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Public Policy

Riduzione del carico fiscale?

L'ennesima promessa da marinaio

Una nuova puntata della fiction sul fisco è in atto, mentre il sistema-Italia collassa

di Enrico Cisnetto - 22 ottobre 2010

Confesso che se io fossi una “parte sociale” e avessi partecipato alla riunione con il governo sulla riforma fiscale, non so come avrei reagito. E sì, perché sentire Berlusconi raccontare per l’ennesima volta che intende fare la sua rivoluzione liberale attraverso una riduzione del carico fiscale su persone, famiglie e imprese, che intende semplificare il sistema tributario e spostare dalle persone alle cose l’oggetto della tassazione, francamente è davvero irritante.

Non meno di quando dice – e l’ha ripetuto proprio nella riunione di mercoledì – che se i margini di manovra suoi e del suo governo sono molto stretti è perché ha ereditato un debito enorme. Intanto perché non è vero che il debito l’abbia prodotto solo la Prima Repubblica: i quattro quinti del suo attuale ammontare record (1843 miliardi) sono antecedenti al 1992, ma un quinto (ben 370 miliardi) si è fatto negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi perché sono oltre 16 anni che il bipolarismo di cui Berlusconi è protagonista e padre ha questo problema e nel frattempo il rapporto debito-pil è oscillato dal picco massimo del 124,4% del 1994 a quello minimo del 103,5% del 2007 per poi risalire al 115,8% dell’anno scorso e al quasi 120% attuale (se il pil crescerà nel 2010 sotto o al massimo dell’1%, il rapporto debito-pil sarà superiore al 119%), a testimonianza che il problema non è stato affrontato come si sarebbe dovuto fare.

Anche perché questi risultati sono al netto di della riduzione del debito di ben 14 punti di pil dovuti alla privatizzazione di tutto il sistema bancario italiano e di una parte consistente delle aziende del sistema delle partecipazioni statali. Per questo, ritengo che la nuova puntata della fiction sul fisco sia non solo inutile come tutte le “ammuine”, ma anche pericolosa perché rischia di far saltare i nervi agli italiani già molto spazientiti e alle loro rappresentanze sociali, siano esse quelle dei datori di lavoro che dei lavoratori.

Non a caso il ministro Tremonti, che a differenza del premier capisce della materia e sa di cosa parla, ha rimandato quanto più possibile la messa in onda di questo nuovo capitolo della telenovela e ora – presumibilmente – cercherà di gestire con sapienza la fase di consultazione che si è appunto aperta due giorni fa. Perché il ministro dell’Economia sa bene che non ci può essere alcuna riforma fiscale vera senza una diminuzione delle entrate, e che oggi come ieri la condizione della nostra finanza pubblica in relazione ai pericoli speculativi dei mercati che non sono per nulla finiti con l’attacco alla Grecia, non ci consente di rinunciare a neanche un centesimo delle attuali entrate fiscali. Anzi, a maggior ragione visto che la riforma del Patto di stabilità europeo per quanto si sia riusciti a renderlo meno pesante per l’Italia di quanto rischiava di essere, sarà comunque più vincolante e oneroso di quanto non sia stato fino ad oggi, specie dal lato del debito.

Tutto questo, naturalmente, a parità di spesa (che ha ormai raggiunto il 52% del pil ed è prossima agli 800 miliardi, quando nell’anno 2000 era ancora a 550 miliardi), perché se invece per il tramite delle tanto evocate e mai praticate riforme strutturali si riducessero – e riqualificassero, ma questo è un altro discorso – le voci di uscita, allora il discorso cambierebbe. Ma con elezioni anticipate incombenti e comunque in una situazione politica a dir poco precaria, ce lo vedete voi il governo che avvia una virtuosa opera di disboscamento della spesa pubblica, affronta una volta per tutte il nodo della previdenza alzando significativamente l’età pensionabile, interviene sulla sanità in modo rigoroso togliendo l’autonomia (mal usata) alle regioni, bloccando la deriva localistica delle spese inutili per esempio abolendo le province, e così via? Suvvia, non scherziamo. E in mancanza, è chiaro che non sarà possibile nessun intervento sostanziale sul carico fiscale complessivo, salvo qualche piccola operazione di maquillage.

Il fatto stesso che si faccia riferimento alle risorse rivenienti dalla lotta all’evasione fiscale – che, attenzione, non è mai stata così forte come ora, ma rimane pur sempre a livello lontani da quanto sarebbe necessario – la dice lunga sul fatto che tutto si risolverà in una bolla di sapone. Anche perché non ha alcun senso, in termini di politica economica, affrontare la questione delle tasse disgiuntamente da tutte le altre questioni aperte, visto che se c’è una possibilità di abbassare realmente il carico fiscale questa dipende da come si muovono altre variabili macroeconomiche. E per fortuna che Tremonti non appartiene a quella scuola di pensiero che immagina di poter far crescere l’economia attraverso la riduzione delle tasse, sostenendo che la perdita di entrate sia immediatamente compensata o addirittura più che compensata dall’allargamento della base imponibile.

Cosa che può anche succedere – dipende se il taglio è stato fatto nel modo giusto – ma certo non in modo simultaneo. E siccome nel frattempo si crea un buco di bilancio, sia chiaro – ma a Tremonti è chiarissimo – che non ce lo possiamo proprio permettere, pena la contrazione immediata della malattia greca.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.