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Lorenzo Necci: una morte che mette a disagio

Leggenda di un uomo di grandi sfide

Li stessi di giornali di oggi che lo piangono, all’epoca spararono su di lui senza pietà

di Davide Giacalone - 30 maggio 2006

La morte di Lorenzo Necci mette a disagio, rappresentandone la sua definitiva banalità (è stato ucciso da una vettura, nel mentre, in vacanza, pedalava). Mette a disagio anche il modo in cui i giornali trattato questa notizia, le parole usate per ricostruirne la vita.
La leggenda lo voleva uomo potentissimo, a cavallo fra l’impresa di Stato e quella privata. Certo fu uomo di grandi sfide e di numerose frequentazioni. Fu al centro di un durissimo scontro fra procure e su di lui si costruì un caso giudiziario che lo vide per 43 volte imputato. Fu assolto 42 volte, e credo che, a quel punto, valga più un calcolo probabilistico che non un possibile raggiungimento della giustizia. Nei suoi confronti, però, non fu solo la macchina della giustizia a deragliare.
I giornali che raccontano la sua morte e le sue gesta tacciono pudicamente sul modo in cui, da quelle stesse pagine, si aggredì la sua vita, la sua famiglia, i suoi affetti. Fu una scena vergognosa, ripugnante, per lui una ferita non cancellabile. Fu il trionfo della malagiustizia amministrata a mezzo stampa, di un linciaggio che non può avere giustificazione in nessuna presunta colpevolezza, posto che le leggi e la Costituzione dovrebbero obbligare tutti al contrario, a presupporre l’innocenza. Le 42 innocenze sono state ricordate dopo la morte, in vita non gli si volle dare questa soddisfazione. E’ capitato a lui, come a molti altri: il latrante cane dei media ti lacera le carni per sentire l’odore del sangue, del resto non si cura, non fa notizia, non rende eroici e famosi gli addentatori che hanno in spregio il diritto ed i diritti.
Lorenzo mantenne la voglia di fare. Continuò a volere contare in un mondo economico dove, ormai, non contava più nulla. Gli amici ed i beneficiati di un tempo, more solito, o sparirono o si manifestarono nella riservatezza. Continuò anche a credere che si potesse cambiare le cose, che valesse la pena dell’impegno politico, costruendo le idee a partire dalle cose, le iniziative a partire dagli interessi. Fu così che ci ritrovammo al tavolo dei “laici”, dove lui parlava d’infrastrutture a nome del Nuovo Psi. Pubblicò anche un libro, ricostruendo gli anni delle privatizzazioni e del saccheggio. Quasi tutti fecero finta di non leggerlo, o forse non lo lessero affatto, così come non leggono tutto quello che non possono controllare e determinare. Oggi si discetta delle sue 42 innocenze, quando parlava valeva ancora l’immagine dell’uomo schiacciato dalle sue colpe, dai suoi crimini, dalle sue galere.
Avevamo idee anche diverse, ma pensavamo. Pensava e continuava a pensare, e questo non gli è mai stato perdonato. Oggi è facile dire che fu un uomo di grandi, forse troppo, visioni. Tanto è morto.

www.davidegiacalone.it

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