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Public Policy

Oltre i limiti dell'etica pubblica

Le beghe dei palazzetti romani

Una classe dirigente che non ha il senso ne il polso della realtà

di Davide Giacalone - 15 giugno 2010

Mi sono cascate le braccia, leggendo l’intervista che Pietro Lunardi ha rilasciato a Repubblica: da una parte ha gettato la croce addosso ai (suoi) colleghi, Scajola e Bertolaso, dall’altra ha argomentato dimostrando di non avere la benché minima idea di cosa sia l’etica pubblica. Sulle prime ho pensato che Silvio Berlusconi dovrebbe costringerli a star tutti zitti. Poi, però, ho colto in quelle parole il termometro dei tempi. Ne scrivo, allora, per capire fin dove siamo scesi.

Quel che segue non ha nulla a che vedere con le inchieste penali. In un ambiente sano, che non abbia la peggiore giustizia del mondo, le dimissioni di un governante, o la riprovazione nei confronti di un soggetto pubblico, possono essere invocate del tutto a prescindere dall’aspetto penale. La vita civile non si svolge nei tribunali, o nella loro sostituzione virtuale, rappresentata dai teleschermi.

Lunardi afferma che, quando era ministro, una delle sue case è stata ristrutturata da Diego Anemone (i nomi li fa lui, io non li copierei da un atto giudiziario), per due ragioni: la prima è che gli fu presentato dal migliore dei suoi funzionari, Angelo Balducci, e la seconda è che “mi doveva un favore”. Lo stesso Lunardi, parole sue, aveva telefonato a qualcuno d’influente, presso il Banco di Roma, in modo da propiziare la vendita di alcuni terreni a quel costruttore, che poi ci realizzò l’oramai celebre Salaria Sport Village. Telefonò perché quell’uomo era amico di Balducci, e, in cambio ricevette dei lavori presso una propria dimora, al prezzo di costo. Quello che sbalordisce è che, ripeto, omessa ogni considerazione penale, Lunardi non si rende conto di descrivere un malaffare, sembra non capire di avere affrescato una corruzione, quanto meno dei costumi. Pagai le fatture, dice, ma in quelle non c’era il valore del lavoro, solo il materiale. Quindi ricevette, essendo creditore di un favore, una contropartita economica.

Non è finita. I lavori a casa devono essere stati non trascurabili, perché l’ex ministro sente il bisogno di aggiungere che: “altri amici (…) mi hanno fatto alcune cortesie gratis”. Chi torva un amico trova un tesoro, ma qualcuno lo informi che per il fisco non esiste il concetto di gratis, mentre per un ministro non dovrebbe esistere quel concetto di amicizia.

Veniamo alla casa romana, il palazzetto a due passi dalla Camera dei Deputati. Fu Balducci a segnargli l’affare, visto che gestiva il patrimonio immobiliare di Propaganda Fide. Lo stesso Balducci al cui amico era riuscito a far compare il terreno del Banco di Roma. Chi ristruttura il palazzetto? Manco a dirlo: Anemone, ovvero l’amico beneficiato del funzionario più bravo, nonché occhiuto immobiliarista per conto terzi. Ma Lunardi ce lo trova, perché il lavoro, ma guarda un po’, gli era già stato affidato da Balducci (che gestisce quel patrimonio assieme ad un magistrato, presidente del Tar del Lazio e il di lui genero). Tutto regolare, dice Lunardi. Sarà!? quando, però, Lunardi vede la casa, su segnalazione di Balducci, esprime il desiderio, leggermente indotto, di comprare, ma il cardinal Sepe preferirebbe affittarlo, sicché l’indecisione si trascina per quattordici mesi, nel corso dei quali: a. il ministro alloggia; b. Anemone ristruttura; c. nessuno paga l’affitto. “Mi hanno fatto una cortesia”. E qui si esagera, con la cortesia.

La cosa finisce così: dopo avergli dato alloggio gratis, per più di un anno, Propaganda Fide gli dice che, se vuole, può comperare, ma non solo l’appartamento che abita, bensì l’intero palazzo, con lo sconto del 50%. E lui accetta. Tutto regolare. Tutto regolare? I lavori di ristrutturazione, questa volta, non li fa Anemone, ma “una ditta da lui suggerita”, il tutto utilizzando l’architetto di Anemone stesso, sempre lui medesimo. Tutto regolare? Lei, da ministro, gli domanda Corrado Zunino, cosa ha fatto per Balducci? E lui: “Ho fatto in modo che diventasse presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, ma solo perché era il migliore”. Quella che trovo fenomenale è l’affermazione finale, di Lunardi: “Il guaio è che la burocrazia italiana oggi è fatta di persone facilmente corruttibili”. Ha perfettamente ragione, ma è anche vero che il governo è fatto da persone come lui.

Ne traggo alcune considerazioni, amare e conclusive. 1. Scajola si difese dicendo di volere scoprire chi gli pagò casa, mentre la difesa di Lunardi l’ho appena riassunta. Ma dove li hanno trovati? 2. Il quadro tratteggiato da Lunardi è estremamente realistico, oltre che debosciato e decadente, e dimostra che la classe dirigente non ha il senso e il polso della realtà, considerandosi naturalmente destinataria di regali e piaceri. 3. La sola idea di fare il moralista un tanto al chilo, o di colpire a tre palle un soldo, mi fa venire l’orticaria, ma questa gente non si rende conto d’essere i necrofori di un sistema, perché un Paese che perde terreno da quindici anni, con il conto che arriva nelle tasche dei cittadini, s’incattivisce, e questo spettacolo, esibito con noncurante incoscienza, sollecita i peggiori istinti. 4. Noi garantisti difenderemo fino alla fine la presunzione d’innocenza, ma questi soggetti hanno dato prova di manifesta e pubblica insufficienza, che ha un prezzo politico. 5. L’intera corte ha un solo monarca: Berlusconi. O si affretta a sbaraccare la bolgia che gli gira attorno, colma di mezze figure che pretendono di fare, vivere e comportarsi come il loro capo, oppure sarà lui a pagare per tutti. Così come, del resto, è lui ad avere avuto la forza di crearli.

Sia detto e scritto da chi, quotidianamente, si batte contro il luogocomunismo e avverso il giustizialismo fascistoide di certa sinistra: non sempre la creazione è riuscita nel migliore dei modi.

Pubblicato da Libero

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