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L'iniziativa di Algebris non preoccupa

Le Generali sotto attacco?

Il pericolo vero però c'è, data la fragilità del nostro capitalismo

di Enrico Cisnetto - 02 novembre 2007

Ma sì, parliamone di questo “caso Generali”. Confesso che ero un po’ restio a occuparmi di una cosa che non esiste – la lezione di “buona amministrazione societaria” presuntamente impartita dal fondo Algebris e dal suo ineffabile capo – ma vista la (sospetta) insistenza con cui si è dato fiato al nulla, allora tanto vale cercare di girare le carte coperte di questo giochetto.

Delle incongruenze di Algebris e delle arroganze malriposte di Davide Serra ha già detto ieri mirabilmente l’anonimo estensore di “Contrarian”, azzeccato nome di una rubrica di Mf, non vale la pena di aggiungere altro: non è con quattro azioni e un pacco di opzioni, con acquisti su Mediobanca che si definiscono avulsi dalla vicenda Generali (ma Serra pensa proprio che siamo tutti cretini?) e con la reticenza sui suoi finanziatori che si può svolgere una seria e costruttiva funzione di pungolo nei confronti dei management di società quotate.

Dunque, “caso Algebris” archiviato. E sarà opportuno che in questo senso si indirizzino sia i vertici delle Generali – francamente, a parte Perissinotto, è parsa del tutto fuori luogo la reazione allarmata, e quindi legittimatrice, arrivata da Trieste – sia gli azionisti (almeno quelli seri) della compagnia, sia soprattutto le autorità di controllo e le istituzioni sollecitate a colloqui “pericolosi” dai “disturbatori d’assemblea”. Viceversa, però, non è affatto chiuso il “caso Generali”. Non lo è proprio per l’eco spropositata di cui ha goduto Algebris, ma soprattutto non lo è perchè è vero che, al di là del giudizio che si vuole dare al modo con cui è gestita, la compagnia denuncia da tempo un problema di assetto di controllo. Anzi, per essere chiari, è proprio per l’esistenza di questa debolezza – a sua volta figlia delle vicende di Mediobanca dell’ultimo decennio – che ha determinato l’incursione di Algebris.

Non è così decisivo, infatti, stabilire se dietro il signor Serra ci sia un mandante e chi sia: l’importanza è sapere che l’assetto azionario del duo “Mediobanca & Generali” è troppo fragile per reggere ad un qualche urto, trovare chi faccia da apripista ad una qualche operazione ostile è gioco da ragazzi. Che poi questo qualcuno agisca con un mandato in tasca o faccia della “tentata vendita”, è un dettaglio. Quello che conta – e di cui devono essere consapevoli a Trieste come a piazzetta Cuccia, e se ci rimane ancora qualcuno che pensa al Paese anche nei palazzi romani della politica – è che l’apripista si è già palesato (Algebris), e che invece di perdere tempo con esso bisogna concentrarsi sul vulnus vero che quel suo venire allo scoperto ha messo in luce.

Già, ma come si fa a sistemare il libro soci della duplice premiata ditta, ultimo baluardo di quello che rimane del nostro “capitalismo desertificato”? Qualcuno dice: facendo la fusione tra Mediobanca e Generali. Certo, essa avrebbe il pregio di compattare l’azionariato senza dovergli chiedere di mettere mano al portafoglio. Ma come prenderebbe il mercato un’operazione che sarebbe inevitabilmente definita difensiva, autoreferenziale se non addirittura di regime? C’è una qualche figura carismatica in questo disastrato Paese che sappia assumersi la responsabilità di dire che dopo aver aperto la porta di Telecom agli spagnoli e aver concesso due banche di non poco peso a francesi e olandesi, forse è il caso di evitare che anche “Mediobanca & Generali” facciano la stessa fine? Se ci fosse, sarebbe già uscito allo scoperto dopo la fusione Unicredit-Capitalia a dire che non c’è ragione al mondo che le due quote detenute dalle due banche in Mediobanca, già doppiamente sindacate (sindacato dei soci bancari e quello generale), dovessero dimezzarsi.

Si è parlato di conflitto di interessi, si è indotto quel ragionevole servitore dello Stato di Catricalà ad agitare la bandiera dell’Antitrust, ma si abbia il coraggio di dire che tutto questo non corrisponde né agli interessi del mercato né, tantomeno, a quelli dell’economia italiana, ma è funzionale a chi teme che si formi un asse Unicredit-Capitalia-Mediobanca-Generali. Il quale avrebbe sì molto potere – ma perchè, chi si preoccupa non ne ha forse altrettanto e non vorrebbe annettersi “Mediobanca & Generali”? – ma sarebbe un grande gruppo italiano finalmente in grado di non essere attaccato da nessuno e, anzi, muovere sullo scacchiere della finanza internazionale con il piglio del conquistatore.

Invece no, meglio morire tutti piuttosto che uno abbia la meglio. E così siamo qui a discutere del signor Serra, a discettare sull’età di Bernheim – certo è anziano, ma l’anno scorso o due-tre anni fa non era certo giovane – e a menarcela se i 2,36 miliardi di utile conseguiti nei primi nove mesi del 2007 (+21,8%) potevano essere di più (certo, al meglio non c’è limite). E ci dobbiamo accontentare (almeno, io sì) del fatto che la quota di interesse (e di conseguente potere) francese dentro “Mediobanca & Generali” sia sì importante, ma limitata dal fatto che ci sono dei contrappesi italiani (Geronzi, e se non si fa più tirare per la giacca, anche Profumo) e che i Bolloré-Bernheim-Ben Ammar sono comunque dei signori che prima di entrare a casa tua bussano alla porta e puliscono le scarpe sullo zerbino. Una magra soddisfazione, è vero, ma che ora l’avanzante “bipolarismo all’italiana” in versione bancario-finanziaria rischia di cancellare in nome di una concorrenza (ma non sarebbe meglio chiamarla guerra?) che farà solo morti e non proclamerà nessun vincitore.

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