La chimera e la realtà: noi più bravi di tutti?
Le illusioni del nocchiero
Ma la crisi finanziaria non è finita, non è solo un virus passeggerodi Elio Di Caprio - 27 marzo 2009
Nessun economista- una categoria screditata dalle tante teorie che arrivano puntualmente in ritardo- potrà dirci a che punto siamo e cosa possiamo aspettarci dalla crisi finanziaria. E’ un virus passeggero destinato ad esaurirsi o piuttosto segnerà una svolta dagli effetti lunghi, per ora forse intuibili, ma sconosciuti?
Tutti sono stretti nella propria scialuppa in attesa che l’onda passi, il mondo non è finito, tutto passerà, ma non è detto che passata l’onda si ritornerà al mondo di prima. Il malessere globale è dovuto alla sensazione di una consenziente ed incosciente corsa al precipizio che nessuno ha saputo fermare, di un processo indefinito che si è autoalimentato, di errore in errore, fino al suo esito ineluttabile. A poco vale la demagogica levata di scudi contro i banchieri dannati quando ben si sa che salvare le banche è nell’interesse dell’economia reale già prostrata in tutto il mondo dall’infarto finanziario che ha frenato un po’ tutto.
Non c’è un modello di sviluppo economico che possa andare avanti senza le banche, ma la crisi ha piuttosto messo a nudo quanto sia stato e sia sempre pericoloso trascurare il profilo di servizio pubblico delle banche trascinandole, con la loro quotazione in borsa, nella logica totalizzante del profitto a breve degli azionisti e delle stock options dei loro managers.
L’ubriacatura da libero mercato che ha portato come logica conseguenza alla finanziarizzazione spinta dell’economia è stata fatale quando ha contagiato le istituzioni finanziarie. Ed ora ne paghiamo tutti le conseguenze. L’invenzione da parte degli economisti d’assalto di astratti modelli matematici che volevano salvare i profitti crescenti distribuendo il rischio su più soggetti possibili, ha prodotto ineluttabilmente solo una posticipazione a termine dei rischi che si sono via via raggrumati e concentrati senza che nessuno, neppure il governo americano, sia stato più in grado di fermare e contenere la deriva.
Non è facile ora prendere le distanze da un mondo “cartolarizzato” dalle elites finanziarie che pensavano di eliminare ogni rischio e contemporaneamente di arricchirsi imponendo il loro volere al potere politico. Sorgerà una vasta letteratura sulle cause della crisi attuale con l’affannosa rincorsa di teorie e spiegazioni. Ma qualche dubbio comincia a sorgere che sia stata “soltanto” la crisi dei mutui subprime americani ad innescare la catastrofe. Sembra ormai chiaro che gli squilibri finanziari americani, diventati globali, esistevano ben prima di quando sono scoppiati, si possono far datare alla fine degli anni ’90, sono stati solo temporaneamente contenuti per rendere possibili le stratosferiche spese della guerra in Iraq senza per questo obbligare o richiedere particolari sacrifici al cittadino americano. Tanto è vero che i consumi medi, tutti a debito (privato) dell’America, Paese in guerra, sono enormemente cresciuti negli ultimi dieci anni.
Resta comunque sorprendente che i pur cauti ed accorti cinesi di cultura confuciana, una volta abbracciata la filosofia di sviluppo occidentale, si siano indotti a finanziare il debito pubblico americano, retto sull’ economia dei consumi, ipotecando il loro surplus commerciale in mani rivelatesi a conti fatti più fragili di quello che si prevedeva. Miopia o calcolo astuto per giocarsi un domani la partita del potere mondiale?
Non bisogna infatti dimenticare, nonostante le illusioni europee, che nessuna nuova regolamentazione globale della finanza mondiale potrà prescindere da quella che viene definita la “Chimerica”, il nesso inscindibile che si è costituito negli ultimi anni tra la Cina che risparmia e gli USA che consumano. Sono loro e saranno loro gli attori più forti al tavolo di una difficile rifondazione della finanza mondiale. Eppure è un processo necessario che però stenta a prendere il via anche per i lunghi tempi di possibile attuazione...
Nell’atmosfera di riflusso e di ripiegamento alla soluzione dei singoli problemi nazionali o continentali nessuno può rimproverare il presidente Obama di avere più a cuore la vita dei pensionati americani o il sistema sanitario nazionale piuttosto che la regolazione dei mercati finanziari. Né si può pretendere che i cinesi siano analogamente solleciti ad una tale regolazione globale se non potranno averne un tornaconto a medio o lungo termine. Il dilemma è difficilmente risolvibile fino a quando non sarà messo in causa il “signoraggio”- come lo chiama Giuliano Amato- del dollaro che è la principale moneta di riserva e di scambio sui mercati mondiali. E l’Italia? E l’Europa? Non c’è dubbio che l’Europa sia stata colpita dalla crisi nel momento peggiore quando stava ancora metabolizzando le conseguenze di un allargamento audace ed eccessivo dell’Unione avvenuto negli ultimi anni. La scialuppa italiana sembra stia meglio degli altri a sentire gli incoraggianti e altalenanti messaggi del nostro Ministro dell’Economia, spariamo le nostre piccole o grandi cartucce di contenimento della crisi- compreso il mattone allargato- e non possiamo fare di più per l’alto debito pubblico che abbiamo. Mentre gli altri Paesi europei nazionalizzano le banche noi ci vantiamo di non essere giunti a questo punto perché siamo meno esposti alla dannata finanza creativa.
Tutto bene, abbiamo un nocchiero carismatico accettato dalla maggioranza degli italiani che ci rassicura. Il Cavaliere, a nome di tutti, si preoccupa solo un po’, dà la colpe al virus americano (passeggero?) che non ci intacca più di tanto. Fa l’ottimista e nessuno ricorda più i suoi sperticati elogi dell’era Bush e di un Presidente che ha fino all’ultimo nascosto la verità agli americani e al mondo.
Ma poi siamo proprio sicuri che si tratta di un virus come tanti altri, secondo l’ipse dixit del Cavaliere, e non della fine o comunque della trasformazione di una cultura- del libero mercato o del capitalismo o della globalizzazione- che ha profondamente segnato gli anni seguenti la caduta del muro di Berlino? Nessuno lo sa, nessuno può dare ora una risposta definitiva. Ma tra virus a svolta ci sarebbe una bella differenza.
Tutti sono stretti nella propria scialuppa in attesa che l’onda passi, il mondo non è finito, tutto passerà, ma non è detto che passata l’onda si ritornerà al mondo di prima. Il malessere globale è dovuto alla sensazione di una consenziente ed incosciente corsa al precipizio che nessuno ha saputo fermare, di un processo indefinito che si è autoalimentato, di errore in errore, fino al suo esito ineluttabile. A poco vale la demagogica levata di scudi contro i banchieri dannati quando ben si sa che salvare le banche è nell’interesse dell’economia reale già prostrata in tutto il mondo dall’infarto finanziario che ha frenato un po’ tutto.
Non c’è un modello di sviluppo economico che possa andare avanti senza le banche, ma la crisi ha piuttosto messo a nudo quanto sia stato e sia sempre pericoloso trascurare il profilo di servizio pubblico delle banche trascinandole, con la loro quotazione in borsa, nella logica totalizzante del profitto a breve degli azionisti e delle stock options dei loro managers.
L’ubriacatura da libero mercato che ha portato come logica conseguenza alla finanziarizzazione spinta dell’economia è stata fatale quando ha contagiato le istituzioni finanziarie. Ed ora ne paghiamo tutti le conseguenze. L’invenzione da parte degli economisti d’assalto di astratti modelli matematici che volevano salvare i profitti crescenti distribuendo il rischio su più soggetti possibili, ha prodotto ineluttabilmente solo una posticipazione a termine dei rischi che si sono via via raggrumati e concentrati senza che nessuno, neppure il governo americano, sia stato più in grado di fermare e contenere la deriva.
Non è facile ora prendere le distanze da un mondo “cartolarizzato” dalle elites finanziarie che pensavano di eliminare ogni rischio e contemporaneamente di arricchirsi imponendo il loro volere al potere politico. Sorgerà una vasta letteratura sulle cause della crisi attuale con l’affannosa rincorsa di teorie e spiegazioni. Ma qualche dubbio comincia a sorgere che sia stata “soltanto” la crisi dei mutui subprime americani ad innescare la catastrofe. Sembra ormai chiaro che gli squilibri finanziari americani, diventati globali, esistevano ben prima di quando sono scoppiati, si possono far datare alla fine degli anni ’90, sono stati solo temporaneamente contenuti per rendere possibili le stratosferiche spese della guerra in Iraq senza per questo obbligare o richiedere particolari sacrifici al cittadino americano. Tanto è vero che i consumi medi, tutti a debito (privato) dell’America, Paese in guerra, sono enormemente cresciuti negli ultimi dieci anni.
Resta comunque sorprendente che i pur cauti ed accorti cinesi di cultura confuciana, una volta abbracciata la filosofia di sviluppo occidentale, si siano indotti a finanziare il debito pubblico americano, retto sull’ economia dei consumi, ipotecando il loro surplus commerciale in mani rivelatesi a conti fatti più fragili di quello che si prevedeva. Miopia o calcolo astuto per giocarsi un domani la partita del potere mondiale?
Non bisogna infatti dimenticare, nonostante le illusioni europee, che nessuna nuova regolamentazione globale della finanza mondiale potrà prescindere da quella che viene definita la “Chimerica”, il nesso inscindibile che si è costituito negli ultimi anni tra la Cina che risparmia e gli USA che consumano. Sono loro e saranno loro gli attori più forti al tavolo di una difficile rifondazione della finanza mondiale. Eppure è un processo necessario che però stenta a prendere il via anche per i lunghi tempi di possibile attuazione...
Nell’atmosfera di riflusso e di ripiegamento alla soluzione dei singoli problemi nazionali o continentali nessuno può rimproverare il presidente Obama di avere più a cuore la vita dei pensionati americani o il sistema sanitario nazionale piuttosto che la regolazione dei mercati finanziari. Né si può pretendere che i cinesi siano analogamente solleciti ad una tale regolazione globale se non potranno averne un tornaconto a medio o lungo termine. Il dilemma è difficilmente risolvibile fino a quando non sarà messo in causa il “signoraggio”- come lo chiama Giuliano Amato- del dollaro che è la principale moneta di riserva e di scambio sui mercati mondiali. E l’Italia? E l’Europa? Non c’è dubbio che l’Europa sia stata colpita dalla crisi nel momento peggiore quando stava ancora metabolizzando le conseguenze di un allargamento audace ed eccessivo dell’Unione avvenuto negli ultimi anni. La scialuppa italiana sembra stia meglio degli altri a sentire gli incoraggianti e altalenanti messaggi del nostro Ministro dell’Economia, spariamo le nostre piccole o grandi cartucce di contenimento della crisi- compreso il mattone allargato- e non possiamo fare di più per l’alto debito pubblico che abbiamo. Mentre gli altri Paesi europei nazionalizzano le banche noi ci vantiamo di non essere giunti a questo punto perché siamo meno esposti alla dannata finanza creativa.
Tutto bene, abbiamo un nocchiero carismatico accettato dalla maggioranza degli italiani che ci rassicura. Il Cavaliere, a nome di tutti, si preoccupa solo un po’, dà la colpe al virus americano (passeggero?) che non ci intacca più di tanto. Fa l’ottimista e nessuno ricorda più i suoi sperticati elogi dell’era Bush e di un Presidente che ha fino all’ultimo nascosto la verità agli americani e al mondo.
Ma poi siamo proprio sicuri che si tratta di un virus come tanti altri, secondo l’ipse dixit del Cavaliere, e non della fine o comunque della trasformazione di una cultura- del libero mercato o del capitalismo o della globalizzazione- che ha profondamente segnato gli anni seguenti la caduta del muro di Berlino? Nessuno lo sa, nessuno può dare ora una risposta definitiva. Ma tra virus a svolta ci sarebbe una bella differenza.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.