Il messaggio d’Oltralpe e le urne smarrite
Le crepe del vecchio continente
Quello che manca è un’idea forza, di un obiettivo o ideale che muova le gentidi Davide Giacalone - 16 marzo 2010
Le urne europee, da ultimo quelle francesi, raccontano la storia di un continente che non riesce a riconoscere il proprio futuro. Gli elettori, almeno, non se la sentono di imboccare una strada, anziché un’altra. Le regionali di Francia vengono commentate così come sono state annunciate: Sarkozy perde. Ma è un modo superficiale di leggere le cose, tutto concentrato nel titolo, rendendo inutili gli articoli. Non è così, o, almeno, non solo così, che stanno le cose. Visto che anche le nostre sono urne europee, vale la pena riflettere.
Concentrare l’attenzione solo sulla vittoria o sconfitta di chi governa non ha molto senso, quando si tratta di elezioni non nazionali. Guardando l’insieme, invece, si colgono i dettagli significativi: alle elezioni europee il partito di Sarkozy (l’Ump), che le vinse, prese il 27,9% dei voti, alle regionali di domenica scorsa ha preso il 27,3. Considerarla una sconfitta epocale mi pare un filo esagerato. Il fatto è che i socialisti, che alle presidenziali rimediarono una solenne batosta, raggiungono il 29% e superano l’Ump.
Questo sì, che ha un significato, naturalmente favorevole a chi fa l’opposizione, in Francia. Ma, attenzione, perché il mosaico si completa tenendo presenti altre quattro cose: a. i MoDem, i moderati centristi di François Bayrou, che alle presidenziali s’erano affermati come protagonisti, con il 18,6% dei voti, non raggiungono il 5; b. la destra di Le Pen, in nome dell’anti-islamismo, s’impenna all’11%; c. i verdi balzano al 12, e ciò significa che se andasse in porto l’appello unitario del segretario socialista, Martine Aubry, la sinistra tornerebbe ad essere la gauche plurielle, ovvero un caravanserraglio multicolore; d. il tutto tenendo presente che i dati qui raccolti si riferiscono alle preferenze espresse da meno della metà degli elettori.
Il significato di tutto questo, a naso, è probabilmente il seguente: i francesi non sanno che pesci prendere. Sarkozy era stato il più bravo, prima come ministro e poi come candidato alle presidenziali, nel cavalcare i sentimenti e i risentimenti popolari. Ma certi prodotti devono aggiornarsi, o si guastano presto, complice anche un costume personale che mostra il potere come conquista, più che come strumento per governare (la retorica dello svecchiamento, e della connessa femminilizzazione, funziona per darsi una bella immagine, ma, alla lunga, suggerisce l’ipotesi che a governare sia un vecchio satiro). Il problema, comunque, non è Sarkozy, o sua moglie, perché queste sono cose per sale d’attesa, e perché i dubbi dei francesi sono simili a quelli di altri popoli europei.
La Merkel, in Germania è costretta, da due legislature, a coalizioni condizionanti, prima con i socialdemocratici, ora con i liberaldemocratici. In Inghilterra Brown sembrava bollito un mese dopo avere fatto fuori Blair, ma poi ha saputo allungare i tempi elettorali e le cose si sono fatte più difficili, per i conservatori, mentre i sondaggi danno in crescita il terzo partito, quello dei liberali. Non proseguo, non voglio annoiare, ma quel che voglio dire è che, ciascuno a modo proprio, ciascuno secondo i costumi e la storia nazionali, ha smesso di credere in un disegno politico, o in un partito, o in un leader, consegnandogli il potere.
Ciascuno ha fatto crescere offerte politiche altrimenti minoritarie, terze forze ieri inimmaginabili, salvo poi, in pochissimo tempo, rispedirle nella marginalità. E ciascuno vede diminuire il numero dei votanti, lasciando che siano i più schierati e coinvolti a decidere delle sorti di tutti. Queste cose non capitano per caso, ma mettono in luce la mancanza, nel vecchio continente, di un’idea forza, di un obiettivo o ideale che muova le genti.
Ce ne stiamo, ciascuno in casa propria, a grattarci le nostre insufficienze, mentre la casa comune, quella europea, è affidata nelle mani di gente che non conosciamo e che non votiamo, compresa una baronessa che manco è baronessa. Ciascuno, insomma, coltiva il vernacolo di una certa irrilevanza, che disamora gli elettori.
Certo, non è facile trovarsi nei panni di un elettore francese, di sinistra: alle presidenziali dovette votare la moglie del segretario del partito socialista (o, se preferite, una candidata che aveva come marito il segretario del partito, salvo il fatto che non erano sposati e si sono mollati, dopo le apposite foto da quadretto familiare); e, ora, sono guidati dalla signora Aubry, che sarebbe la figlia di Jacques Delors (o, se preferite, da una signora il cui padre è stato influente politico per cinquanta anni, giungendo a fare il ministro e il presidente della Commissione europea).
Una grande famiglia, insomma. Da noi le cose vanno diversamente, più secondo tradizione: sono sempre gli stessi, coniugi e figli li sistemano altrove, e sono ancora impegnati a regolare, fra loro, i conti del secolo scorso.
Pubblicato da Libero
Concentrare l’attenzione solo sulla vittoria o sconfitta di chi governa non ha molto senso, quando si tratta di elezioni non nazionali. Guardando l’insieme, invece, si colgono i dettagli significativi: alle elezioni europee il partito di Sarkozy (l’Ump), che le vinse, prese il 27,9% dei voti, alle regionali di domenica scorsa ha preso il 27,3. Considerarla una sconfitta epocale mi pare un filo esagerato. Il fatto è che i socialisti, che alle presidenziali rimediarono una solenne batosta, raggiungono il 29% e superano l’Ump.
Questo sì, che ha un significato, naturalmente favorevole a chi fa l’opposizione, in Francia. Ma, attenzione, perché il mosaico si completa tenendo presenti altre quattro cose: a. i MoDem, i moderati centristi di François Bayrou, che alle presidenziali s’erano affermati come protagonisti, con il 18,6% dei voti, non raggiungono il 5; b. la destra di Le Pen, in nome dell’anti-islamismo, s’impenna all’11%; c. i verdi balzano al 12, e ciò significa che se andasse in porto l’appello unitario del segretario socialista, Martine Aubry, la sinistra tornerebbe ad essere la gauche plurielle, ovvero un caravanserraglio multicolore; d. il tutto tenendo presente che i dati qui raccolti si riferiscono alle preferenze espresse da meno della metà degli elettori.
Il significato di tutto questo, a naso, è probabilmente il seguente: i francesi non sanno che pesci prendere. Sarkozy era stato il più bravo, prima come ministro e poi come candidato alle presidenziali, nel cavalcare i sentimenti e i risentimenti popolari. Ma certi prodotti devono aggiornarsi, o si guastano presto, complice anche un costume personale che mostra il potere come conquista, più che come strumento per governare (la retorica dello svecchiamento, e della connessa femminilizzazione, funziona per darsi una bella immagine, ma, alla lunga, suggerisce l’ipotesi che a governare sia un vecchio satiro). Il problema, comunque, non è Sarkozy, o sua moglie, perché queste sono cose per sale d’attesa, e perché i dubbi dei francesi sono simili a quelli di altri popoli europei.
La Merkel, in Germania è costretta, da due legislature, a coalizioni condizionanti, prima con i socialdemocratici, ora con i liberaldemocratici. In Inghilterra Brown sembrava bollito un mese dopo avere fatto fuori Blair, ma poi ha saputo allungare i tempi elettorali e le cose si sono fatte più difficili, per i conservatori, mentre i sondaggi danno in crescita il terzo partito, quello dei liberali. Non proseguo, non voglio annoiare, ma quel che voglio dire è che, ciascuno a modo proprio, ciascuno secondo i costumi e la storia nazionali, ha smesso di credere in un disegno politico, o in un partito, o in un leader, consegnandogli il potere.
Ciascuno ha fatto crescere offerte politiche altrimenti minoritarie, terze forze ieri inimmaginabili, salvo poi, in pochissimo tempo, rispedirle nella marginalità. E ciascuno vede diminuire il numero dei votanti, lasciando che siano i più schierati e coinvolti a decidere delle sorti di tutti. Queste cose non capitano per caso, ma mettono in luce la mancanza, nel vecchio continente, di un’idea forza, di un obiettivo o ideale che muova le genti.
Ce ne stiamo, ciascuno in casa propria, a grattarci le nostre insufficienze, mentre la casa comune, quella europea, è affidata nelle mani di gente che non conosciamo e che non votiamo, compresa una baronessa che manco è baronessa. Ciascuno, insomma, coltiva il vernacolo di una certa irrilevanza, che disamora gli elettori.
Certo, non è facile trovarsi nei panni di un elettore francese, di sinistra: alle presidenziali dovette votare la moglie del segretario del partito socialista (o, se preferite, una candidata che aveva come marito il segretario del partito, salvo il fatto che non erano sposati e si sono mollati, dopo le apposite foto da quadretto familiare); e, ora, sono guidati dalla signora Aubry, che sarebbe la figlia di Jacques Delors (o, se preferite, da una signora il cui padre è stato influente politico per cinquanta anni, giungendo a fare il ministro e il presidente della Commissione europea).
Una grande famiglia, insomma. Da noi le cose vanno diversamente, più secondo tradizione: sono sempre gli stessi, coniugi e figli li sistemano altrove, e sono ancora impegnati a regolare, fra loro, i conti del secolo scorso.
Pubblicato da Libero
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.