Venti di novità
Lettera aperta a Mario Monti
La società civile si schiera per cercare di dare a se stessa e all'Italia nuovo lustro10 novembre 2011
Egregio Senatore a vita, Prof. Mario Monti,
siamo un movimento di liberi cittadini, Outsider - Partito degli Esclusi, che ha deciso di rimboccarsi finalmente le maniche per aprire le porte dei Palazzi facendo entrare aria fresca. Siamo stati esclusi e penalizzati dalle cricche e dalle vecchie Caste, che decidono sempre contro i giovani, il futuro e l"innovazione, ma crediamo ancora nella Politica. Finora ci siamo tenuti in disparte perché il sistema scaccia chi è più competente e idealista ma adesso è arrivato il momento di lanciare il cuore oltre l"ostacolo. Vogliamo far crescere la libertà di ognuno in una società pluralista e multietnica. Ci proponiamo di costruire regole di convivenza che aumentino le opportunità individuali e di vigilare affinché la libertà non sia un diritto teorico ma una effettiva condizione di vita. Adottiamo i valori e il metodo liberaldemocratici e laici, perché, alle prove della storia, si sono dimostrati gli strumenti più efficaci per molteplici obiettivi: dare modo ad ogni donna e ad ogni uomo di esprimere se stessi e interagire con gli altri, potenziare la conoscenza affidando la libertà di ricerca a scienziati responsabili e trasparenti, promuovere il benessere con il cambiamento innovativo, amministrare la giustizia nel segno del diritto e della dignità umana, influenzare il futuro poggiando sulla memoria del passato e sulla sua eredità di cultura e di bellezza. Questa nostra identità politica ci distingue da tutti coloro che, a destra, al centro e a sinistra, non mettono la libertà e il rispetto della persona prima di ogni valore. La classe politica e dirigente attuale ha fallito in quasi tutto, consegnandoci un Paese mutilato culturalmente ed economicamente. C"è una sola cosa che i suoi rappresentanti possono fare, se davvero hanno a cuore le nostre sorti, ed è quella di farsi da parte. E" finito il tempo di elencare cosa non va e ascoltare l"ennesima di tante proposte di cambiamento, tutte inconsistenti quanto prive di qualsiasi fondamento. E" finito il tempo della retorica da cui ci siamo fatti rapire troppo a lungo: berlusconismo e antiberlusconismo sono oggi la stessa cosa; come lo sono destra e sinistra, o tutte quelle sigle che del cambiamento hanno fatto il loro mantra ma che alla prova dei fatti sono solo i cloni rivestiti di chi li ha preceduti; come lo sono quei movimenti elitari, salottieri, intellettuali, il cui unico interesse è sovvertire gli equilibri del potere per rimpiazzarli con mali peggiori.
Noi dobbiamo invece trovare il coraggio di reagire prima che sia troppo tardi, prima che il sogno muoia sotto il peso della frustrazione. La nostra macro-generazione deve decidere se lasciare il proprio futuro nelle mani di chi ci sta trascinando verso il baratro economico e culturale, delle corporazioni che uccidono ogni libera iniziativa, della burocrazia di uno Stato che complica, invece di chiarire, la vita al cittadino, o se riprendere in mano le redini del proprio destino. Vogliamo che l"Italia ritorni ad essere un sogno, un modello, un punto di riferimento per tutti e non solo per la sua storia o per il suo territorio, anch"esso ormai umiliato dall"incapacità dei suoi amministratori.
Vogliamo costruire la Società aperta, che non abbia paura del nuovo, dello straniero, della concorrenza. Noi non siamo contro la politica ma, al contrario, siamo per una politica che non invada la sfera dell"iniziativa privata, non sia orientata solo al potere ma rappresenti ed elabori la moltitudine degli interessi individuali senza compromettere il futuro di qualcuno. Questa è l"Italia degli outsider e degli esclusi, di quelle generazioni che, nonostante tutto, hanno iniziato o continuano a creare idee e prodotti di successo, a lavorare duro, a cambiare il mondo. Ci siamo ritrovati tra decine di giovani, uomini e donne, italiani all"estero e stranieri in Italia, finora penalizzati ed estromessi dalle grandi scelte strategiche del Paese.
Alcuni di noi hanno una tessera di partito e porteranno i nostri valori in quelle organizzazioni per tramutarle dall"interno, altri sono sempre stati fuori dai partiti e ora vogliono aiutare l"Italia a tornare una meta, un desiderio e non una ragione di fuga. Abbiamo le idee chiare: aprire la società per dare più potere ai cittadini e liberalizzare il mercato per stimolare l"iniziativa individuale. Ma abbiamo soprattutto un metodo - che chi ha la presunzione di rappresentarci (la politica) e di comandarci (la gerontocrazia imperante) non ha. Siamo per il metodo scientifico nella soluzione dei problemi, siamo per la trasparenza e la verificabilità dei dati su cui si basano le decisioni politiche, affinché chi le propone sappia motivarle e se ne prenda le responsabilità. Siamo quelli che vogliono che i cialtroni si facciano da parte, per lasciare spazio a chi sa coniugare esperienza e competenze nell"interesse di tutti. Sosteniamo l’urgenza di grandi riforme, che modifichino strutturalmente gli assetti industriali e finanziari del Paese. La nostra analisi muove dalla constatazione che – con l’avvento della globalizzazione e della conseguente dimensione “liquida” dell’economia – non ha più senso parlare di paesi sviluppati e di paesi in via di sviluppo: ogni nazione deve considerarsi continuamente in via di sviluppo e quindi bisognosa non solo di libero mercato ma anche di regole e controlli da parte dello Stato. Il sistema produttivo italiano è arretrato e in declino, sopravvive grazie alle rendite: da un lato dobbiamo insistere per l’attuazione di politiche settoriali che incentivino l’innovazione e la produttività delle imprese italiane, favorendone la buona competitività sul mercato globale. E’ inutile continuare a fabbricare t-shirts o bulloni, con i giganti asiatici ormai in gioco, mentre è sensato puntare sulle produzioni a più alto valore aggiunto in comparti quali la chimica, l’elettronica di precisione, l’informatica, i servizi tecnologici avanzati, le cosiddette “industrie verdi” e le fonti energetiche rinnovabili. Da rilanciare inoltre un turismo di alta qualità e di potente richiamo internazionale. Naturalmente, va sostenuto il made in Italy della moda, dell’enogastronomia e dell’artigianato, settori che tuttavia non basterebbero mai, da soli, a farci competere con le economie emergenti. Dall’altro lato, è indispensabile dotare l’Italia di infrastrutture e trasporti che giustifichino lo sviluppo e gli investimenti, con nuove reti materiali e immateriali. Autostrade più grandi, collegamenti ferroviari ad alta velocità, un trasporto aereo nazionale efficiente e sano, porti e aeroporti in grado di trasformare i nostri scali in veri e propri HUB del mercato euro-asiatico. Ma sono necessarie anche reti di trasmissione-dati ad alta e altissima velocità, e la copertura con adsl dei tanti Comuni che in Italia ancora non ne sono raggiunti. Una informatizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione sono condizioni di base per aprire le porte allo sviluppo e un volano per l’informatizzazione dell’intera società civile (imprese e cittadini). Infine, siamo a favore di una massiccia e autentica liberalizzazione di mercati primari per l’economia italiana (energia, comunicazioni, trasporti, servizi pubblici locali). Tutto questo, mentre un debito mostruoso e la crisi finanziaria mettono a repentaglio la tenuta economica dello Stato e il futuro delle nuove generazioni, che dovranno pagare prezzi enormi per le spese folli del passato. Rifiutiamo proposte demagogiche quali la riduzione fine a sé stessa dell’imposizione fiscale. Per quanto riguarda le nuove imprese e in particolare l’imprenditoria giovanile e femminile, sosteniamo con forza la necessità di interventi che non siano di facciata o irrilevanti (come microcrediti di poche migliaia di euro, che andrebbero bene in Paesi poverissimi) bensì radicali e realmente motivanti: per esempio, la predisposizione di un Fondo di Garanzia per i giovani neo-imprenditori e dei relativi accordi con il sistema bancario, affinché le nuove generazioni siano incoraggiate e facilitate nell’ottenimento del credito per la creazione d’impresa. Inoltre, sarebbero decisivi gli esoneri dai minimi contributivi Inps (spesso delle autentiche “strozzature” per le giovani start-up commerciali). In generale, vorremmo il Ministero dell’Economia e della Gioventù, in uno.
Siamo consapevoli che buona parte dei ragionamenti sulla flessibilità/precarietà/dualità del lavoro non si risolvono senza sanare e trasformare il sistema produttivo, che ne costituisce la base. Senza buone imprese, non c’è buon lavoro. Tuttavia, ci sono state anche una serie di mancate scelte a favore o, peggio, di scelte prese contro la categoria dei più giovani e precari. Si può fare qualcosa, in Italia, malgrado le difficoltà economiche di fondo. In primo luogo, non riservando alle sole nuove generazioni lo status di “flessibili”, facendo scelte politiche di condivisione inter-generazionale della elasticità lavorativa. Siamo per il contratto unico di lavoro.
In secondo luogo, ponendo le basi per un sistema di welfare più moderno, “delle opportunità”, che consenta ai giovani di non restare stagisti a vita, di mettere a frutto con nuove formazioni professionali i momenti di stand-by lavorativo, di reggere al contraccolpo rappresentato da una improvvisa perdita del reddito. A questo, aggiungiamo una constatazione preoccupante: più della metà dei giovani precari risulta oggi al servizio della Pubblica Amministrazione, dove invece resistono – come testimoniano innumerevoli e seri studi – importanti sacche di personale improduttivo e inamovibile, di età sicuramente più avanzata. Un ulteriore aspetto di ingiustificata penalizzazione dei giovani lavoratori è la progressiva dequalificazione del lavoro, con stipendi troppo bassi e una strisciante proletarizzazione del ceto medio italiano di domani (generazione 1000 euro).
Infine, i contributi alla famiglia: assegni, deduzioni, detrazioni e servizi (come asili nido) che, sul modello tedesco, diano ossigeno e prospettive ai giovani nella creazione di nuovi nuclei familiari con figli, per tornare ad una crescente natalità, per superare la crisi di progettualità e di futuro delle nostre generazioni. In buona parte, tutti questi punti possono e devono essere affrontati con politiche che distribuiscano in maniera più equa gli sforzi tra i vari strati della “società anagrafica” italiana. Constatiamo con preoccupazione come una valanga di centinaia e centinaia di miliardi di euro si prepari a travolgere il sistema pensionistico italiano, nei prossimi anni. Questo denaro, che dovrà essere pagato in toto da chi oggi ha meno di 40 anni, rischia di innescare una grave crisi economica e sociale nel Paese. Le nostre generazioni dovranno farsi carico del mantenimento dei più anziani con proporzioni di spesa che porteranno molti milioni di persone, ora giovani, verso livelli di vera e propria povertà. Per questo vogliamo l’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni, uguale per uomini e donne.
Per non impedire il ricambio generazionale e tuttavia fare i conti con la più elevata età di abbandono del lavoro, serve poi una profonda riflessione sulle soluzioni da applicare alla “ageing society” (la società che invecchia): soluzioni che consentano di mantenere il contributo produttivo dei più anziani, insieme favorendo l’assunzione di responsabilità e la qualificazione professionale dei più giovani. Appoggiamo l’idea di una ragionata e generalizzata (ma non ottusa) apertura dei mercati e degli accessi alle professioni, con il passaggio dagli Ordini alle associazioni. In Italia, ai fini di tutelare e “blindare” le condizioni sociali ed economiche di determinate categorie professionali, si è arrivati alla creazione di vere e proprie caste, dannose se si vogliono professionisti più giovani e meglio preparati. Siamo inoltre a favore della superamento del valore legale del titolo di studio, come avvenuto in diversi Paesi europei, affinché la competizione debba giocarsi sul terreno delle competenze, della bravura, della qualità dei servizi offerti e non delle formalità dei ruoli.
Introdurre criteri meritocratici sostanziali nelle Università italiane, premiando le ricerche di maggior valore e superando inutili baronati, è uno dei nostri obiettivi principali. La creazione di un Fondo per l’Innovazione ad hoc, come si vuole realizzare su scala globale ad opera della Banca Mondiale e dell’ONU nei confronti della ricerca pubblica/privata, sembra un’idea applicabile anche al microcosmo nazionale italiano. Per quanto riguarda la formazione universitaria, è necessario un sistema più selettivo e maggiormente collegato al mondo economico privato: a tal fine, ha certamente senso orientare i giovani verso facoltà scientifiche, per favorire la formazione di competenze realmente necessarie in un sistema produttivo moderno, ma senza penalizzare quelle artistiche e umanistiche che costituiscono un punto strategico per la presenza italiana nel panorama mondiale. Crediamo nel progetto di Stati Uniti d’Europa, condividendo la visione di un federalismo verso l’alto che consenta agli Stati membri di mantenere le proprie differenze e peculiarità, oltre che una propria autonomia istituzionale e un’identità culturale forte ma aperta all’integrazione tra popoli di diverse origini. Sosteniamo la necessità di una conformazione europea poliarchica più vicina ai cittadini-elettori, con l’accentuazione dei caratteri democratici nella scelta dei rappresentanti e nell’esercizio dei compiti di governo. Siamo a favore di una UE dotata di personalità unitaria e ben definita nelle materie di politica estera, energetica e commerciale internazionale.
Contestiamo ogni forma di estremismo, sia esso di tipo religioso, culturale, politico. Sostiene inoltre fermamente il valore imprescindibile della laicità degli Stati. Non può quindi che disapprovare fenomeni di violenza politica e di integralismo, ovunque questi si verifichino. Quanto all’immigrazione in Italia, crediamo necessaria un’integrazione che non sacrifichi i diritti umani e le diversità culturali di origine, ma nemmeno rifiuti i principi di osservanza della legalità e di rispetto delle culture ospitanti. Alcune persone, poi, non possono essere considerate “ospiti”: è inaccettabile che molti giovani italiani, seconde generazioni figlie di immigrati, non abbiano la cittadinanza malgrado siano, spesso, persino più italiani di noi per cultura, esperienza e aspirazioni personali. Non siamo per l’anti-politica. Siamo per un nuovo ruolo forte dei partiti politici, anziché per il loro definitivo superamento. L’attuale configurazione dei partiti italiani – più simili a comitati elettorali dominati da piccole elites – è però inefficiente e non garantisce a queste fondamentali organizzazioni di svolgere la loro essenziale funzione di tramiti rappresentativi tra la cittadinanza e l’amministrazione politica. Il riferimento al “metodo democratico”, inserito nella Costituzione all’articolo 49, ha dimostrato d’essere eccessivamente blando e generico: bisogna fissare le regole di funzionamento interno dei partiti con maggiore precisione, come accade per esempio in Spagna e Germania, a livello costituzionale o almeno legislativo ordinario. Pensiamo per esempio a una regolazione attenta delle primarie e alle tutele delle pari opportunità. Solo in questo modo, con strutture di partito realmente contendibili e in grado di formare, selezionare e dare occasioni di emersione ai soggetti più capaci, si potrà tornare a parlare di “ricambio di classe dirigente”, paroloni altrimenti vuoti e da salotto. La democraticità dei meccanismi interni di partito consentirebbe inoltre di evitare discriminazioni sulla mera base delle disponibilità economiche o della fama degli attori politici, mettendo anche i più giovani – solitamente meno “attrezzati” – nelle condizioni di competere e di raccogliere consensi, a tutto vantaggio della democrazia. Siamo contro un sistema non meritocratico di pure cooptazioni. Riteniamo necessario che – soprattutto in un periodo in cui la lontananza dei cittadini dalla politica è ai massimi – sia ridata agli elettori la possibilità di scegliere il proprio candidato. Sosteniamo la necessità di riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale alla tedesca (con sbarramento al 5%) o maggioritario alla francese (con doppio turno). Entrambe queste soluzioni consentirebbero una più efficace governabilità del Paese, riducendo la presenza e il peso delle forze troppo piccole o estreme.
Quanto detto a proposito dei sistemi di democraticità interna dei partiti, logicamente, ci porta a non volere meccanismi quali le quote-rosa o le quote-giovani: trucchi inutili se in presenza di partiti sani, solidi e rappresentativi. Un’analoga analisi, con le medesime premesse sulla “salute” dei partiti, va fatta circa le preferenze: siamo per la loro reintroduzione, ma richiamiamo l’attenzione sul fatto che spesso l’espressione di preferenze verso singoli nomi, nelle liste e specialmente con circoscrizioni troppo grandi, non va a vantaggio dei candidati con meno mezzi materiali, premiando invece in molti casi gli investimenti economici più ingenti e i legami clientelari. Per questo, servono controlli e una maggiore trasparenza sull’operato dei candidati e degli eletti. Crediamo nella somma validità dei principi contenuti nella Carta Costituzionale, ma non pensiamo che questa sia intangibile e irriformabile a tutti i costi, laddove ciò avvenga in modo responsabile e senza stravolgimenti. Questo significa disapprovare le modifiche fatte a colpi di maggioranza, ma anche insistere affinché si creino le condizioni per una revisione della Costituzione il più possibile armonica, partecipata e condivisa: attraverso l’istituzione di un’Assemblea Costituente, che permetta di riscrivere le regole del gioco senza strappi e con animo politico costruttivo. Un’Assemblea alla quale contribuiscano anche i rappresentanti delle categorie finora escluse dal dibattito politico, rinnovando così quello spirito costituente e quel sentimento di impegno civile che furono alla base della nascita repubblicana. Siamo convinti che la Carta, con le dovute prudenze, possa e debba essere integrata anche nella sua prima parte, quella dei princìpi, adeguandola alle nuove esigenze della modernità; quanto agli assetti amministrativi dello Stato, non ci convince un federalismo moltiplicatore di costi, anzi appoggiamo l’idea di eliminare enti e strutture inutili (ad esempio le Province) e di snellire lo Stato burocratico a favore di una più sensata integrazione verso l’alto, trovandoci nel contesto europeo e confrontandoci con le problematiche causate dalla globalizzazione.
Siamo l"Italia di chi vuole innovare; di chi non ha paura del diverso, consapevole che è nella diversità che prende forma l"evoluzione. Oggi siamo noi a sentirci diversi, estranei ad un sistema in cui non ci possiamo più riconoscere, ostile al merito e alla libera iniziativa. Noi Outsider ci stiamo riunendo per provare a cambiare, per riprenderci quello spazio individuale che appartiene solo a noi e alle generazioni che ci seguiranno. Siamo stanchi di farci umiliare assistendo al teatrino quotidiano del nulla, assuefatti dall"arte retorica dei suoi attori ed emissari. Non vogliamo vivere con il rimorso verso i nostri figli e nipoti, verso noi stessi, il rimorso di chi ha solo subito. Forse falliremo, ma sarà comunque un successo averci provato mentre tutto sembrava addormentato, scontato, rassegnato. Un successo per chi ama il nostro Paese, per chi vuole costruire un"Italia aperta, prosperosa, di cittadini liberi. Ora, Lei è in procinto di diventare il nostro Presidente del Consiglio, alla guida di un Governo di solidarietà nazionale che potrà veramente trasformare a fondo l"Italia. In Lei e nella responsabilità del Parlamento, noi Outsider riponiamo oggi molte speranze. Il momento è drammatico, non ci deluda, deluderebbe il futuro di questo magnifico, creativo, ferito Paese.
Gianpiero Alaimo (Dirigente d"azienda), Fabio Giuseppe Angelini (Avvocato), Paolo Balboni (Avvocato), Marco Bertolotto (Medico), Armando Biondi (Imprenditore), Luca Bolognini (Avvocato), Stefano Brustia (Avvocato), Daniele Catteddu (Dirigente), Sandro Cotellessa (Impiegato), Francesco Dagnino (Avvocato), Marco De Amicis (Funzionario ONG), Annamaria De Michele (Avvocato), Piercamillo Falasca (Economista), Marco Ferraro (Funzionario europeo), Guglielmo Forgeschi (Medico), Valentina Gavioli (Avvocato), Michele Gerace (Giurista), Fred Kuwornu (Regista), Lorenzo Lo Basso (Giornalista), Francesco Lucà (Dottore Commercialista), Simone Maccaferri (Funzionario di banca), Caterina Mannacio Soderini (Impiegata), Sara Marcozzi (Avvocato), Luigi Massa (Avvocato), Simona Nalin (Assistente Parlamentare), Flavio Notari (Economista), Alessandro Olmo (Avvocato), Pietro Paganini (Docente universitario), Gianfranco Passalacqua (Avvocato), Marco Piana (Private equity), Antonio Picasso (Giornalista), Massimo Preziuso (Ingegnere), Roberto Race (Giornalista), Morena Ragone (Giurista), Giuseppe Ragusa (Docente universitario), Stefano Rampinini (Imprenditore), Alessandro Rapisarda (Consulente del Lavoro), Roberto Ruggiero (Impiegato), Lucio Scudiero (Giurista), Fabiana Tenerelli (Imprenditrice), Valerio Togni (Economista), Marco Toia (Odontoiatra), Alessandro Tuffu (Imprenditore), Marco Villa (Venture capitalist) – e gli altri cittadini del www.partitodeglioutsider.it
siamo un movimento di liberi cittadini, Outsider - Partito degli Esclusi, che ha deciso di rimboccarsi finalmente le maniche per aprire le porte dei Palazzi facendo entrare aria fresca. Siamo stati esclusi e penalizzati dalle cricche e dalle vecchie Caste, che decidono sempre contro i giovani, il futuro e l"innovazione, ma crediamo ancora nella Politica. Finora ci siamo tenuti in disparte perché il sistema scaccia chi è più competente e idealista ma adesso è arrivato il momento di lanciare il cuore oltre l"ostacolo. Vogliamo far crescere la libertà di ognuno in una società pluralista e multietnica. Ci proponiamo di costruire regole di convivenza che aumentino le opportunità individuali e di vigilare affinché la libertà non sia un diritto teorico ma una effettiva condizione di vita. Adottiamo i valori e il metodo liberaldemocratici e laici, perché, alle prove della storia, si sono dimostrati gli strumenti più efficaci per molteplici obiettivi: dare modo ad ogni donna e ad ogni uomo di esprimere se stessi e interagire con gli altri, potenziare la conoscenza affidando la libertà di ricerca a scienziati responsabili e trasparenti, promuovere il benessere con il cambiamento innovativo, amministrare la giustizia nel segno del diritto e della dignità umana, influenzare il futuro poggiando sulla memoria del passato e sulla sua eredità di cultura e di bellezza. Questa nostra identità politica ci distingue da tutti coloro che, a destra, al centro e a sinistra, non mettono la libertà e il rispetto della persona prima di ogni valore. La classe politica e dirigente attuale ha fallito in quasi tutto, consegnandoci un Paese mutilato culturalmente ed economicamente. C"è una sola cosa che i suoi rappresentanti possono fare, se davvero hanno a cuore le nostre sorti, ed è quella di farsi da parte. E" finito il tempo di elencare cosa non va e ascoltare l"ennesima di tante proposte di cambiamento, tutte inconsistenti quanto prive di qualsiasi fondamento. E" finito il tempo della retorica da cui ci siamo fatti rapire troppo a lungo: berlusconismo e antiberlusconismo sono oggi la stessa cosa; come lo sono destra e sinistra, o tutte quelle sigle che del cambiamento hanno fatto il loro mantra ma che alla prova dei fatti sono solo i cloni rivestiti di chi li ha preceduti; come lo sono quei movimenti elitari, salottieri, intellettuali, il cui unico interesse è sovvertire gli equilibri del potere per rimpiazzarli con mali peggiori.
Noi dobbiamo invece trovare il coraggio di reagire prima che sia troppo tardi, prima che il sogno muoia sotto il peso della frustrazione. La nostra macro-generazione deve decidere se lasciare il proprio futuro nelle mani di chi ci sta trascinando verso il baratro economico e culturale, delle corporazioni che uccidono ogni libera iniziativa, della burocrazia di uno Stato che complica, invece di chiarire, la vita al cittadino, o se riprendere in mano le redini del proprio destino. Vogliamo che l"Italia ritorni ad essere un sogno, un modello, un punto di riferimento per tutti e non solo per la sua storia o per il suo territorio, anch"esso ormai umiliato dall"incapacità dei suoi amministratori.
Vogliamo costruire la Società aperta, che non abbia paura del nuovo, dello straniero, della concorrenza. Noi non siamo contro la politica ma, al contrario, siamo per una politica che non invada la sfera dell"iniziativa privata, non sia orientata solo al potere ma rappresenti ed elabori la moltitudine degli interessi individuali senza compromettere il futuro di qualcuno. Questa è l"Italia degli outsider e degli esclusi, di quelle generazioni che, nonostante tutto, hanno iniziato o continuano a creare idee e prodotti di successo, a lavorare duro, a cambiare il mondo. Ci siamo ritrovati tra decine di giovani, uomini e donne, italiani all"estero e stranieri in Italia, finora penalizzati ed estromessi dalle grandi scelte strategiche del Paese.
Alcuni di noi hanno una tessera di partito e porteranno i nostri valori in quelle organizzazioni per tramutarle dall"interno, altri sono sempre stati fuori dai partiti e ora vogliono aiutare l"Italia a tornare una meta, un desiderio e non una ragione di fuga. Abbiamo le idee chiare: aprire la società per dare più potere ai cittadini e liberalizzare il mercato per stimolare l"iniziativa individuale. Ma abbiamo soprattutto un metodo - che chi ha la presunzione di rappresentarci (la politica) e di comandarci (la gerontocrazia imperante) non ha. Siamo per il metodo scientifico nella soluzione dei problemi, siamo per la trasparenza e la verificabilità dei dati su cui si basano le decisioni politiche, affinché chi le propone sappia motivarle e se ne prenda le responsabilità. Siamo quelli che vogliono che i cialtroni si facciano da parte, per lasciare spazio a chi sa coniugare esperienza e competenze nell"interesse di tutti. Sosteniamo l’urgenza di grandi riforme, che modifichino strutturalmente gli assetti industriali e finanziari del Paese. La nostra analisi muove dalla constatazione che – con l’avvento della globalizzazione e della conseguente dimensione “liquida” dell’economia – non ha più senso parlare di paesi sviluppati e di paesi in via di sviluppo: ogni nazione deve considerarsi continuamente in via di sviluppo e quindi bisognosa non solo di libero mercato ma anche di regole e controlli da parte dello Stato. Il sistema produttivo italiano è arretrato e in declino, sopravvive grazie alle rendite: da un lato dobbiamo insistere per l’attuazione di politiche settoriali che incentivino l’innovazione e la produttività delle imprese italiane, favorendone la buona competitività sul mercato globale. E’ inutile continuare a fabbricare t-shirts o bulloni, con i giganti asiatici ormai in gioco, mentre è sensato puntare sulle produzioni a più alto valore aggiunto in comparti quali la chimica, l’elettronica di precisione, l’informatica, i servizi tecnologici avanzati, le cosiddette “industrie verdi” e le fonti energetiche rinnovabili. Da rilanciare inoltre un turismo di alta qualità e di potente richiamo internazionale. Naturalmente, va sostenuto il made in Italy della moda, dell’enogastronomia e dell’artigianato, settori che tuttavia non basterebbero mai, da soli, a farci competere con le economie emergenti. Dall’altro lato, è indispensabile dotare l’Italia di infrastrutture e trasporti che giustifichino lo sviluppo e gli investimenti, con nuove reti materiali e immateriali. Autostrade più grandi, collegamenti ferroviari ad alta velocità, un trasporto aereo nazionale efficiente e sano, porti e aeroporti in grado di trasformare i nostri scali in veri e propri HUB del mercato euro-asiatico. Ma sono necessarie anche reti di trasmissione-dati ad alta e altissima velocità, e la copertura con adsl dei tanti Comuni che in Italia ancora non ne sono raggiunti. Una informatizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione sono condizioni di base per aprire le porte allo sviluppo e un volano per l’informatizzazione dell’intera società civile (imprese e cittadini). Infine, siamo a favore di una massiccia e autentica liberalizzazione di mercati primari per l’economia italiana (energia, comunicazioni, trasporti, servizi pubblici locali). Tutto questo, mentre un debito mostruoso e la crisi finanziaria mettono a repentaglio la tenuta economica dello Stato e il futuro delle nuove generazioni, che dovranno pagare prezzi enormi per le spese folli del passato. Rifiutiamo proposte demagogiche quali la riduzione fine a sé stessa dell’imposizione fiscale. Per quanto riguarda le nuove imprese e in particolare l’imprenditoria giovanile e femminile, sosteniamo con forza la necessità di interventi che non siano di facciata o irrilevanti (come microcrediti di poche migliaia di euro, che andrebbero bene in Paesi poverissimi) bensì radicali e realmente motivanti: per esempio, la predisposizione di un Fondo di Garanzia per i giovani neo-imprenditori e dei relativi accordi con il sistema bancario, affinché le nuove generazioni siano incoraggiate e facilitate nell’ottenimento del credito per la creazione d’impresa. Inoltre, sarebbero decisivi gli esoneri dai minimi contributivi Inps (spesso delle autentiche “strozzature” per le giovani start-up commerciali). In generale, vorremmo il Ministero dell’Economia e della Gioventù, in uno.
Siamo consapevoli che buona parte dei ragionamenti sulla flessibilità/precarietà/dualità del lavoro non si risolvono senza sanare e trasformare il sistema produttivo, che ne costituisce la base. Senza buone imprese, non c’è buon lavoro. Tuttavia, ci sono state anche una serie di mancate scelte a favore o, peggio, di scelte prese contro la categoria dei più giovani e precari. Si può fare qualcosa, in Italia, malgrado le difficoltà economiche di fondo. In primo luogo, non riservando alle sole nuove generazioni lo status di “flessibili”, facendo scelte politiche di condivisione inter-generazionale della elasticità lavorativa. Siamo per il contratto unico di lavoro.
In secondo luogo, ponendo le basi per un sistema di welfare più moderno, “delle opportunità”, che consenta ai giovani di non restare stagisti a vita, di mettere a frutto con nuove formazioni professionali i momenti di stand-by lavorativo, di reggere al contraccolpo rappresentato da una improvvisa perdita del reddito. A questo, aggiungiamo una constatazione preoccupante: più della metà dei giovani precari risulta oggi al servizio della Pubblica Amministrazione, dove invece resistono – come testimoniano innumerevoli e seri studi – importanti sacche di personale improduttivo e inamovibile, di età sicuramente più avanzata. Un ulteriore aspetto di ingiustificata penalizzazione dei giovani lavoratori è la progressiva dequalificazione del lavoro, con stipendi troppo bassi e una strisciante proletarizzazione del ceto medio italiano di domani (generazione 1000 euro).
Infine, i contributi alla famiglia: assegni, deduzioni, detrazioni e servizi (come asili nido) che, sul modello tedesco, diano ossigeno e prospettive ai giovani nella creazione di nuovi nuclei familiari con figli, per tornare ad una crescente natalità, per superare la crisi di progettualità e di futuro delle nostre generazioni. In buona parte, tutti questi punti possono e devono essere affrontati con politiche che distribuiscano in maniera più equa gli sforzi tra i vari strati della “società anagrafica” italiana. Constatiamo con preoccupazione come una valanga di centinaia e centinaia di miliardi di euro si prepari a travolgere il sistema pensionistico italiano, nei prossimi anni. Questo denaro, che dovrà essere pagato in toto da chi oggi ha meno di 40 anni, rischia di innescare una grave crisi economica e sociale nel Paese. Le nostre generazioni dovranno farsi carico del mantenimento dei più anziani con proporzioni di spesa che porteranno molti milioni di persone, ora giovani, verso livelli di vera e propria povertà. Per questo vogliamo l’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni, uguale per uomini e donne.
Per non impedire il ricambio generazionale e tuttavia fare i conti con la più elevata età di abbandono del lavoro, serve poi una profonda riflessione sulle soluzioni da applicare alla “ageing society” (la società che invecchia): soluzioni che consentano di mantenere il contributo produttivo dei più anziani, insieme favorendo l’assunzione di responsabilità e la qualificazione professionale dei più giovani. Appoggiamo l’idea di una ragionata e generalizzata (ma non ottusa) apertura dei mercati e degli accessi alle professioni, con il passaggio dagli Ordini alle associazioni. In Italia, ai fini di tutelare e “blindare” le condizioni sociali ed economiche di determinate categorie professionali, si è arrivati alla creazione di vere e proprie caste, dannose se si vogliono professionisti più giovani e meglio preparati. Siamo inoltre a favore della superamento del valore legale del titolo di studio, come avvenuto in diversi Paesi europei, affinché la competizione debba giocarsi sul terreno delle competenze, della bravura, della qualità dei servizi offerti e non delle formalità dei ruoli.
Introdurre criteri meritocratici sostanziali nelle Università italiane, premiando le ricerche di maggior valore e superando inutili baronati, è uno dei nostri obiettivi principali. La creazione di un Fondo per l’Innovazione ad hoc, come si vuole realizzare su scala globale ad opera della Banca Mondiale e dell’ONU nei confronti della ricerca pubblica/privata, sembra un’idea applicabile anche al microcosmo nazionale italiano. Per quanto riguarda la formazione universitaria, è necessario un sistema più selettivo e maggiormente collegato al mondo economico privato: a tal fine, ha certamente senso orientare i giovani verso facoltà scientifiche, per favorire la formazione di competenze realmente necessarie in un sistema produttivo moderno, ma senza penalizzare quelle artistiche e umanistiche che costituiscono un punto strategico per la presenza italiana nel panorama mondiale. Crediamo nel progetto di Stati Uniti d’Europa, condividendo la visione di un federalismo verso l’alto che consenta agli Stati membri di mantenere le proprie differenze e peculiarità, oltre che una propria autonomia istituzionale e un’identità culturale forte ma aperta all’integrazione tra popoli di diverse origini. Sosteniamo la necessità di una conformazione europea poliarchica più vicina ai cittadini-elettori, con l’accentuazione dei caratteri democratici nella scelta dei rappresentanti e nell’esercizio dei compiti di governo. Siamo a favore di una UE dotata di personalità unitaria e ben definita nelle materie di politica estera, energetica e commerciale internazionale.
Contestiamo ogni forma di estremismo, sia esso di tipo religioso, culturale, politico. Sostiene inoltre fermamente il valore imprescindibile della laicità degli Stati. Non può quindi che disapprovare fenomeni di violenza politica e di integralismo, ovunque questi si verifichino. Quanto all’immigrazione in Italia, crediamo necessaria un’integrazione che non sacrifichi i diritti umani e le diversità culturali di origine, ma nemmeno rifiuti i principi di osservanza della legalità e di rispetto delle culture ospitanti. Alcune persone, poi, non possono essere considerate “ospiti”: è inaccettabile che molti giovani italiani, seconde generazioni figlie di immigrati, non abbiano la cittadinanza malgrado siano, spesso, persino più italiani di noi per cultura, esperienza e aspirazioni personali. Non siamo per l’anti-politica. Siamo per un nuovo ruolo forte dei partiti politici, anziché per il loro definitivo superamento. L’attuale configurazione dei partiti italiani – più simili a comitati elettorali dominati da piccole elites – è però inefficiente e non garantisce a queste fondamentali organizzazioni di svolgere la loro essenziale funzione di tramiti rappresentativi tra la cittadinanza e l’amministrazione politica. Il riferimento al “metodo democratico”, inserito nella Costituzione all’articolo 49, ha dimostrato d’essere eccessivamente blando e generico: bisogna fissare le regole di funzionamento interno dei partiti con maggiore precisione, come accade per esempio in Spagna e Germania, a livello costituzionale o almeno legislativo ordinario. Pensiamo per esempio a una regolazione attenta delle primarie e alle tutele delle pari opportunità. Solo in questo modo, con strutture di partito realmente contendibili e in grado di formare, selezionare e dare occasioni di emersione ai soggetti più capaci, si potrà tornare a parlare di “ricambio di classe dirigente”, paroloni altrimenti vuoti e da salotto. La democraticità dei meccanismi interni di partito consentirebbe inoltre di evitare discriminazioni sulla mera base delle disponibilità economiche o della fama degli attori politici, mettendo anche i più giovani – solitamente meno “attrezzati” – nelle condizioni di competere e di raccogliere consensi, a tutto vantaggio della democrazia. Siamo contro un sistema non meritocratico di pure cooptazioni. Riteniamo necessario che – soprattutto in un periodo in cui la lontananza dei cittadini dalla politica è ai massimi – sia ridata agli elettori la possibilità di scegliere il proprio candidato. Sosteniamo la necessità di riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale alla tedesca (con sbarramento al 5%) o maggioritario alla francese (con doppio turno). Entrambe queste soluzioni consentirebbero una più efficace governabilità del Paese, riducendo la presenza e il peso delle forze troppo piccole o estreme.
Quanto detto a proposito dei sistemi di democraticità interna dei partiti, logicamente, ci porta a non volere meccanismi quali le quote-rosa o le quote-giovani: trucchi inutili se in presenza di partiti sani, solidi e rappresentativi. Un’analoga analisi, con le medesime premesse sulla “salute” dei partiti, va fatta circa le preferenze: siamo per la loro reintroduzione, ma richiamiamo l’attenzione sul fatto che spesso l’espressione di preferenze verso singoli nomi, nelle liste e specialmente con circoscrizioni troppo grandi, non va a vantaggio dei candidati con meno mezzi materiali, premiando invece in molti casi gli investimenti economici più ingenti e i legami clientelari. Per questo, servono controlli e una maggiore trasparenza sull’operato dei candidati e degli eletti. Crediamo nella somma validità dei principi contenuti nella Carta Costituzionale, ma non pensiamo che questa sia intangibile e irriformabile a tutti i costi, laddove ciò avvenga in modo responsabile e senza stravolgimenti. Questo significa disapprovare le modifiche fatte a colpi di maggioranza, ma anche insistere affinché si creino le condizioni per una revisione della Costituzione il più possibile armonica, partecipata e condivisa: attraverso l’istituzione di un’Assemblea Costituente, che permetta di riscrivere le regole del gioco senza strappi e con animo politico costruttivo. Un’Assemblea alla quale contribuiscano anche i rappresentanti delle categorie finora escluse dal dibattito politico, rinnovando così quello spirito costituente e quel sentimento di impegno civile che furono alla base della nascita repubblicana. Siamo convinti che la Carta, con le dovute prudenze, possa e debba essere integrata anche nella sua prima parte, quella dei princìpi, adeguandola alle nuove esigenze della modernità; quanto agli assetti amministrativi dello Stato, non ci convince un federalismo moltiplicatore di costi, anzi appoggiamo l’idea di eliminare enti e strutture inutili (ad esempio le Province) e di snellire lo Stato burocratico a favore di una più sensata integrazione verso l’alto, trovandoci nel contesto europeo e confrontandoci con le problematiche causate dalla globalizzazione.
Siamo l"Italia di chi vuole innovare; di chi non ha paura del diverso, consapevole che è nella diversità che prende forma l"evoluzione. Oggi siamo noi a sentirci diversi, estranei ad un sistema in cui non ci possiamo più riconoscere, ostile al merito e alla libera iniziativa. Noi Outsider ci stiamo riunendo per provare a cambiare, per riprenderci quello spazio individuale che appartiene solo a noi e alle generazioni che ci seguiranno. Siamo stanchi di farci umiliare assistendo al teatrino quotidiano del nulla, assuefatti dall"arte retorica dei suoi attori ed emissari. Non vogliamo vivere con il rimorso verso i nostri figli e nipoti, verso noi stessi, il rimorso di chi ha solo subito. Forse falliremo, ma sarà comunque un successo averci provato mentre tutto sembrava addormentato, scontato, rassegnato. Un successo per chi ama il nostro Paese, per chi vuole costruire un"Italia aperta, prosperosa, di cittadini liberi. Ora, Lei è in procinto di diventare il nostro Presidente del Consiglio, alla guida di un Governo di solidarietà nazionale che potrà veramente trasformare a fondo l"Italia. In Lei e nella responsabilità del Parlamento, noi Outsider riponiamo oggi molte speranze. Il momento è drammatico, non ci deluda, deluderebbe il futuro di questo magnifico, creativo, ferito Paese.
Gianpiero Alaimo (Dirigente d"azienda), Fabio Giuseppe Angelini (Avvocato), Paolo Balboni (Avvocato), Marco Bertolotto (Medico), Armando Biondi (Imprenditore), Luca Bolognini (Avvocato), Stefano Brustia (Avvocato), Daniele Catteddu (Dirigente), Sandro Cotellessa (Impiegato), Francesco Dagnino (Avvocato), Marco De Amicis (Funzionario ONG), Annamaria De Michele (Avvocato), Piercamillo Falasca (Economista), Marco Ferraro (Funzionario europeo), Guglielmo Forgeschi (Medico), Valentina Gavioli (Avvocato), Michele Gerace (Giurista), Fred Kuwornu (Regista), Lorenzo Lo Basso (Giornalista), Francesco Lucà (Dottore Commercialista), Simone Maccaferri (Funzionario di banca), Caterina Mannacio Soderini (Impiegata), Sara Marcozzi (Avvocato), Luigi Massa (Avvocato), Simona Nalin (Assistente Parlamentare), Flavio Notari (Economista), Alessandro Olmo (Avvocato), Pietro Paganini (Docente universitario), Gianfranco Passalacqua (Avvocato), Marco Piana (Private equity), Antonio Picasso (Giornalista), Massimo Preziuso (Ingegnere), Roberto Race (Giornalista), Morena Ragone (Giurista), Giuseppe Ragusa (Docente universitario), Stefano Rampinini (Imprenditore), Alessandro Rapisarda (Consulente del Lavoro), Roberto Ruggiero (Impiegato), Lucio Scudiero (Giurista), Fabiana Tenerelli (Imprenditrice), Valerio Togni (Economista), Marco Toia (Odontoiatra), Alessandro Tuffu (Imprenditore), Marco Villa (Venture capitalist) – e gli altri cittadini del www.partitodeglioutsider.it
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.