ultimora
Public Policy

Tra crisi finanziaria e crisi dell’economia reale

Le illusioni della svolta verde

Una nuova rivoluzione industriale senza petrolio?

di Elio Di Caprio - 04 febbraio 2009

Con la recessione in atto che nessuno sa quando e come potrà finire sta crollando, prima del tempo, il mito dell’informazione democratica di un mondo tutto in rete. Come è stato possibile che l’informazione di tutti si sia tramutata nell’ignoranza di tutti, almeno per quanto riguarda la profondità della crisi finanziaria? Discuteremo a lungo se sia stato il capitalismo finanziario internazionale ad aver dato il via alla globalizzazione o se l’ha resa semplicemente ingestibile. Intanto governi ed istituzioni annaspano nel proporre misure nazionali e “globali” di contenimento: dalla svolta “verde” di Obama negli USA a una nuova Bretton Woods – perorata in Italia prima da Giulio Tremonti, ora anche da Carlo Azeglio Ciampi e da Paolo Savona - per rifondare e controllare meglio la finanza internazionale, alla riproposizione che fa Angela Merkel del modello tedesco di economia sociale di mercato in alternativa a quello anglosassone per estenderlo a tutto il mondo ( anche alla Cina e alla Russia?). Ma la realtà è che si naviga a vista.

Al di là dei proclami e dei programmi improvvisati sono facilmente intuibili le conseguenze certe a lungo termine della recessione: impoverimento generale, calo del commercio internazionale, nuovi sussulti protezionistici- sperando che rimangano tali e non preludano ad un nazionalismo economico generalizzato- forse un nuovo assetto di potere internazionale che però difficilmente riuscirà ad imbrigliare la potenza (ex?) finanziaria degli USA. E’ bene sotto questo aspetto non farsi illusioni: Barack Obama, il presidente della “svolta verde”, non è stato eletto per salvare il mondo, ma per salvare l’America.

Abbiamo subito dimenticato che i venti di recessione globale soffiavano già un anno fa, quando si pensava che con un barile di petrolio a 150 dollari si sarebbe innescato un processo a cascata di crisi economica e di impoverimento generale. Cosa è cambiato da allora da far pensare che sparisca d’incanto dall’agenda mondiale la questione energetica globale?
In un mondo che affida al petrolio più del 50% dei suoi rifornimenti energetici ed alle energie alternative un misero 1%, di strada da fare ce n’è parecchia perché gli USA o l’Europa possano raggiungere in tempi brevi l’autosufficienza energetica senza dipendere da fonti estere. Né è immaginabile che con un proclama o un volenteroso programma di risparmio energetico e di conversione ecologica vengano rivoluzionati i cardini della geopolitica del petrolio che fa del Medio oriente e del Golfo Persico il punto più critico degli equilibri internazionali.

Ammesso che la leva finanziaria degli Stati Uniti venga indebolita dall’attuale crisi appare più difficile che gli USA rinuncino all’altra leva fondamentale e strategica, quella del controllo (anche militare) del mercato dei Paesi produttori di petrolio e gas che condizionerà per decenni ancora lo sviluppo di molte aree del pianeta. Dobbiamo sì rifare i conti rispetto a un anno fa, ma bisogna stare attenti a non confondere i cambiamenti necessitati e irreversibili da quelli di carattere temporaneo.

Pensavamo un anno fa che, con il barile del petrolio a 150 dollari, la crisi energetica, oltre che ambientale, fosse il vero problema futuro da affrontare se non altro per l’acuirsi della sproporzione tra riserve mondiali accertate e i consumi sempre più alti dell’Occidente sviluppato, della Cina, dell’ India e delle altre economie emergenti. Già non è più così? Ora siamo con un barile a 40-50 dollari che, grande contraddizione, rende ancor meno conveniente ricorrere a quelle fonti alternative che invece per Barack Obama dovrebbero fare da apri pista ad una nuova rivoluzione “verde”, capitanata dagli USA, per affrancare prima gli USA e poi il mondo intero dall’eccessiva dipendenza da petrolio e gas. L‘unica via percorribile per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili rimane il risparmio energetico.

Nessuno è in grado di prevedere quanto durerà questo periodo di petrolio a buon mercato e quanto è (o sarà) dovuto, nella fluttuazione dei prezzi del petrolio, alla speculazione o ad un reale squilibrio tra domanda ed offerta di petrolio. Non basterebbero cento convegni a spiegarcelo, anche se in tempi di deflazione come quelli attuali e prossimi venturi difficilmente la speculazione sulle materie prime raggiungerà i picchi di un anno fa . Ma il problema energetico, della disponibilità e dei costi di petrolio e gas, resta tale e quale.

La corsa alle materie prime potrà rallentare ma prima o poi riprenderà, a prescindere dagli esiti della crisi finanziaria in corso. Ce ne accorgeremo quando l’economia reale delle fonti energetiche ci presenterà il conto e scopriremo che i bassi prezzi di petrolio e gas renderanno meno convenienti gli investimenti a lungo termine, con nuove ricerche e nuovi pozzi, per allargare proprio l’offerta mondiale di quelle materie prime che resteranno insostituibili ancora per decenni.

O pensiamo veramente che la nostra dipendenza da petrolio e gas sia dovuta agli interessi di chi vuole obbligarci solo alle fonti fossili e inquinanti escludendo le energie alternative?
Navighiamo tutti a vista tra informazioni parziali e previsioni più o meno azzardate, ma almeno non facciamoci illusioni. Le illusioni- ed una di queste è la rivoluzione “verde” a portata di mano che ci affranchi finalmente dalla dipendenza da fonti estere- si pagano e possono anche costare più della mancanza di informazioni.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.