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Primo ostacolo sono le nomine istituzionali

Luci e ombre di una vittoria di Pirro

Dopo il pareggiotto, responsabilità è la parola d’ordine per le prossime settimane

di Alessandro Marchetti - 12 aprile 2006

Una vittoria all’ultimo rigore. Ecco cosa è parso di fronte a milioni di italiani l’interminabile serata elettorale, conclusasi notte tempo davanti ai teleschermi.
Tanto convulsa da far rincorrere le dichiarazioni più irresponsabili che Paese civile potesse avere; una su tutti l’uscita del moderato e cauto Piero Fassino che invece di riportare il dato parziale e incerto, così come non si poteva non dare, ha preferito annunciare vittoria ai suoi sostenitori. Il tutto dopo una serata in cui si è visto prima assegnare entrambe le camere ad uno schieramento, poi una a testa in perfetto pareggio ed infine chiudere, di nuovo, con una vittoria all’ultimo seggio.
Probabilmente per questi signori è ben più importante l’umore di piazza che il senso di responsabilità. Tuttavia la giornata elettorale, terminata solo a metà del giorno successivo con lo scrutinio della Circoscrizione Estero, è poi continuata su questi toni. Alle attestazioni di soddisfazione degli esponenti più liberal si è accompagnato il fermo no a qualsiasi concessione alla parte, per ora, sconfitta. Nel complesso un quadro drammatico in fatto di stabilità e certezza del verdetto. La chiave di lettura sembra semplice. Grazie ad una legge elettorale decisamente illiberale, nessuno dei due schieramenti può dirsi davvero vincitore: l’attribuzione regionale del premio di maggioranza(oltre all’abolizione della preferenza)ha automaticamente spianato la strada a quello che è stato l’incubo dei più ottimisti alla vigilia: il famigerato “pareggiotto”.
Un incubo che si è materializzato per circa due ore, ossia fra il sorpasso del centrodestra in Senato e la definitiva conta dei seggi a favore del centrosinistra. Ma delle disfunzioni di una legge che, a conti fatti, sembra aver favorito la (dis)Unione di Romano Prodi, converrà riparlare.
Quello che oggi dovrebbe far aprire gli occhi alla classe dirigente attuale è il gravissimo ingorgo istituzionale che rischia di crearsi a breve. Forse chi, nel day after, si è messo in tasca la vittoria dimenticando le cifre e la netta spaccatura politica del Paese farebbe bene a comprarsi una calendario. Le scadenze politico parlamentari ci dicono che già il 28 Aprile il nuovo Parlamento dovrà nominare i Presidenti delle assemblee. Cioè gli stessi che saranno determinanti ( in particolare il Presidente del Senato) per l’elezione più delicata di tutte: quella del Capo dello Stato. Quale alto senso delle istituzioni fa dire a Fausto Bertinotti che non esistono le minime condizioni per una collaborazione con centrodestra? E’ un fatto che non appena un barlume di responsabilità sembra illuminare alcuni alleati, convinti della necessità di più stabilità al quadro politico, le serrande chiuse di Bertinotti e Cento fanno quasi pensare ad un altro Paese, ad un’altra democrazia. Eppure se per un momento riusciamo ad uscire dall’equivoco odioso del “Paese spaccato”, che comunque si sarebbe presentato essendoci un ricco premio di maggioranza anche in questa sciagurata legge, è possibile scorgere un via d’uscita. E’ quella che porta inevitabilmente la coalizione vincente a condividere col governo uscente quelle scelte politiche che riguardano le più alte cariche dello Stato; e non mi riferisco solo al Quirinale, dove secondo buon senso andrebbe riconfermato Carlo Azeglio Ciampi. Proprio la nomina di personalità di alto profilo istituzionale, gradite quindi anche alla Casa delle Libertà, potrebbero alleviare i mali di una paralisi politica altrimenti devastante. Pragmatismo e senso di responsabilità.
Due ingredienti che negli schieramenti non dovrebbero mancare, come non mancano personaggi tali da mettere d’accordo tutti, per equilibrio e capacità: penso ad Antonio o Martino o a Domenico Fisichella, già decisamente impegnato ad ostacolare le riforme costituzionali seppur molto vicino alle posizioni della destra finiana. Insomma, stabilità cercasi. Scongiurato l’incubo-pareggio e quello della guerra dei numeri forse è il caso che la politica torni a prendersi qualche responsabilità. Se a qualcuno, a sinistra, la parola non piace. Certo è curioso constatare come lo sport tutto democristiano della “corsa alla poltrona” abbia già contagiato chi fino a dieci anni fa la ripudiava nei comizi. Poche difatti, le smanie da ministero nelle file di Margherita e Udeur: ovvio che si parla di prime reazioni, ma l’impressione chiara è che i comunisti, dell’Unione, si siano imborghesiti.
Saranno terzomondismi, ma a vedere come Bertinotti difende con le unghie i diritti sul trono di Montecitorio non si direbbe proprio.
Strano Paese il nostro.

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