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Lo dimostrano donne, giovani ed ex…

Lavoro, un mercato rivolto al passato

Vecchi pregiudizi e false speranze viziano le leggi che regolano il mercato del lavoro

di Davide Giacalone - 01 luglio 2008

I mercati sono governati dalle leggi e popolati dagli uomini. Contano le regole, ma anche umori, pregiudizi e speranze. Specialmente nel mercato del lavoro, dove non solo l’Italia, ma anche gli italiani sono in affanno, un passo indietro, quasi incapaci di capire da che parte gira il mondo. L’atteggiamento di tre gruppi ci aiuta a vederlo: le donne, i giovani e gli ex. Federcasalinghe ed Eurispes hanno condotto una ricerca e, fra le altre cose, è emerso che per il 72,4% le casalinghe non si sentono realizzate, ma per la metà delle donne fra i 35 ed i 44 anni non lavorare e stare a casa è un “privilegio”.

L’apparente dissociazione ha una spiegazione: chi lavora per bisogno vorrebbe potere stare a casa e godersi i figli, chi ha bisogno di stare a casa tende a credere che senza il lavoro esterno si è delle frustrate. Chi ha fatto la madre a tempo pieno, poi, in effetti, stenta a trovare collocazione.
Quindi si mischiano due difetti:
a. il credere che sia il lavoro a dare legittimità sociale, convinzione indotta da film e pubblicità, certo non presentabile alle mondine di un tempo;
b. l’anelasticità delle regole tiene lontano dal mercato lavoratrici preziose, che potrebbero produrre ricchezza.

A lavorare si va per guadagnare, non per “realizzarsi” (se quattrini e tempo avanzano, ci si dia al volontariato), ma chi ci vuole andare trova molti più ostacoli del dovuto. L’Ispo di Mannheimer segnala che il 70% dei giovani preferisce un impiego sicuro (leggi “fisso”), anche se si guadagna meno. Si proietta sui giovani la mentalità dei padri e dei nonni, senza, però, che possa proiettarsi il loro mondo. Si proiettano, semmai, le loro pensioni, sulle spalle di chi ha meno garanzie. Peccato che, alla ricerca di sicurezza, si perde competitività, garantendosi solo l’impoverimento collettivo. Eppure le regole del mercato assecondano troppo questo antico pregiudizio, e premiano poco il valore ed il coraggio. Infine è l’Istat a farci sapere che viviamo accanto a tre milioni d’inattivi, vale a dire ex che ebbero ruoli di rilievo e che non s’adattano a far nulla di meno. Meglio niente che poco, pensano. E’, all’evidenza, vero il contrario. In tutti e tre i casi si tratta di persone che guardano indietro, facendosi guidare più dai miti che dalla realtà. Così anche le regole, purtroppo.

Pubblicato su Libero di martedì 1° luglio

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