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Bollettino economico: ancora incertezza e fragilità

La tartaruga Italia deve fare grandi passi

Urge una politica di sostegno alla domanda e di riavvio delle riforme di struttura

di Angelo De Mattia - 19 gennaio 2010

E’ la plastica raffigurazione dell’avvicinarsi alla metà del guado il Bollettino economico trimestrale della Banca d’Italia pubblicato venerdì scorso. In un contesto di miglioramento della situazione, gli elementi di incertezza e le fragilità prevalgono ancora sui segni positivi. Non se ne deduce, di certo, un’incitazione al pessimismo, ma la netta rappresentazione della necessità di non abbassare la guardia e nel contempo di imprimere stimoli all’economia, nella salvaguardia dell’equilibrio dei conti pubblici. La fotografia è tale che non si può ancora nemmeno parlare, come spesso accade per documenti della specie, di luci e ombre per l’economia e la società, essendo le seconde, almeno fin qui, prevalenti.

Di norma, il Bollettino, al di là delle considerazioni che vengono svolte nella “ sintesi “ iniziale, non propone elementi di policy. Si limita, come è nella sua natura, all’analisi, alla rilevazione di dati, alle stime. Sta al lettore operare, con accortezza ,le possibili deduzioni, avendo comunque presente che il 26 gennaio con la riunione presso Bankitalia un tempo denominata “ delle grandi banche “ e, soprattutto, il 13 febbraio con l’annuale convegno degli operatori finanziari ( il cosiddetto Forex ), nel quale interviene il Governatore, si potranno avere, sulle materie che saranno affrontate, suggerimenti di indirizzi e di linee prospettiche.

Intanto, già nella “ sintesi “ si trova che, a caratterizzare il clima di incertezza per l’immediato futuro, militano una domanda mondiale che potrebbe risultare più favorevole di quanto ipotizzato e, dall’altro e in sostanziale contrapposizione, il rischio che le condizioni del mercato del lavoro si mantengano deboli per un tempo maggiore. Di qui, l’affermazione che la crescita del Pil, prevista per quest’anno, inferiore all’1 per cento rappresenta un valore centrale che con una probabilità del 70 per cento si colloca all’interno di un intervallo di circa + e – un punto percentuale.

Si potrebbe dedurre, già da questa affermazione, che non si dovrebbe affidare l’impostazione della politica economica – la quale, come finora praticata, è stata giustamente definita flemmatica – alla sola evoluzione della domanda internazionale, riponendo in essa tutte le speranze per dare una spinta alla condizione di lenta e accidentata fuoriuscita dalla crisi anche da parte del nostro Paese. Tuttavia, a giudicare da una lunga intervista concessa dal Ministro dell’economia al “ 24 Ore “, da questo punto di vista non vi sono particolari novità, dal momento che, quanto alla prospettiva, nulla si dice sui futuri indirizzi della politica economica, ad eccezione dello spostamento della riforma fiscale – che inizialmente sembrava doversi realizzare ad horas – all’arco di tempo dei prossimi tre anni. Con il rischio che la tartaruga Italia - come presentata dal Ministro ricorrendo, nella sua dotta esposizione, a uno dei quattro paradossi di Zenone da Elea, dimenticando però che nel paradosso la tartaruga sta davanti e Achille, cioè gli altri Paesi fuor di metafora, cerca di raggiungerla, il che non sarebbe esatto nel nostro caso – resti una vera e propria tartaruga, non zenoniana, quanto al percorso che seguirà per uscire completamente dalla crisi.

In effetti, se c’è un continuo miglioramento della fase ciclica, come emergerebbe dai sondaggi congiunturali, a questo non corrisponde, come si afferma nel Bollettino, un rafforzamento degli indicatori di natura quantitativa. Si registra, innanzitutto, una forte riduzione del potere d’acquisto. La flessione del reddito reale disponibile aggrava un ristagno quindicinale che non ha riscontro in altri paesi dell’area dell’euro.

Se, poi, nel terzo trimestre dello scorso anno gli investimenti fissi lordi sono tornati a crescere, se si attenua il pessimismo nel mercato immobiliare, si registrano, all’opposto,la prosecuzione della perdita di competitività di prezzo delle esportazioni, una ulteriore pronunciata flessione della produttività, un deterioramento della redditività delle imprese non finanziarie. Se si riducono il fabbisogno finanziario delle stesse imprese e il debito bancario come pure la raccolta obbligazionaria, ciò riflette, in particolare, la contrazione degli investimenti nella fase recessiva.

Quanto al comparto del credito, si accentua la decelerazione dei prestiti bancari, continua a deteriorarsi la qualità dei finanziamenti, il flusso di nuove sofferenze rettificate raggiunge, in rapporto ai prestiti complessivi, il valore più alto dal 1998 e , per le famiglie, il tasso di ingresso in sofferenza continua a crescere. Sul fatto che la redditività bancaria rimanga contenuta influisce l’aumento delle svalutazioni su crediti che equilibra l’apporto alla crescita degli utili fornito dall’attività di trading e dalla riduzione dei costi operativi. In sostanza, quello dei finanziamenti continua ad essere problema di offerta, ma anche di domanda.

Peggiorano i conti pubblici ( l’indebitamento della P.A. avrebbe superato il 5 per cento e il debito pubblico sul prodotto crescerebbe di 10 punti ), anche se meno che nella media dell’area dell’euro, proseguendo, in specie, la caduta del gettito tributario iniziata alla fine del 2008. Come accennato, la ripresa dell’attività economica dovrebbe proseguire a ritmi ridotti nel 2010 a motivo della debole domanda interna. Segnali di un certo interesse dovrebbero venire dalle vendite all’estero e da una non marcata ripresa dell’accumulazione di capitale.

Il vero “punctum dolens” di questa fase è la stima della forza lavoro inutilizzata, che sarebbe superiore al 10 per cento. E’ l’aspetto che ha suscitato qualche polemica dall’interno del Governo, perché, evidentemente, non si è tenuto conto che, con tale stima, non si è certo voluto creare una nuova metodologia di calcolo della disoccupazione. E’ assolutamente evidente il carattere empirico – e tuttavia interessante e utile - di tale dato che si ottiene sommando ai disoccupati( 8,3 per cento ) stricto sensu i lavoratori in cassa integrazione e le persone scoraggiate, cioè quelle che non cercano attivamente un impiego. Si ricava, così, una stima della forza lavoro inutilizzata, come è ben chiarito in un apposito “box” del Bollettino. Se ne può fare l’impiego concettuale che si ritiene, ma non si può sostenere che, almeno sotto il profilo del buon senso, sia una stima utile per fotografare coloro che,pur trovandosi in condizioni giuridiche e di fatto diverse e pur avendo prospettive altrettanto diverse, oggi sono incontestabilmente inutilizzati in specifici lavori. I limiti di questa elaborazione sono noti. Si tratta di un dato sul quale, tuttavia, sarebbe opportuno riflettere, anziché contestarlo su di un terreno – quello della scientificità – che la stessa stima non affronta, oppure, con una ironia degna di miglior causa, coprire di dileggio, come pure è stato fatto, la condizione di “scoraggiati”, che non certo è inventata dal Bollettino e che sicuramente non merita osservazioni sbrigative.

E’ strano che ogni volta che si affronta la condizione, in questa fase, di lavoratori e disoccupati, si registrino puntualmente reazioni “ab irato” da ambienti governativi, anziché una pacata discussione, quando non accade, addirittura, che dei dati e delle elaborazioni si incolpi questo o quel dirigente, scegliendo sempre – per disavventura dell’incolpante – persone di alta qualità professionale e di nota credibilità. Ma , a prescindere da questo tipo di polemiche, che non giovano a nessuno, il quadro che emerge dal documento in questione, ancorché congiunturale, dovrebbe costituire una ulteriore spinta a riconsiderare la politica economica per questo torno di tempo. E’ certo che essa non può coincidere con la sola prospettiva triennale della riforma fiscale o con l’attesa, quando sarà, dell’emanazione dei decreti delegati sul federalismo fiscale – peraltro, passaggio delicatissimo – ovvero, ancora, con la sola erogazione di incentivi pubblici.

Non può continuare, quantunque sia governata con accortezza, la navigazione a vista. Gira e rigira, si ritorna alla urgenza di una politica di sostegno alla domanda e , contemporaneamente, di riavvio delle riforme di struttura. Una politica che affronti in modo diverso da quello sinora praticato la messa in sicurezza dei conti pubblici, che resta vincolo fondamentale, ma non incompatibile con una diversa, dinamica ,politica economica. Ciò è tanto più necessario, quanto più si avverte l’esigenza, non di attuare adesso una “strategia di uscita”, ma di prepararla sin d’ora ed essere in grado, quando sarà possibile, di attuarla senza danni, anche con benefici. Ma, questa non è la politica dell’” aspettando Godot”.

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