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La scelta del membro Bce

L'esempio Bini Smaghi

Un comportamento, seppur non edificante, da comprendere

di Davide Giacalone - 31 ottobre 2011

Alla fine si dovrà ringraziarlo, Lorenzo Bini Smaghi. Sia per questioni europee che per faccende nazionali. Si sarebbe dovuto dimettere, da tempo, e la sua resistenza ha arrecato e arreca un danno all’Italia. Lo ribadisco. Ma quella resistenza ha portato allo scoperto aspetti che non devono essere taciuti, a cominciare dai difetti istituzionali dell’euro. In Italia, come al solito, si tende a far battaglie di bandiera, alimentandole con suggestioni, sicché torna utile immaginare che ci siano amici e nemici della moneta unica. E’ una corbelleria. Non che i nemici siano mancati, visto che la sinistra comunista s’è battuta, negli anni, contro quello che servì per arrivare all’euro (ricordo a tutti che la maggioranza di solidarietà nazionale s’inabissò proprio sul voto parlamentare per il sistema monetario europeo, salvo poi pretendere di averci portato loro, nell’euro!). Ma è roba del passato, oggi nessuno, con la testa sulle spalle, chiede di tornare alla lira, come se fosse una passeggiata senza dazio. Questo, però, non solo non dovrebbe impedire, ma dovrebbe, al contrario, suggerire di rendere l’euro meno sbilenco.

Torniamo a Bini Smaghi: il presidente francese ne reclama a gran voce le dimissioni (ha ragione, nella sostanza) e intima al governo italiano che non basta dirlo, si deve agire. C’è un problema: questa richiesta è contraria alle norme che l’Unione s’è data e allo statuto della Banca centrale europea. Quando la ragione sta da una parte e la norma dall’altra si cambia la norma. Quello che si chiede, invece, è di violarla. E non va bene, perché lesiona il già esile edificio bancario. Tanto più che la Bce ha bisogno di diventare sul serio una banca centrale, capace di finanziare i debiti e battere moneta. E’ urgente, ma anche questo è contro il sistema politico, istituzionale ed economico che ne costituisce le fondamenta. Anche qui, dunque, si deve cambiare. E si deve farlo di corsa, altrimenti si finisce schiacciati dalla speculazione, mentre le reclamate politiche di rigore saranno un’aggravante e non certo un rimedio. L’inopportuna e imbarazzante riluttanza di quell’italiano ad offrire le dimissioni, dunque, finisce con l’essere il dettaglio capace di provare che così non si può andare avanti, che continuare senza cambiare significa far saltare l’euro.

Lo stesso signore, del resto, possiamo ringraziarlo anche per l’esempio che costituisce, certamente non brillante ma estremamente efficace per dimostrare che se la classe politica è criticabile l’ipotesi di sostituirla con dei tecnici, con i tecnocrati, è, al tempo stesso, pericolosa e ridicola. Mettersi nelle mani di signori che non saranno mai giudicati dagli elettori e che passano da un incarico burocratico a una poltrona bancaria, per poi fare un salto nel mondo degli affari e quindi tornare a reclamare una nomina politica, il tutto con la spocchia di chi suppone di sapere (garanzia di sicura ignoranza, come Socrate insegnava) e la protervia di chi non vuol mollare, è una pessima scelta. L’euro e il senso civico dovranno qualche cosa a Bini Smaghi, sebbene per demerito e non per merito.

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