il dopo guerra.

L’enigma rimane, non sono riusciti a risolverlo i tanti analisti nazionali e internazionali che sul mensile di geopolitica “Limes” si sono impegnati negli ultimi tre anni a ricercare i motivi più reconditi o le ragioni più semplici di quanto accade senza il velo di posizioni precostituite e al di là di ciò che appare sullo scenario mondiale con l’altalena delle borse e con la bomba spread che in Europa ha rappresentato il primo e più pericoloso segnale del contagio partito dagli USA. La dietrologia, sia pure ammantata da una visione geopolitica globale, può pure sviare dalla comprensione dei problemi nella loro minuta complessità, ma intanto è un fatto che mentre prima gli europei- tra loro c’era anche l’Italia di Tremonti che solo tre anni fa si presentava in Europa come Paese fondatore con rango quasi pari alla Germania e alla Francia- addebitavano alle magagne degli speculatori made in USA lo scoppio della crisi ed era da lì che si doveva cominciare a restringere e controllare le transazioni internazionali, ora sono gli USA a rimproverare la vecchia Europa di essere stata ed essere ancora immobile, incapace a partire dall’Italia di fare ordine in casa propria riducendo i debiti sovrani e quindi essa stessa causa di una crisi a cascata che può ulteriormente compromettere la stabilità degli USA e dell’intera finanza mondiale.

L’Europa viene vista dall’alto dalla super potenza americana e persino i nuovi candidati repubblicani alla Casa Bianca assicurano che il loro interesse principale è proteggere e garantire esclusivamente il cittadino americano senza alcun obbligo di interventi finanziari diretti o indiretti di aiuto al vecchio continente che con l’euro pretendeva e pretende stoltamente di poter condizionare il signoraggio del dollaro. E’ questo solo un aspetto del problema oppure siamo in una situazione ingarbugliata e non dominata in cui predomina l’affanno mentre giochi indecifrabili vanno avanti per conto loro e si sveleranno man mano solo al momento opportuno?

Nelle tante incertezze di interpretazione dovute all’obbiettiva difficoltà di un’analisi globale che deve tener conto di tante varianti non tutte prevedibili gli analisti di Limes sembrano però nella maggioranza concordare già su due tendenze di fondo. La prima riguarda la strenua difesa degli interessi americani da parte degli ambienti finanziari che contano pur responsabili della deriva in corso su tutti i mercati, consapevoli come sono che la linfa vitale per ulteriori speculazioni e guadagni risieda pur sempre nella forma di tardo capitalismo sviluppatasi nel contesto della supremazia degli USA che va confermata a qualsiasi costo nonostante i tanti dubbi di soli tre anni fa sulla possibile decadenza dell’”impero” americano. La seconda più che una tendenza è la previsione che il destino dell’euro è sostanzialmente segnato e noi tutti dovremo fare i conti prima o poi con lo scenario conseguente alla disintegrazione della moneta unica che può comportare –prospettiva neppure calcolata dagli eurocrati che non hanno previsto il disimpegno e l’uscita dall’euro - la crisi dell’ Unione politica con una redistribuzione obbligata del peso specifico dei singoli Stati del continente.

Se così fosse, se la rivalità tra le due sponde dell’Atlantico dovesse prevalere sulla cooperazione in una corsa a chi si salva di più - ma non è detto che i calcoli al tavolino riescano sempre- potremmo pure considerare l’esperienza del governo Monti in una luce ancora più necessaria e cogente di quanto pensassimo. Chi meglio di un eurocrate-tecnico come Mario Monti può infatti guidarci e rappresentarci in una fase di passaggio e di profonda trasformazione con l’euro in bilico e l’handicap “scoperto” dell’enorme debito sovrano che ci sovrasta da decenni e a cui i mercati continueranno ad inchiodarci? C’è chi ci vuole male fino a non dare alcun peso alla “svolta” del governo Monti e a non escludere il default dell’Italia magari per obbedire ad altri fini? Non lo sappiamo ancora.

Intanto la politica può attendere, è meglio che faccia un passo indietro : è forse quello che ha pensato Giorgio Napolitano nell’emergenza al di là delle vere o presunte pressioni su di lui di un’Europa che neppure essa sa quali carte giocare per conservare un profilo autonomo e indipendente in un mondo multipolare che potrebbe prima o poi escluderla o relegarla in posizione subordinata.

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