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Il Capo dello Stato di fronte alla crisi

Le esitazioni del Quirinale

Il processo è maturo per il cambiamento, ma non ancora perfettamente digeribile per molti

di Antonio Gesualdi - 02 marzo 2007

Il Presidente Napolitano ha mancato un"occasione storica? Con un Prodi dimissionario avrebbe potuto prendere atto che la situazione politica era matura per una svolta. Informalmente l"ha anche fatto: mentre nel dare l"incarico a Prodi, dopo le elezioni di aprile 2006, aveva consultato le delegazioni uniche di Unione e CdL, nella fase della crisi della scorsa settimana il Presidente non ha seguito lo stesso procedimento e, in perfetto stile Prima Repubblica, ha consultato i gruppi politici. E pure i leader di partito. E" come se si fosse, di fatto, tornati al proporzionale e alle conseguenti politiche.

Il Presidente, infatti, ha sentito il dovere di giustificarsi e ha motivato questa decisione per "la particolare complessità della situazione venutasi a determinare". Perfino Verdi e Comunisti italiani, che in Senato formano un unico gruppo parlamentare, sono andati in ordine sparso al Quirinale. Non solo ma in queste delegazioni c"erano senatori e deputati eletti in liste uniche e in collegi - stiamo parlando di rappresentanza politica e quindi di sostanza non di forme - dove il partito di appartenenza del parlamentare neppure esiste. Dunque una vera e propria lesione del principio di rappresentanza politica.

Ma per non farla così drammatica ci si può accontentare anche di notare un vero e proprio decadimento dei ruoli istituzionali e in questo anche il Presidente della Repubblica si è fatto trascinare. A punto tale da dover certificare l"assenza di una maggioranza a sostegno del Governo in carica e dopo una settimana certificare che quello stesso Governo ha la stessa maggioranza. Un intervento di più ampio respiro aveva davanti la possibilità di un rinvio alle Camere, ma senza consultazioni, oppure di scioglimento o governo-altro. Nessuna di queste altre strade è stata percorsa probabilmente in ragione del fatto che anche l"opposizione si è presentata in ordine sparso: Forza Italia ha tentennato, la Lega Nord voleva lo scioglimento, l"Udc le "larghe intese" e An l"uno e l"altro. Dunque, politicamente, non esistono più i due poli e, logicamente, dovrebbe essere certificata la morte del bipolarismo all"italiana.

Il processo è maturo per un cambiamento, ma non ancora perfettamente digeribile per molti. Non c"è un governo, ma questo lo sappiamo dallo scorso aprile. E non c"è neppure un"alternativa. Almeno nel quadro attuale. Per il momento ci affidiamo, sostanzialmente, ai senatori a vita che hanno il compito di garantire la collocazione internazionale del nostro Paese, di evitare pasticci con i diritti civili i pacs i dico e i non-dico e di sostenere - per quanto possibile - qualche riforma necessaria, se si farà. I "grandi vecchi", nel nostro Paese, fortunatamente, sono in Parlamento. Al Quirinale c"è un altro "grande vecchio" che non se l"è sentita di forzare la mano eppure sia lo scioglimento che un governo "del Presidente" avrebbero dato una sferzata potente - forse definitiva - a questi partiti, ma soprattutto rimesso in gioco tutto il Paese. Il problema di questo Governo-Welby è che è chiaro che bisogna staccare la spina, ma non è ancora chiaro chi e come lo si deve fare. Se l"avesse fatto il Presidente della Repubblica sarebbe stato meglio.

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