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Le conseguenze di un gioco altamente rischioso

Le future vittime di un sistema onnivoro

Il mondo ha una propria stabilità, ma l'equilibrio è precario

di Antonio Gesualdi - 08 ottobre 2007

I Paesi ricchi sono molto più vecchi di quelli più poveri e tendono ad alti tassi di risparmio e di investimento. Le banche, più delle imprese, sono al centro del gioco: incamerano sempre più i risparmi e gestiscono le rendite e poi decidono degli investimenti. Le banche centrali dei paesi ricchi sanno di avere molte chiavi per condizionare gli andamenti finanziari, ma sanno anche che un errore di valutazione di troppo potrebbe far saltare l"equilibrio. Sfornano moneta e alimentano anche i debiti pubblici e commerciali. Tutti i paesi ricchi sono fortemente indebitati - gli Stati Uniti più di tutti - ma questo conviene anche ai paesi più poveri che accumulano riserve, soprattutto dollari ed euro, e tengono bassi i tassi d"interesse e l"inflazione.

Motivo per il quale questi paesi continuano a crescere contando sulle esportazioni (di materie prime e prodotti a basso costo) più che sulla domanda interna e motivo per il quale continuano i flussi migratori nonostante le loro economie prosperino rispetto al passato. Negli ultimi 5 anni in Cina il tasso di interesse è quasi a zero mentre quello del risparmio è passato dal 30 al 60%, sul Pil, dal 2001 ad oggi. Negli Stati Uniti e nei paesi dell"Europa occidentale, nel frattempo, il credito alle imprese e alle famiglie è notevolmente aumentato. E, infine, negli ultimi 10 anni l"inflazione mondiale è scesa dall"8% al 2%. In questo equilibrio, precario perché fondato sull"indebitamento pubblico e privato, ma altrettanto solido, coloro che ci guadagnano sono molto di più di coloro che ci perdono.

Il deficit estero è finanziato dalle banche centrali, i tassi di interesse bassi mettono liquidità sui mercati, si comprano materie prime, si fanno investimenti nei paesi emergenti che, a loro volta, accumulano dollari ed euro e finanziano la crescita in assenza di inflazione. I consumatori comprano beni a buon mercato e sopportano una condizione di sottoimpiego. Negli ultimi 10 anni, infatti, in Giappone e Stati Uniti il tasso di impiego 15-64 anni è calato di uno, due punti percentuali e nel resto dei paesi ricchi il tasso di occupazione è stagnante. Se in Giappone può dipendere dall"allungamento della speranza di vita, negli Stati Uniti dipende dal crollo del settore industriale. Chi, invece, in questo equilibrio ha da perdere sono i lavoratori delle imprese, ma già anche alcuni del terziario (call-center, consulenze on line, gestione dati...).

La "classe operaia" occidentale è ormai minoranza e quindi, per imprenditori e operai, la soluzione è sempre più politica e sempre meno economica. Negli Stati Uniti quasi non esiste più la sinistra (i democratici alla Clinton sono solo un"altra faccia dei Repubblicani), mentre in Europa il laburismo, la socialdemocrazia, il socialismo e il comunismo sono, praticamente, in crisi strutturale. E comunque sia anche la "classe operaia" è consumatrice e quindi - se non come individui, ma come agglomerato - qualcosa da guadagnare in questo equilibrio ce l"ha in quanto consumatrice. Se poi questa "classe operaia" (con dentro anche i giovani di Padoa-Schioppa) non ha neppure la proprietà dell"abitazione allora la questione si complica, ma l"intervento pubblico (con ulteriore debito) può compensare il disagio. La domanda, per i politici non per gli economisti, è: quanto può durare un equilibrio basato, sostanzialmente, sul debito e sull"emissione di CARTA-moneta? Per qualche anno potremmo restare in questo equilibrio gestito dalle banche centrali e dalle centrali della finanza mondiale. Una qualche reazione di protezionismo scomposto e regressivo potrebbe venire dai settori perdenti del mondo occidentale, ma, abbiamo visto, la sinistra alla quale faceva riferimento la "classe operaia" è allo sbando. Dunque sia un errore delle banche centrali che una presa del potere della "classe operaia" protezionista tout court sono da escludere.

A cinque o dieci anni, invece, è probabile una frenata della crescita dovuta alla ricollocazione delle materie prime e alle evoluzioni tecnologiche conseguenti. La necessità, ad esempio, di grandissimi investimenti nelle energie alternative. Non dimentichiamo che la Cina dal 2002 al 2006 ha aumentato del 48% il consumo di accaio, del 33% quello del carbone e di cifre dal 20 al 40% di alluminio, petrolio, nickel e argento. Quindi un ritorno dell"inflazione - dovuto anche alla riduzione delle popolazioni nei paesi ricchi - e all"aumento del tasso di occupazione. L"alzata dei tassi di interesse e la riduzione dei debiti gemelli degli Stati Uniti potrebbero accelerare la frenata e disequilibrare il mondo. Mentre anche i paesi più poveri, prima o poi, dovranno spostare la crescita dall"export predatorio alla domanda interna. Ma per questo ci vuole tempo: il tasso di occupazione mondiale è di 15 punti inferiore a quello medio dei paesi ricchi e aumenta di 0,25 punti all"anno; quindi si possono ipotizzare almeno altri 60 anni prima di avere un utilizzo pieno delle capacità produttive mondiali. Nel frattempo la vera rottura dell""equilibrio mondiale fondata sul debito pubblico" risiede, sostanzialmente nella finanza, ovvero nella destabilizzazione dei tassi di cambio. Finché il dollaro verrà considerato una riserva globale non può esserci rottura. Di conseguenza diventa sempre più importante la valutazione dell"euro. Ma soprattutto quando i paesi più poveri non avranno più bisogno di accumulare riserve e cominceranno a sostenere le proprie economie basandole sulla domanda interna, allora avremo, sicuramente, un passaggio ad un regime di cambi più flessibile. A quel punto gli Stati Uniti rischieranno un crollo del 20-30% della loro economia, avremo un"alzata dei tassi e un"impennata del costo delle materie prime. Questa predizione è datata nell"arco dei prossimi 10 anni. Il problema, quindi, va gestito solo ed esclusivamente in ordine politico perché a quel punto i paesi emergenti... saranno emersi. Ma quelli più ricchi saranno sprofondati?

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