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Reazioni miope ai rialzi

L'inflazione falsante

Il dato europeo è più alto del nostro. Ma le cose non vanno meglio da noi.

di Davide Giacalone - 03 dicembre 2007

L’inflazione che giunge al 2,4 per cento, la più alta dal 2004, spinge molti a fasciarsi la testa e mettere il lutto per il diminuito potere d’acquisto degli italiani. Reazione assai miope, al punto da confondere le idee e deviare dal reale significato di quel campanello d’allarme. S’è accesa una spia sul cruscotto, ma il pilota non sembra capace di capire a cosa si riferisce il guasto. E’ sufficiente allargare lo sguardo, prendere in considerazione l’analogo dato europeo ed accorgersi che è più alto, con un tondo 3 per cento. Le cose vanno meglio da noi? Manco per niente.

La nostra inflazione è minore, ma cattiva. Si compone, per la gran parte, di due elementi: da una parte gli aumenti di pane, pasta e generi alimentari, dall’altra il prezzo del petrolio. La prima componente ha a che vedere minimamente con il costo delle materie prime, e prevalentemente con le rigidità, produttive, lavorative e distributive del nostro mercato interno. In altre parole: quell’inflazione è dovuta a scarsa libertà e concorrenza. La seconda componente, quella energetica, è in gran parte attutita dall’alto valore dell’euro, che ha compensato gli aumenti del petrolio, ma, ed è qui che si dovrebbe ragionare, nel resto d’Europa pesa di più. Perché? Risposta: perché il resto d’Europa cresce di più, quindi consuma più energia. Per giunta il petrolio da noi è consumato per far circolare le macchine più che altrove, il che significa che da noi è consumo quel che altrove è fattore produttivo. Morale della favola: la più alta inflazione europea è un sintomo di buona salute, mentre il più basso tasso nostrano è un segno di doppia malattia.

Ma, si dirà, la gente se ne frega dei gran ragionamenti e quello cui bada è il potere d’acquisto, quindi: minore è l’inflazione meglio si sta. Bel ragionamento da pensionati. Oramai ragioniamo tutti come pensionati, come gente che campa di rendita finanziaria ed è preoccupata che il valore del denaro scenda. Il potere d’acquisto non è dato solo dal tasso d’inflazione, ma anche dalla dinamica della produzione e, quindi, di salari e redditi. Se l’inflazione sale del 3 per cento ed il mio reddito del 5 ci guadagno, ma se sale del 2,4 e il mio reddito resta fermo ci perdo. Il fatto drammatico, quindi, non è quel tasso, ma, semmai, che sui giornali di oggi si leggono opinioni politiche perse alla ricerca di un “controllo dei prezzi”, mentre si dovrebbe leggere un grido forte per la liberazione della produzione. In fondo, anche la classe politica è figlia di questo Paese, e, coerentemente, non prova nemmeno a governare il mercato, ma s’impegna a tutelare le rendite. Diventeremo un gran fondo pensione non più finanziato dal lavoro, quindi ogni giorno più povero. E non sarà mai troppo presto quando chi è ancora in vita s’accorgerà che la cattiva politica pesa maledettamente sul portafoglio.

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