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Cambi ai vertici e riformismo

La transizione infinita

Confcommercio, Confindustria, Abi, Cisl: il motore del cambiamento?

di Enrico Cisnetto - 13 febbraio 2006

In Confcommercio si è definitivamente chiusa una stagione, quella un po’ barocca del padre-padrone Billè, e se n’è aperta un’altra, con Sangalli, di maggiore apertura e trasparenza.
br> Nel mondo coop, la Confcooperative di Marino ha avuto il merito di lanciare alla Lega, dopo il caso Unipol, la proposta di un superamento di anacronistiche barriere di rappresentanza che, se realizzato, chiuderebbe per sempre l’epoca del collateralismo. In Confindustria, solo il carisma di Montezemolo ha fin qui sopito uno scontro d’interessi inedito nel mondo industriale italiano, quello tra le imprese dei settori sopraffatti dalla concorrenza globale – che chiedono protezione e guardano solo al costo del lavoro – e le aziende che, per capacità innovativa e per tipologia di attività ad alto contenuto tecnologico, ce l’hanno fatta o ce la potranno fare ad entrare nell’economia della conoscenza, che al contrario vogliono soprattutto opportunità. Nello stesso tempo, la resistenza dell’Abi a diventare una componente della Confindustria si è risolta finora a tutto danno delle banche, che hanno toccato il punto minimo della loro credibilità e immagine.
br> Nella Cisl, il fermento per nuovi equilibri interni nulla toglie all’alto valore simbolico, in termini di autonomia, della scelta di Pezzotta di non candidarsi alle prossime elezioni. Nella Cgil, un fin qui troppo prudente Epifani ha finalmente rotto l’acquiescenza nei confronti della sinistra antagonista arroccata nella Fiom che dice sempre “no”, aprendo un confronto tra due anime del sindacato che solo l’equivoco del vecchio unanimismo ha finora tenuto insieme. Nella nomina della Polverini al vertice dell’Ugl finora si è letta solo la novità della prima donna segretaria confederale, ma la vicenda potrebbe rivelarsi molto più innovativa se, come è possibile, l’ex Cisnal si spingerà nel mare aperto del sindacalismo riformista.
br> Sono per tanti versi storie assai diverse, queste che riguardano alcuni dei mondi più importanti della rappresentanza degli interessi, eppure accomunate da un denominatore: la netta percezione che si deve subito cominciare a scrivere il capitolo della modernizzazione della storia d’Italia, ma anche lo smarrimento per le modalità con cui partecipare alla realizzazione di questo cambiamento. Si avverte chiaramente, in ciascuno di questi mondi, il contrasto tra la tendenza a rifugiarsi nella propria ritualità e la pulsione verso nuovi orizzonti. Si prenda, per esempio, il sofferto dopo-Billè di Confcommercio: da un lato, la necessità di fare pulizia e di riconquistare la dignità e l’immagine perduta ha spinto, come poi è stato, verso una soluzione unitaria – anzi la migliore soluzione possibile – ma dall’altro è innegabile che il commercio abbia da fare i conti con la divaricazione tra una componente tradizionale ma poco difesa, una vecchia ma iper-protetta e una moderna della distribuzione, che non sarà facile (e forse nemmeno opportuno) tenere insieme. Ebbene, chi tra i leader di queste grandi organizzazioni spera che un aiuto, o quantomeno un segnale, venga dalla politica, magari per effetto delle elezioni, si sbaglia di grosso. Anzi, è da questi mondi che dovranno venire – prima di tutto facendo chiarezza dentro loro stessi – indicazioni su come si dovrà gestire l’ultimo pezzo di quella lunga transizione che abbiamo chiamato Seconda Repubblica.
br> Pubblicato su Il Messaggero del 12-2-06

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