Michel Suleiman è stato eletto presidente
Libano, il fallimento dell’Onu
Hanno vinto gli Hezbollah. E il precario equilibrio potrebbe riportare la guerra civiledi Davide Giacalone - 26 maggio 2008
E’ sconcertante la superficialità con cui è stata accolta la notizia dell’elezione di Michel Suleiman alla presidenza libanese. La politica ed il giornalismo italiani si occupano poco degli affari esteri, che sono considerati un terreno esclusivo per addetti ai lavori, ma in quel Libano ci sono i nostri soldati ed i nostri soldi, oltre ai nostri interessi di sicurezza.
Venti giorni fa Hezbollah minacciava il colpo di stato, utilizzando le proprie armi terroristiche non più solo contro Israele, ma contro i cristiani maroniti ed i musulmani sunniti, quindi contro l’equilibrio costituzionale del Libano. Questo solo perché il legittimo governo di Siniora aveva interrotto le linee delle comunicazioni interne fra le truppe di quell’esercito irregolare ed illegale.
Venti giorni dopo, onorando il patto di Doha (la città del Qatar dove la maggioranza libanese ha raggiunto un accordo con Hezbollah) chi minacciò il colpo di stato diventa determinante per la vita del nuovo governo, ed il presidente eletto anche con quei voti parla di apertura alla Siria e buoni rapporti con l’Iran, ovvero i Paesi finanziatori e sostenitori di Hezbollah. E’ quest’ultimo, questo partito presunto di dio e di sicuri criminali, ad avere vinto, e l’unità libanese che sopravvive è solo apparente, perché viola di fatto il patto nazionale del 1943 e scardina l’equilibrio fra le diverse etnie e religioni. C’è un solo spiraglio, un solo appiglio che può salvare il Libano e la pace: che gli altri Paesi arabi, alquanto disinteressati all’unicità della democrazia libanese, abbiano barattato la supremazia di Hezbollah con il consenso di siriani ed iraniani alla mediazione della Turchia, tendente a chiudere il conflitto con Israele. A Tel Aviv qualcuno ci crede, ma sembra essere, più che altro, una via di mezzo fra una pia speranza e la necessità di distrarre l’attenzione dei media dagli scandali che, tanto per cambiare, dilaniano quella democrazia.
In ogni caso, i nostri soldati si trovano in Libano per due motivi: garantire la sicurezza d’Israele e del Libano, disarmando i nemici della pace. La realtà, ora, è questa: Israele continua ad essere bombardata ogni giorno, anche mediante l’uso di Hamas, il gemello palestinese di Hezbollah, ed i nemici della pace sono determinanti per tenere in piedi il governo libanese. Se questo equilibrio fosse destinato alla stabilità, la missione Onu sarebbe fallita e quella Unifil dovrebbe trasformarsi nella protezione d’Israele, con la non secondaria complicazione che gli israeliani si difenderebbero da soli, giustamente attaccando. Se, com’è più probabile, questo equilibrio è alquanto instabile, questo vuol dire che Doha non funzionerà e la guerra civile sfiorata venti giorni fa tornerà violentemente sulla scena, ed in questo caso i nostri militari ci si troverebbero in mezzo. Capisco che non si può trasformare ogni bar d’Italia in un comitato strategico, con gente pronta a giocare con i soldatini. Ma tanta superficialità e disinteresse sono davvero poco giustificati.
Venti giorni dopo, onorando il patto di Doha (la città del Qatar dove la maggioranza libanese ha raggiunto un accordo con Hezbollah) chi minacciò il colpo di stato diventa determinante per la vita del nuovo governo, ed il presidente eletto anche con quei voti parla di apertura alla Siria e buoni rapporti con l’Iran, ovvero i Paesi finanziatori e sostenitori di Hezbollah. E’ quest’ultimo, questo partito presunto di dio e di sicuri criminali, ad avere vinto, e l’unità libanese che sopravvive è solo apparente, perché viola di fatto il patto nazionale del 1943 e scardina l’equilibrio fra le diverse etnie e religioni. C’è un solo spiraglio, un solo appiglio che può salvare il Libano e la pace: che gli altri Paesi arabi, alquanto disinteressati all’unicità della democrazia libanese, abbiano barattato la supremazia di Hezbollah con il consenso di siriani ed iraniani alla mediazione della Turchia, tendente a chiudere il conflitto con Israele. A Tel Aviv qualcuno ci crede, ma sembra essere, più che altro, una via di mezzo fra una pia speranza e la necessità di distrarre l’attenzione dei media dagli scandali che, tanto per cambiare, dilaniano quella democrazia.
In ogni caso, i nostri soldati si trovano in Libano per due motivi: garantire la sicurezza d’Israele e del Libano, disarmando i nemici della pace. La realtà, ora, è questa: Israele continua ad essere bombardata ogni giorno, anche mediante l’uso di Hamas, il gemello palestinese di Hezbollah, ed i nemici della pace sono determinanti per tenere in piedi il governo libanese. Se questo equilibrio fosse destinato alla stabilità, la missione Onu sarebbe fallita e quella Unifil dovrebbe trasformarsi nella protezione d’Israele, con la non secondaria complicazione che gli israeliani si difenderebbero da soli, giustamente attaccando. Se, com’è più probabile, questo equilibrio è alquanto instabile, questo vuol dire che Doha non funzionerà e la guerra civile sfiorata venti giorni fa tornerà violentemente sulla scena, ed in questo caso i nostri militari ci si troverebbero in mezzo. Capisco che non si può trasformare ogni bar d’Italia in un comitato strategico, con gente pronta a giocare con i soldatini. Ma tanta superficialità e disinteresse sono davvero poco giustificati.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.