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Una posizione pericolosamente pencolante

Le minacce di Teheran

Tocca ai capi di governo, nel prossimo appuntamento a L’Aquila, giungere ad un punto di equilibrio

di Davide Giacalone - 29 giugno 2009

Le parole dei Paesi del G8, che nei confronti dell’Iran non sono sembrati né grandi né potenti, non avevano fatto a tempo ad essere pronunciate che già il pupazzo di Teheran aveva ritrovato la forza di minacciare il mondo libero e civile. Questa volta Ahmadinejad se la prende con il presidente Obama, le cui parole, in vero prudentissime, gli sono sembrate la buona occasione per invitare tutti ad allinearsi con i russi: nessuna ingerenza, ciascuno si faccia gli affari propri, in Iran possiamo liberamente massacrare l’opposizione.

C’è una ragione interna, che ha spinto il misirizzi antisemita e guerrafondaio all’ennesima spacconata: il regime agonizza, la sfida aperta e sfacciata della piazza ne segna la fine. L’analisi di molti superficiali, qui in occidente, tendeva a far credere che fra i due candidati alle elezioni presidenziali non vi fosse gran differenza, tutti e due graditi al Consiglio dei Guardiani.

Guardino quel che succede e valutino la gravità del loro errore. Certo, i teocrati hanno ancora la forza per spargere terrore e sangue, altri uomini liberi moriranno, ma il fatto stesso che la cosa avvenga davanti agli occhi del mondo, il fatto stesso che siano le donne ad avere un ruolo importante, forse decisivo (si pensi alle parole dette dalla moglie di Moussavi), dimostra che la fine è già iniziata. Con trenta anni di ritardo, aggiungo. Per questo reagiscono rabbiosamente, per questo Ahmadinejad torna ad alzare il tiro, in modo da restituire agli ayatollah un qualche ruolo di mediazione istituzionale.

Ma questi, pur importanti, sono dettagli interni ad un mondo che è bene sparisca. Più importante è il rilievo di quel che succede in occidente, a casa nostra. Il quotidiano israeliano Maariv ha pubblicato la ricostruzione di un ipotetico retroscena dell’incontro fra Netanyahu e Berlusconi, e sono grato al quotidiano la Repubblica per averne dato notizia in Italia, facendo fare al nostro presidente del Consiglio la figura del gigante.

In pratica, il premier israeliano insiste sull’opportunità di fermare subito, con la forza, la corsa atomica degli iraniani, ed il nostro capo del governo gli risponde convenendo e considerando debole la risposta dell’amministrazione statunitense. Il tono della ricostruzione è tale da doversi considerare prevalente il contributo della fantasia, ma pur significativa.

Non è affatto un mistero che nell’amministrazione americana ci sono opinioni differenti. La responsabile della politica estera, Clinton, voleva un atteggiamento assai più duro (ed in tal senso, non potendolo sostenere, può anche darsi che il braccio rotto sia tornato utile, per non essere a Trieste), mentre Obama s’è tenuto un passo indietro, nella speranza di non dovere smentire l’offerta di dialogo fatta con una lettera indirizzata a Khamenei. Dialettica normale, in una democrazia. Ma ora è il tempo di chiudere.

Neanche è un mistero che noi italiani siamo il primo partner commerciale dell’Iran, quindi posti nella difficile condizione o di dovere essere ancor più morbidi degli Usa, il che significa praticamente allineati ai russi e distanti da francesi e tedeschi, oppure sperare che questa situazione duri il meno a lungo possibile. A questo s’aggiunga che l’attuale governo, come anche quello durato dal 2001 al 2006, è chiaramente schierato dalla parte di Israele (cosa che considero un enorme ed incancellabile merito storico), e si capirà il perché è lecito immaginare ci sia stata consonanza d’opinioni, fra Netanyahu e Berlusconi.

Il modo in cui il mondo ha letto il comunicato del G8, il fatto che la moscezza verso gli iraniani abbia finito con l’oscurare gli altri temi discussi, certo assai rilevanti, e, infine, l’avere offerto ad Ahmadinejad la possibilità di isolare le parole di Obama, facendole sembrare dure, sono tutti segnali che a Trieste non s’è raggiunto un punto di equilibrio, ma ci s’è posti in posizione pericolosamente pencolante.

Tocca ai capi di governo, nel prossimo appuntamento a L’Aquila, correggere l’errore. Il che, mentre in Iran è in corso una partita mortale, dà il senso dello spessore, intellettuale e morale, di quanti, per ragioni di bassa cucina nazionale, puntano tutto sul fallimento di quel vertice.

Pubblicato da Libero di 29 giugno 2009

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