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Le vicende familiari di Silvio Berlusconi

Le macerie di tutti

Questione morale o questione politica? Forse tutte e due

di Elio Di Caprio - 06 maggio 2009

Siamo già oltre il gossip, siamo all’analisi pseudo-culturale che tra qualche anno sfocerà magari in un libro sul “corpo di Berlusconi” come è successo per il “corpo del Duce”, il feticcio adorato dalle masse, secondo l’esegesi di Sergio Luttazzo in un libro di qualche anno fa.

Le occasioni non mancano, l’ultima è la più ghiotta. Veronica Lario ha deciso di spezzare il lungo legame con “l’uomo che nel nostro Paese è il più ricco, il più potente, il più invidiato, il più temuto, il più servito, il più amato, colui che ad ogni evento, ad ogni gesto, parola, ammicco, sorriso, suscita simpatia, passione, consenso al punto di aver cambiato l’anima degli italiani o di essere diventato il magico specchio di ciò che gli italiani non sapevano d’essere”.

Sono espressioni senza ironia che non provengono da un cortigiano di destra, ma da Natalia Aspesi, la giornalista di Repubblica che vede e denuncia quella che a lei sembra una realtà suffragata dai sondaggi di popolarità del premier.

Chi si rispecchia in cosa? Berlusconi negli italiani o gli italiani in Berlusconi? Su un altro fronte, anche per un giornale cattolico come Avvenire, la corrispondenza c’è, lo specchio c’è, ma quello del Cavaliere è uno specchio deformato e deformante dell’anima del Paese. Il terreno diventa sempre più viscido e scivoloso quando si parla di anima collettiva di un Paese, di morale e politica, o quando si affronta l’eterno problema democratico della classe politica, se questa debba essere più esempio che specchio.

Siamo veramente a questo punto, all’uomo-principe più amato d’Italia, inscalfibile da vicende pubbliche e private? E come è arrivato il Cavaliere a tale traguardo di popolarità, grazie alle sue qualità o ai demeriti degli avversari? Quello che non torna è che sono passati 15 anni dalla discesa in campo di Silvio Belusconi, ma la sinistra o il centrosinistra è stata alla prova di governo per una buona metà degli anni diventando maggioranza in gran parte delle Regioni e in molte amministrazioni locali.

Ed ora ad un tratto ci si accorge che il potere, mediatico e non, si è via via accentrato nelle mani di una sola persona, diventata essa stessa simbolo di un cambiamento antropologico. Ma se ciò è avvenuto qualche responsabilità non è della stessa sinistra, anch’essa specchio di una parte del Paese? (almeno fino a qualche anno fa).

Alla sinistra non è mai mancato lo spirito critico fino all’autocritica, sia pure al servizio di ideologie o prese di posizione preconcette ed ora non le sembra vero che una vicenda familiare dagli ovvi risvolti pubblici possa portare acqua al mulino di un antiberlusconismo che è stato cavalcato con furore ed ora, proprio per questo, non fa più rumore ed effetto. Il direttore di “Repubblica” non sa più a che santo ideologico votarsi per scacciare l’idea che il berlusconismo abbia fatto breccia persino nella classe operaia che dai sondaggi sembra abbia voltato le spalle alla sinistra più per disperazione che per convinzione.

Eugenio Scalari, rimasto il rappresentante più ascoltato della sinistra, pensa in cuor suo che solo Gianfranco Fini riesca a spezzare l’incantesimo del Cavaliere, l’uomo più amato d’Italia, come dice la Aspesi. Può essere, quattro anni di legislatura sono ancora lunghi e Fini ha comunque iniziato una marcia di affrancamento dagli esiti incerti e dal seguito ancora meno sicuro.

La sua fondazione, FareFuturo, ha con successo criticato la tendenza del PDL a candidare le veline- ha però trascurato i saltimbanchi di partito- alle elezioni europee. E’ una bella soddisfazione che sotto accusa sia ora il medesimo Cavaliere che a suo tempo entrò in rotta di collisione con Fini per non aver impedito alle reti Mediaset di rendere pubblico il passato sentimentale dell’attuale compagna del Presidente della Camera.

Ma basta tutto ciò per andare a scavare nelle incerte fibrillazioni del PDL o della Lega? Nella speranza che bastasse mantenere alto il vessillo dell’antiberlusconismo il povero Scalfari si è visto passare davanti i suoi improbabili pupilli, da Prodi, a D’Alema, a Rutelli, a Veltroni, puntualmente fatti fuori- prima o poi toccherà allo stesso Franceschini? - dalle congiure di partito più che di palazzo, tutti falliti e sconfitti.

E’ ora costretto a rifugiarsi nell’ultima speranza di Fini, il cui partito è stato per anni sbeffeggiato ed accusato dal suo giornale di simpatie autoritarie. Un’altra sconfitta in arrivo? Se siamo arrivati a questo punto vuol dire che la confusione che regna nella ridotta della sinistra è massima. Né è pensabile che i conflitti sotto traccia dei dirimpettai della destra di governo, possano fungere da sponda d’appoggio risolutiva perché la sinistra italiana possa riprendersi dal torpore e dalla inazione. E’ fallita, ormai lo dicono tutti, la cultura di sinistra (italiana) ma nessuno poteva prevedere che si affermasse in contrapposizione la cultura- o l’”anticultura”, come dice Scalari- del berlusconismo.

Se è successo vuol dire che si è sbagliato ad aver messo sugli altari per troppi anni un’unica cultura, quella di sinistra, anch’essa specchio deformante di un’ Italia già allora diversa, per poi ritrovarsi con il risultato che persino la “classe operaia” è stufa e diffidente di vecchie ricette.

Il guaio è che le macerie ormai non riguardano solo la cultura di sinistra e quello che ha rappresentato per tanti anni nella vita pubblica italiana, riguardano un’intera società incerta e divisa che, dopo tante esperienze deludenti, pensa di aver trovato finalmente nel Cavaliere l’espressione dei propri interessi diffusi. A tal punto da considerare come innocui i tanti incidenti di percorso di una leadership che pretende appunto di essere specchio del Paese. Fino a quando?

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