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Da DG a D&G

Lo stile della protesta

L’andazzo è consolidato: l’Agenzia delle entrate contesta un’evasione, entri nel mirino delle cronache e sei automaticamente colpevole, e chi se ne frega se poi non è vero.

di Davide Giacalone - 22 luglio 2013

Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno fatto benissimo, dimostrando schiena dritta e onorabilità piuttosto rare. Non mi riferisco tanto alla serrata dei loro negozi, per protestare contro la follia autolesionista della giunta milanese, quanto all’appello che hanno pubblicato su diversi giornali. Si rifiutano di essere sudditi e reclamano i loro diritti di cittadini, fra i quali è compreso il rispetto dovuto, ma anche atteso dall’Agenzia delle entrate, dalla Guardia di Finanza e dalle procure della Repubblica. Che del cittadino, invece, non hanno rispetto, considerandolo suddito, e che agiscono con un contorno delirante di colpevolisti e scandalisti a mezzo stampa. Solitamente colmi di colpe e scandali. Non è facile far le battaglie di principio sulla propria pelle, ve lo dico per esperienza, ma Dolce & Gabbana non si sono tirati indietro. Bravissimi. Che siano nominati, sul campo, comandanti di una campagna di civiltà.

Oramai l’andazzo è consolidato: l’Agenzia delle entrate contesta un’evasione e non solo la richiesta entra nella contabilità di ciò che il cittadino deve allo Stato, ma se il mirino delle cronache ti mette a fuoco sei automaticamente un evasore, e chi se ne frega se poi non è vero; Equitalia ti manda una cartella e tocca a te dimostrare di non essere in debito, nel mentre quelli si prendono i quattrini subito e te li restituiscono con comodo anche dopo che un giudice ti ha dato totalmente ragione; il pubblico ministero di turno ti manda l’avviso di garanzia e sui giornali finisci il giorno dopo come colpevole, salvo poi scoprirsi il contrario, ma con comodo, in due o tre lustri. Troppi piegano la testa, innanzi a questo scempio del diritto. E lo fanno perché molti sono gli evasori e tanti quelli che ritengono di avere qualche cosa da nascondere. Ma c’è chi ha il coraggio e la forza di non inchinarsi. Si dirà che Dolce & Gabbana se lo possono permettere. Sbagliato: semmai hanno molto da perdere. Ma non hanno voluto perdere la loro dignità di cittadini. Ancora: bravissimi.

Su un punto mi sento di non concordare con i loro avvocati, quando sostengono che il caso dei due stilisti è “più unico che raro”. E’ normale. Certo, non per quelle cifre, ma è normale. Proprio per questo il loro appello deve essere non la conclusione di un momento di sconforto, ma l’inizio di una protesta civile e consapevole, indirizzata al rispetto della legge. Per chi la infrange, ma anche per chi la osserva. Non vestendo griffato, ma antiquato, non posseggo capi D&G. Anche perché taluno potrebbe supporre una deriva megalogamica (sono le mie stesse iniziali). Ne comprerò uno, e lo porterò con orgoglio.

In quanto al moralismo sinistro della giunta milanese, alla facilità con cui si bolla di “evasore” chi non lo è e di “colpevole” chi non lo è, semplicemente allineandosi alla corrente questurina e manettara che un tempo contraddistingueva la destra estrema, mentre ora la sinistra scema, devo dire che non mi stupisce. Qualche giorno fa, dialogando alla radio con una senatrice del Pd, Laura Puppato, ella ebbe a sostenere che nella vita, di certo, non avrebbe assunto chi fosse stato condannato in primo o secondo grado, sebbene in attesa di sentenza definitiva. Tale insegnamento, disse, lo trasmetteva ai figli. Mi colpì il fatto che la senatrice non avvertiva nelle proprie parole la violazione del diritto. Dello Stato di diritto. E una ragione c’è: ricordate la canzone di sinistra, cantata da Claudio Lolli? “Vecchia piccola borghesia, per piccina che tu sia, il vento, un giorno, ti spazzerà via”. Lo sono diventati loro: borghesia piccina, ipocrita, conformista, perbenista. Falsa.

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