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Le urne si chiudono ma il dibattito resta vivo

Lo Stato sia laico, la fede autonoma

Solo la laicizzazione a cui lavorò la Dc permette il confronto con le istanze della religione

di Enrico Cisnetto e Davide Giacalone - 13 giugno 2005

Le urne si sono aperte e fra non molto si chiuderanno. Il risultato sarà quel che sarà, e non avrà immediate ripercussioni politiche, data anche l’assoluta trasversalità d’ogni possibile opzione. I referendum sulla fecondazione assistita sono stati, comunque, l’occasione di un dibattito importante, capace di dimostrare che i problemi della laicità dello Stato vanno coniugati al presente, non al passato. A tal proposito abbiamo avuto da ridire su quanto Marcello Pera ha sostenuto, invitando i cittadini a disertare le urne. Ecco, in questo giorno d’attesa ci rivolgiamo a lui, per una pubblica riflessione.

L’invito all’astensione non è in sé illegittimo, ma certo è assai anomalo in bocca alla seconda carica dello Stato. Intanto perché invitare alla rinuncia di un diritto non è bello, poi perché sostenere che lo stesso risultato, ovvero il mantenimento inalterato del testo di legge, lo si consegue più facilmente non votando No, ma approfittando di un fisiologico zoccolo duro di astenuti, ha qualche cosa di politicamente increscioso. Lo abbiamo sostenuto e non abbiamo cambiato idea. Ma la tattica elettoralistica non deve oscurare la questione di fondo: il rapporto fra laicità e cattolicità nell’Italia di oggi.

Gli italiani contemporanei (e lo scriviamo ad urne aperte) sono ancor più laici e consapevoli degli italiani che votarono a favore del divorzio e dell’aborto. Rispetto ad allora, però, la cattolicità ha perso la propria rappresentanza politica laica, incarnata dalla Democrazia Cristiana. Noi siamo certi che il superamento degli storici steccati fra laici e cattolici, di quel conflitto di culture e di armi che è una specificità italiana, come solo italiana è la questione romana, lo si deve in grande parte alla Dc. Il che suonerà male alle orecchie di molti laici, ma è così.

Quel partito fu fino in fondo democratico, accettò sempre il giudizio degli elettori, anche quando questo era in contrasto con i principi etici, di diretta discendenza cattolica, cui s’ispirava. Si poteva essere avversari della Dc, nella polemica politica si poteva contestarne le posizioni, ma nessuno (in buona fede) ha mai potuto dubitare della sua lealtà democratica ed istituzionale. Questo favorì lo sbollire del conflitto, o, per meglio dire, il suo naturale incanalarsi nei circuiti della politica. Il venir meno di quel partito crea una situazione nuova, di cui Pera non può non essersi accorto.

Noi non abbiamo contestato la decisione delle gerarchie vaticane di intervenire nella campagna referendaria, anzi, l’abbiamo accolta con soddisfazione. La chiesa che direttamente si misura con la secolarità delle decisioni, che direttamente s’inserisce nel giuoco politico, decide di testimoniare il proprio magistero senza l’anacronistico baluardo di una pretesa intangibilità. Bene, quindi. Sappiamo che ci sono leggi illiberali, in Italia, che considerano illegittimo questo intervento, ma speriamo che Pera, e tutti i democratici ed i laici, s’impegnino a cambiarle. Un tempo (come nella campagna contro il divorzio) sarebbe stata la Dc a condurre la battaglia, oggi le cose sono cambiate.

Ma proprio per come sono cambiate, ecco che diventa significativo vedere la Conferenza Episcopale Italiana stabilire la linea politica e la tattica propagandistica, ed il Presidente del Senato accodarsi. Non contestiamo le convinzioni di Pera (salvo quanto detto in principio), ma escludiamo egli non si renda conto della particolare situazione in cui si è venuto a trovare.

Diciamolo chiaramente: non si sente affatto il bisogno di ripassare per Porta Pia, ma si deve anche stare attenti a non demolire (fra le altre cose) l’ottimo lavoro di laicizzazione fatto proprio dai democristiani. Siamo sicuri che, quando il tempo avrà distanziato il conteggio dei voti, su questo Pera tornerà a riflettere e, forse, ad accorgersi che qualche ragione milita nel senso delle nostre preoccupazioni.

Al termine della campagna referendaria Pera ha detto che la necessaria separazione fra le cose statuali e quelle ecclesiastiche non deve comportare estraneità od indifferenza. Su questo siamo d’accordo. Ma cosa significa? Non certo che vi sia bisogno di una benedizione, magari multiconfessionale, per leggi e decisioni che non attengano strettamente ai campi della normale amministrazione. Invece, deve significare che i dettami etici discendenti da una fede religiosa, da ciascuna fede religiosa, devono poter trovare legittimità d’espressione anche nella vita politica e civile. E quale è lo strumento utilizzabile? Le elezioni, cui si possono presentare formazioni altamente caratterizzate, o in occasione delle quali si possono stringere accordi di tipo contrattuale, come avviene in tutte le grandi democrazie: voi del tal partito ci garantite di battervi per la scuola di un certo tipo, e noi diremo ai nostri fratelli nella fede di votarvi. Nulla da eccepire.

Capita, a cicli ricorrenti, che ci si accorga della domanda di spiritualità così intimamente legata alla natura umana. Capita che credenti distratti si facciano più assidui praticanti, così come capita che nuovi culti tentino di dar risposte a quella domanda. Qual è il compito dello Stato? Di sicuro non quello di entrare nel merito né della domanda né delle risposte, ma di agire in modo che nessun credente rimanga forzosamente senza la propria guida spirituale e nessuna guida possa approfittarne per finalità men che spirituali. Come si vede, lo Stato non è estraneo o indifferente, ma solo se laico, profondamente e risolutamente, può essere il contenitore entro il quale l’autonomia della fede non sia minacciata.

Enrico Cisnetto e Davide Giacalone


Infine, mi sia consentita una nota più personale. Il Presidente Pera – lo so per via di certi suoi (legittimi) sarcasmi – si è arrabbiato per la dura contestazione che gli ho rivolto. Con ciò dimostrando una sanguigna voglia di difendere le sue idee che lo mette, per fortuna, tra i combattenti in un’Italia popolata di cinici e fatalisti. Sappia il Presidente del Senato, ma soprattutto l’amico Marcello, che il filo tagliente del mio giudizio è pari alla stima (immutata) che nutro per lui.

Enrico Cisnetto

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