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Public Policy

Riformarci da soli prima che ci riformino gli altri

Lo Stato siamo noi

I pericoli di una deriva collettiva all’ombra dello spread

di Elio Di Caprio - 12 aprile 2012

Lo Stato siamo noi, bisogna rifare lo Stato: ma come si fa a rifondare lo Stato se noi stessi siamo o appariamo un popolo di incalliti evasori, di ex cittadini diventati volenterosi sudditi di poteri esterni e interni, gli ultimi epigoni di una storia nazionale travagliata che dal 1861 in poi non è mai riuscita ad inculcare il senso dello Stato /( e quindi del bene comune) se non a prezzo di temporanee imposizioni o di svolte autoritarie oppure di obbligate confusioni tra senso dello Stato e senso del partito dominante? Alla fine della parabola- ammesso ottimisticamente che siamo arrivati a questo punto – il risultato visibile è che è venuta meno insieme la fiducia nello Stato e quella nei partiti, anzi gli ultimi scandali dimostrano paradossalmente che proprio in coloro che ne reggono le sorti, oltre al senso dello Stato ammesso che ci sia mai stato, è svanito persino il senso del partito di appartenenza liberamente scelto e della sua dignità. Era fin troppo facile prevedere - ed infatti è successo – che la china in discesa sarebbe stata inarrestabile e che ad esautorare gli stessi partiti sarebbero stati gli interessi egoistici di clan e sotto-clan o dei comitati d’affari che si raccolgono all’ombra dei tanti “cerchi magici” che circondano segretari di partito diventati inamovibili e onnipotenti. Con quale coraggio si possono ancora chiamare tali congreghe con il termine di oligarchia ? Non dice nulla che nel tranello sia cascata anche la Lega Nord partita all’inizio con la spada sguainata per abbattere insieme lo Stato nazionale ed i partiti? Né senso dello Stato dunque e neppure senso del partito dopo decenni di vana critica alla partitocrazia, iniziata – è bene non dimenticarlo- dalla destra “benpensante” degli anni ’60, proseguita negli anni ’80 da Enrico Berlinguer, segretario del PCI che in nome della questione morale parlava di cancro partitocratico da estirpare ed infine fatta propria dalla sinistra “benpensante” dei giorni nostri. La contestazione al sistema dei partiti in Italia, neppure regolati secondo quanto prescrive la Costituzione ed ora persino super pagati e super rimborsati dallo Stato è rimasta uno dei tanti sbiaditi cavalli di battaglia della pattuglia dei radicali che però nemmeno loro, dopo aver promosso il referendum sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, si sono mai sognati di fare uno sciopero della fame per protestare e limitarne l’ingordigia. Nè i radicali, gli antipartito per eccellenza, hanno più nulla da insegnare alle nuove generazioni in nome delle meritorie battaglie libertarie condotte in passato per laicizzare il nostro Paese : non hanno contribuito anch’essi , forse senza volerlo, all’edificazione di una società libertaria più che libera, egoista e senza regole in cui è stato allontanato ogni senso di responsabilità collettiva per non dire ogni senso dello Stato? Sono rimasti a testimonianza della loro irriducibilità solo gli striscioni propagandistici che ora se la prendono sconsideratamente con lo “Stato criminale”, il nostro, per le carceri superaffollate e per il trattamento riservato ai detenuti. Ma se lo Stato siamo noi siamo dunque tutti criminali senza saperlo o volerlo sapere?

Qualcosa evidentemente non quadra nei concetti e nella prassi quotidiana quando tra partiti e Stato non sappiamo a chi addebitare i guasti peggiori. Da una parte respingiamo i partiti pur riconoscendo che sono indispensabili come tramite con le istituzioni, dall’altra rimproveriamo allo Stato di essere inefficiente ( se non addirittura criminale) e poi ne reclamiamo la presenza in tutti i settori, anche in quelli in cui non dovrebbe esserci. La troppa burocrazia intralcia le attività economiche incentivando la corruzione che ne deriva per chi è costretto in qualche modo a corrompere per ottenere ciò a cui avrebbe diritto e poi ci lamentiamo che i controlli ( dall’evasione fiscale alla criminalità organizzata) sono troppo pochi. Troppo Stato o poco Stato nei posti sbagliati? Probabilmente sì, il principale problema irrisolto della società italiana, da cui a cascata derivano le tante incongruenze di una società immobile delusa dai partiti e dallo Stato è proprio il fatto che lo Stato per decenni ha consentito di farsi imprigionare dalle logiche partitocratiche creando un circolo vizioso di irresponsabilità diffuse o di controlli inefficaci o tardivi. Meravigliarsi che in tale confusione tra Stato e partiti, di fronte ai ricatti dei mercati, siamo arrivati all’esperienza traumatica in corso del governo Monti con Ministri “tecnici” che a confronto con il personale raccogliticcio dei partiti appaiono super competenti e super esperti anche se non lo sono? Ma quale è la classe dirigente vera, quella dei partiti o quella dello Stato, quella votata o quella in qualche modo calata dall’alto? Ne è venuta fuori una sovrapposizione di ruoli che imprigiona insieme partiti e governo tecnico e rende sempre più difficile prendere le distanze dalla lunga stagione precedente che è durata, non dimentichiamolo, fino al novembre scorso. Ne è prova che persino un eurocrate come Mario Monti – anch’egli vittima inconsapevole del provincialismo all’italiana? -_ in missione di credibilità all’estero deve preoccuparsi di fronte ai suoi interlocutori più dei giochi interni lasciati in Patria che della coerenza della politica estera del Paese che rappresenta, è costretto continuamente a correggere il tiro per non perdere il consenso mediatico conquistato fino ad avventurarsi in analisi e previsioni che poi si rivelano audaci o troppo affrettate. Aveva rassicurato solo giorni fa che la crisi italiana ed europea era rientrata o comunque contenuta ed ecco che di nuovo i mercati hanno ricominciato ad attaccare il ventre molle dell’Europa e nessuno sa, neppure Monti, se questa sia una nuova puntata di una telenovela infinita o il presagio di una strategia di attacco frontale dei mercati all’euro.

Possibile che neppure il nostro Presidente del Consiglio, proprio colui che voleva segnare una discontinuità con il clima e lo stile precedente, non riesca a sottrarsi alle analisi ed alle scaramucce del giorno per giorno senza avere una visione delle complessità che l’Italia e l’Europa devono affrontare a lungo termine? L’esperienza del suo governo finirà prima o poi ma tocca a noi rifare lo Stato e rifare i partiti, possibilmente con una nuova Costituzione, esprimere una classe dirigente più degna e rappresentativa. E’ un compito tutto nostro a cui non può sopperire l’Europa che già ci dice fin troppo cosa fare su tutto, ora persino su quali regole dovremmo basare il finanziamento pubblico ai partiti. Ma non sarebbe molto meglio che ci riformassimo da soli prima che siano gli altri, i famosi mercati ( o l’Europa fin che c’è) a dettarci come e con chi?

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.