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Monti, l'Europa e l'Italia

L'aiuto che serve

Le quattro regole da rispettare per non trasformare Monti in un piccolo elemosinatore

di Enrico Cisnetto - 29 giugno 2012

In un momento come questo, meglio essere schematici ma chiari. Dunque, primo: dal tanto atteso vertice Ue non uscirà nulla di veramente significativo. Secondo: se qualcuno in Italia dovesse trarne la conclusione che è meglio andare alle elezioni anticipate, farebbe un grave danno a sé e al Paese. Terzo: il governo è assolutamente necessario che resti, perché è possibile (probabile) che a settembre l’Italia debba chiedere l’aiuto formale della troika Ue-Bce-Fmi. Quarto: ma proprio per questo, Monti deve cambiare atteggiamento e linea. Così la vedo, e così la dico. Esagerato? Può darsi. Ma per quanto riguarda i problemi europei, non si capisce perché dopo anni di divergenze dovremmo aspettarci un improvviso cambio di scenario. Un conto è augurarselo, altro è darlo per praticabile e addirittura – sciocchezza sesquipedale – far dipendere da questo summit le sorti del governo. Come ho detto più volte, in Europa si confrontano due concezioni dell’eurosistema e relative politiche – quella nordica del rigore ma dei troppi tabù, e quella meridionale della spesa e del debito, ma vittima di spread che fanno ricchi le formiche che fanno la predica alle cicale – del tutto contrapposte. Entrambe sono legittimate da scelte nazionali sostenute da governi democraticamente eletti, ed entrambe sono egualmente sorrette da ragioni e si portano dietro torti. Ma sono tra loro inconciliabili, e quel che finora è accaduto (di sbagliato) è aver tentato di mediarle, con il risultato di non aver risolto i problemi di fondo fino al punto, ora, di mettere a rischio la moneta unica e con essa la tenuta stessa dell’impianto europeo nato nel dopoguerra. Sbaglia la Germania a chiudersi a riccio – dimenticandosi di aver già dato nel corso del Novecento prove drammatiche di ottusità – ma sbagliano anche i paesi che la criticano, con ciò precostituendosi un alibi per le scelte sbagliate o mancate in casa propria, quando puntano su temi (eurobond, risorse per la crescita, ecc.) del tutto secondari rispetto all’unica questione davvero dirimente, la costituzione di uno stato federale europeo. Se Italia, Francia e Spagna, anziché piagnucolare o tirare per la giacca la Merkel, sfidassero i tedeschi sugli Stati Uniti d’Europa – prendendoli sul serio, tra l’altro, perché Berlino ha detto ufficialmente che bisognerebbe procedere in quella direzione – questo sì che rappresenterebbe una svolta. Ma Hollande ha fatto la campagna elettorale che lo ha portato all’Eliseo su tutt’altro, e noi e gli spagnoli non abbiamo fatto l’unica cosa che dovevamo: approvare una solenne mozione parlamentare che impegnasse i due paesi a perseguire quell’obiettivo. Non è mai troppo tardi, ma dubito che il trio Hollande-Monti-Rajoy porti a Bruxelles questa istanza. Ma siccome non credo alla storia de “l’euro ha una settimana di vita, o va bene questo incontro o salta tutto”, vorrà dire che di vertice se ne convocherà un altro e in quella sede si pronunceranno le parole giuste. Ma se questa è la prima svolta che è lecito aspettarsi da Monti – se vuole sopravvivere, per il bene suo e nostro – l’altra è invece di natura interna. Si tratta di una scelta apparentemente tecnica, ma che invece ha una doppia valenza politica. Di cosa si tratta? Se vogliamo dare una risposta seria ai mercati, se vogliamo acquisire la necessaria credibilità agli occhi della Germania, se vogliamo evitare di dover lanciare un help alla troika e metterci il più possibile al riparo dalle nefaste conseguenze di un’eventuale collasso dell’euro, dobbiamo tagliare 100 miliardi su 800 di spesa pubblica – il che significa impostare in modo completamente diverso il lavoro della spending review – e dobbiamo mettere mano al patrimonio pubblico (Stato, enti locali) con un’operazione di quotazione in Borsa della società in capo a cui dovrà essere dislocato quello maggiormente valorizzabile. Con le risorse ricavate dobbiamo abbattere in debito sotto il 100% del pil e mettere al servizio della crescita soldi veri, sia facendo investimenti in conto capitale sia tagliando il carico fiscale su imprese e lavoro. Anche qui: se invece di inseguire inutilmente l’azzeramento del deficit – Confindustria ci ha comunicato che faremo -1,6% nel 2013 – questa manovra Monti l’avesse impostata subito, oggi saremmo in ben altra situazione. Tuttavia, c’è ancora tempo, almeno per avviarla e condizionarla ad una ben cadenzata road map. Questo sgombrerebbe il campo dalle tensioni politiche, chiuderebbe definitivamente il discorso sull’anticipo delle elezioni e ci farebbe sperare che la prossima legislatura possa già essere vincolata ad un preciso programma di risanamento e rilancio. In assenza di tutto questo, o salta l’eurosistema o saremo costretti a chiedere aiuto per restarci dentro. In nessuno dei due casi, i problemi da cortile della politichetta italiana saranno minimamente rilevanti.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.