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Gli equivoci del federalismo a più velocità

L'Italia a pezzetti: un'ipoteca per il futuro?

Ma non è così che ci si difende dalla globalizzazione

di Elio Di Caprio - 28 aprile 2008

Forse persino Gianfranco Miglio, l"ideologo della Lega Nord degli anni novanta, se fosse vivo, aggiornerebbe la sua concezione federalista di un"Italia fondata su tre macro regioni oltre a quelle già esistenti a statuto speciale. Dovrebbe farlo se non altro per tener conto dei mutamenti dell"ultimo decennio che hanno depotenziato le illusorie risposte dei piccoli numeri e delle piccole aree a problemi e sfide sempre più complessi. Per Giulio Tremonti, prossimo ministro del (ri)governo Berlusconi invece il federalismo (non solo fiscale) è ancora la soluzione giusta alla crisi italiana pur con i tempi difficili che si preannunciano nel contesto internazionale tra disordine monetario e penurie energetiche ed alimentari.

Sono molte le contraddizioni che affiorano nel pamphlet dell"esponente del PDL, tra i più venduti in Italia, “La paura e la speranza”, che viene considerato dal direttore del “Corriere della Sera”, Paolo Mieli, un testo fondamentale per i dibattiti politici a venire. E" un saggio che potrebbe essere considerato una sorta di supporto ideologico fornito alla “destra arcobaleno” che va dal regionalista Bossi al nazionalista Fini, all"ecumenico Berlusconi. La sinistra, tradizionalmente esuberante di analisi teoriche e sociologiche, questa volta si trova in difficoltà, attestata come è su una linea ben più arretrata: se l"ideologia è una sovrastruttura delle forze reali in cambiamento, come insegna il marxismo, a quale mai ideologia potrebbe fare riferimento una sinistra allo sbando ed ora perfino espulsa dal parlamento italiano?

Resta Tremonti, resta l"ammucchiata della destra, o meglio la non sinistra, che ambisce a dare un fondamento teorico alle pulsioni che vengono dalla società profonda, al malessere collettivo, allo spirito del tempo che è per l"Occidente un tempo di paura e di incertezze. Si può essere o diventare no-global anche a destra, non in nome e per conto dell"umanità universale ma in difesa delle identità. Se fossimo all"epoca del secolo scorso si direbbe che è alle viste una sorta di “rivoluzione conservatrice” delle società europee, a partire da quella italiana, spaventate e inabili a gestire le tematiche della globalizzazione così come erano state impreparate ai primi del "900 a gestire la società di massa e i pericoli della modernità. Non per nulla nella “summa” ideologica messa a punto da Tremonti nel suo saggio si presenta la globalizzazione ed il disordine che ne sta derivando in tutto il mondo come l"ultimo esito negativo dell"illuminismo e del razionalismo occidentale. Il paradosso è che se ne stiano avvantaggiando la Cina a partito unico e l"India delle caste che pure non hanno mai avuto nulla a che fare con l"illuminismo europeo.

Tremonti arriva ad auspicare per l"Italia e per l"Europa una “visione della vita che non sia materiale ma spirituale, una visione che non escluda Dio e non demonizzi lo Stato”. Sono accenti già sentiti che richiamano altre epoche di crisi. Tutto ritorna, i tempi sono però a tal punto cambiati che forse è venuto il momento di scrollarci l"abitudine di considerarci noi tutti occidentali, compreso Tremonti, l"unico soggetto che pensa alla storia degli altri con i propri parametri. Altri soggetti pensano a noi e alla nostra storia con le loro idee e le loro pulsioni: non c"è solo l"Islam, c"è il continente cinese, le realtà internazionali emergenti con cui ci troviamo già a fare i conti. Secondo alcuni analisti l"ingresso della Cina nel WTO sta alimentando (in maniera irreversibile?) l"egemonia del colosso asiatico sul resto del mondo. E" quanto paventa lo stesso Tremonti. Non è più l"Occidente a cambiare la Cina, ma sarà Confucio a cambiare l"Occidente?

L"allarme a lungo termine riguarda il futuro dell"intero Occidente, non della sola Europa o dell"Italia del nord e del sud. Le ricette di Tremonti per reggere la sfida fanno in gran parte riferimento all"Europa, alla necessità della sua integrazione politica oltre che economica, agli errori da non fare perchè la costruzione prosegua verso un federalismo europeo che abbia i mezzi per preservare le nostre radici e il nostro benessere. Viene auspicato, tra l"altro, un programma nucleare europeo, cosa giustissima, per far fronte alla crisi energetica. Ma è sempre più difficile collocare in questo contesto le spinte autonomiste rinverdite dal successo della Lega, o delle Leghe, alle ultime elezioni. Immaginiamo quello che avverrebbe o potrebbe avvenire quando si tratterà di arrivare ad una decisione unitaria per localizzare le centrali nucleari italiane al nord, al centro o al sud dell"Italia o per scegliere i siti di smaltimento delle scorie. Se è già difficile portare avanti un progetto Europa o un “progetto Paese” per l"Italia, diventano ancora più improponibili progetti regionali o macro regionali di difesa delle frontiere dai processi di globalizzazione che presto, se non contrastati, potranno essere a guida asiatica, se non islamica. Ma chi è in grado di opporsi a quello che potrebbe essere possibile se non ineluttabile? Le piccole patrie padane meglio dell"Italia e dell"Europa? E con quali armi? E poi cosa c"è da difendere? Le frontiere della civiltà occidentale, quelle dell"Europa, quella nazionale, quella regionale o quella del campanile? Sta qui la contraddizione fondamentale dell"etno-localismo, di un"Italia a due o tre velocità, che non convince nei tempi delle frontiere cadute. Una tale prospettiva potrebbe solo contribuire a spezzettare ancor più l"Italia del declino senza darle alcuna forza aggiuntiva.

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