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La retromarcia del Presidente euroscettico

L'Ice? Abbiamo sbagliato, si rifà

Più improvvisazioni che strategia nella guida dell’ ”azienda Italia”

di Elio Di Caprio - 31 ottobre 2011

L’euroscetticismo sta diventando l’ultimo alibi di un governo inadempiente, che ha fatto mille promesse impossibili che non hanno trovato riscontro nella realtà, compresa quella di attrezzare meglio il nostro Paese a penetrare sui nuovi mercati. Saremo tanto scettici che arriveremo al punto che sia il governo e non gli “indignados” a dire “io non pago” per responsabilità non mie, dal debito pubblico ( chi l’ha fatto?) al progetto euro voluto pervicacemente nonostante - come dice il Berlusconi di oggi, ma lo dicono tanti economisti blasonati - il difetto “strategico” di una moneta comune creata senza un governo unitario alle spalle e senza una Banca di riferimento che funga da prestatore di ultima istanza ? Intanto una cosa è certa . Dovremo lavorare di più, aumentare la produttività del sistema paese, aiutare di più le esportazioni, tagliare l’enorme spesa pubblica non tanto per ridurre il debito – obbiettivo dimostratosi sinora irraggiungibile nonostante l’introduzione dell’euro – ma per pagare gli interessi in ascesa dei nostri btp rispetto a quelli tedeschi. Prendersela con l’euro, come ha fatto Silvio Berlusconi nell’assemblea degli esportatori perchè non ci allontana né dalla stagnazione e né dalla recessione? Troppo facile e semplice.

Mai come ora la partita è più grande di noi, dovremmo prendercela più che con l’euro con la crisi finanziaria mondiale che ha messo a nudo le debolezze della moneta comune, ma cosa può fare o non ha fatto la piccola Italia messa nell’angolo e diventata improvvisamente importante solo perché può mandare indirettamente a picco l’intera costruzione dell’unione monetaria europea? Non resta che recriminare e dire alcune “verità” sulla gracilità dell’euro che messe in bocca a Silvio Berlusconi diventano controproducenti solo per la scarsa credibilità del personaggio che ha contribuito al deteriorarsi crescente dell’immagine del Paese che rappresenta.

Diciamo piuttosto che finora non siamo stati all’altezza dei cambiamenti, che la barca Italia non si salva nè con le recriminazioni e né con prese di posizione euroscettiche che fanno discutere per un giorno fino a quando non dimostriamo a noi stessi prima che agli altri di essere capaci di riconquistare un minimo di autonomia senza farci commissariare dai più forti Paesi europei.

Il futuro prossimo non è dei più incoraggianti, ma ancor meno incoraggiante per la nostra risalita è l’immagine che rimandiamo all’estero proprio nei momenti in cui la maggiore attenzione è accentrata su di noi non tanto per le impotenti recriminazioni o per le astuzie euroscettiche quanto per quello che non siamo riusciti e non riusciamo concretamente a fare per uscire con le ossa meno rotte dalla crisi in corso. Tra i tanti bluff ed errori compiuti negli ultimi mesi dal governo in panico è esemplare la soppressione incauta e improvvisata dell’Ice, l’istituto del commercio estero che da 70 anni aiuta l’export italiano con soldi pubblici, a cui dopo solo quattro mesi si pensa di porre frettoloso rimedio con la creazione di una fantomatica Agenzia per l’export, annunciata dallo stesso Berlusconi nel corso degli stati generali del commercio estero. I compiti restano sempre gli stessi, cambia solo il nome e intanto resta l’incognita di come la nuova Agenzia riuscirà a colmare in poco tempo il vuoto operativo che ha interrotto la continuità della nostra promozione all’estero. Non è un bel biglietto da visita per il governo del “fare” ( e del disfare) A tale proposito va ricordato che tali incertezze in uno dei settori trainanti dell’economia, come continua ad essere il commercio estero italiano, sono responsabilità dello stesso personaggio che ci aveva promesso già dal 2001 una rinnovata azienda Italia, veloce e deburocratizzata, pronta a muoversi sui mercati esteri come un sol uomo , semplificata da norme vetuste e intralcianti e finalmente in grado di dare una svolta efficientista a tutta la vita nazionale. L’azienda Italia sarebbe stata pronta a cogliere tutte le occasioni di sviluppo all’estero e gli uffici della Farnesina sarebbero stati strutturati più per vendere che per rappresentare, più per esportare che per studiare voluminosi e nosiosi dossiers di politica internazionale. Infine il Presidente del Consiglio da ex imprenditore avrebbe conferito il sigillo finale di rappresentanza ad un Paese rinnovato e dinamico pronto a misurarsi alla pari con i principali Stati europei. Cosa è rimasto di tante promesse campate in aria? Dopo dieci anni siamo al punto di prima, le riforme annunciate non si sono realizzate,le funzioni delle Ambasciate non sono cambiate, l’Ice è stato soppresso nei mesi scorsi e poi approssimativamente resuscitato e, cosa più grave, l’immagine del nostro Paese all’estero che fino a poco tempo fa si vantava di essere il più solido uscito da una crisi in via di esaurimento ha subito e sta subendo colpi sempre più duri . Ma in un’Italia sempre più slabbrata e confusa se all’export togliamo mezzi ed immagine cosa rimane? Rimane l’euroscetticismo a buon mercato elargito dal Premier nei giorni scorsi e la promessa sulla carta di una fantomatica Agenzia per l’esportazione che, c’è da scommettere, accoglierà e premierà altri transfughi che decidano di correre in aiuto di un governo moribondo. E’ l’ultimo o penultimo bluff di un’ ”azienda Italia” senza strategie, mai nata se non nelle velleità propagandistiche di una classe di governo che copre i suoi fallimenti prendendosela ora con l’euro e ora con l’Europa.

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