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Public Policy

Liberato il campo dal governo Berlusconi

La svolta che ancora non c'è

Ma almeno sblocchiamo l'Italia dalla propaganda

di Elio Di Caprio - 15 novembre 2011

Siamo bloccati su due fronti, quello dell’euro che è il più importante – non cresciamo da quando abbiamo cambiato moneta ed ora dobbiamo ringraziare che l’euro c’è, è la nostra ancora di salvezza anche se rischiamo di essere i primi ad affossarlo – e quello del sistema interno di un insulso bipolarismo elettorale che ci ha immobilizzato con l’illusione ottica che fossimo noi tutti a volere in nome della stabilità un leader inamovibile eletto con plebiscito. Come uscirne? Con un governo tecnico, come stiamo facendo grazie all’iniziativa di Giorgio Napolitano e in attesa di un governo politico che dovremmo eleggere con la medesima legge elettorale?

La storia non è finita, è appena cominciata, siamo ancora in “terra incognita” come direbbe l’ex ministro Tremonti. La narrazione berlusconiana non regge più neppure con i videomessaggi, sta facendo bruscamente posto ad altre narrazioni che rischiano di essere ben più drammatiche delle precedenti per l’oggettiva difficoltà di tenere distinti i due piani, da una parte la crisi finanziaria mondiale che ha investito l’Europa e l’Italia e non accenna a finire e dall’altra le armi a difesa che ci sono rimaste all’indomani della fine presunta dell’era berlusconiana. E’ dunque finita un’epoca e ne comincia un’altra per il solo fatto che il Cavaliere ha perso voti ( parlamentari) e immagine nazionale e internazionale oppure, cosa ben più importante per il nostro futuro, siamo a un punto di svolta obbligato dalle conseguenze di una crisi finanziaria globale che entrerà nelle nostre case e nei nostri destini personali e nazionali a prescindere dalla presenza del “caimano” la cui importanza non potrà non sfumare nel prossimo avvenire? Accontentiamoci intanto di aver sfatato le bugie propagandistiche e di aver misurato la differenza abissale tra il vuoto dei nostri bizantinismi e la serietà dei problemi da affrontare. Non sappiamo cosa succederà, ma sappiamo bene quel che è successo. Dopo tante proteste e tanta sfiducia contro la politica appaltata ai partiti e contro la casta che si autoperpetua con costi enormi dovremmo per coerenza essere ben contenti di un esecutivo tecnico più o meno imposto dall’esterno e dai mercati. Ma se è così, se il governo Monti va bene per uscire da un pericoloso impasse possiamo poi indignarci al pari degli indignados di altri paesi occidentali perché l’economia e la finanza a livello globale stanno mettendo nell’angolo i poteri della politica se non il sistema democratico di tanti Paesi? Sta qui la nostra principale contraddizione tra l’ansia di “liberazione” dal Cavaliere ed i sacrifici che nessuno vuol fare anche se imposti all’Italia attraverso l’intermediazione di un governo tecnico.

Del resto la pochezza del dibattito politico interno è stata finora plasticamente dimostrata dalle tante esitazioni dell’ex governo di centrodestra ad adeguarsi alle raccomandazioni della BCE fino ad accelerare per questi motivi la sua stessa caduta, al cambiamento di fronte dell’opposizione improvvisamente d’accordo a implementare le misure richieste dai mercati purchè il Cavaliere andasse via. Finito Berlusconi e il berlusconismo – almeno così si pensa- la via è libera. Ma per fare che al di là della legittima soddisfazione che sia stato condannato l’ingannevole ottimismo che ha nascosto la gravità della nostra situazione finanziaria? La storia più difficile comincia appunto adesso, ma non sarebbe male per svoltare veramente e (ri) cominciare domandarsi se sia colpa o merito esclusivo del Cavaliere che sia stato lui e non altri - come ci ricordano i mass media per sottolineare il cambiamento in atto- il più longevo presidente del consiglio della storia repubblicana.

Non è affatto vero ad esempio che siamo appena reduci da un “ventennio” berlusconiano con tutto quello che ne consegue nell’immaginario collettivo e nei giudizi affrettati dell’ultimo momento. Dal gennaio 1995 al 2001, passando per il “ribaltone” ( già allora) di Dini e poi per i miniribaltoni all’interno del centrosinistra tra Prodi e D’Alema e poi per l’infelice esperienza del governo Prodi dal 2006 al 2008 la sinistra è stata al potere o vicina al potere senza Berlusconi dal 1995 per 8 anni su 16. Il sistema dell’alternanza c’è stato ma non ha funzionato. E’ la sinistra che non ha fatto alcuna seria opposizione alla legge elettorale di Calderoli, neppure pensando di cambiarla nei due anni dell’ultimo governo Prodi, anzi determinandone gli esiti più nefasti attraverso la velleitaria stretta bipolare voluta da Walter Veltroni e assecondata da Berlusconi a cui è stata così spianata la strada per ottenere la più grande maggioranza della storia repubblicana, come ancora si dice. Per non parlare della “rivoluzionaria” modifica del titolo V della Costituzione, voluta dalla sinistra e confermata dal referendum, che ha ancor più indebolito i poteri dello Stato. Sono tante le eredità ed i cocci di quanto successo, non del solo Berlusconi anche se la sua stagione è assurta a ragione a simbolo del degrado crescente della nostra vita nazionale negli ultimi anni. Ci mancano ora solo le manifestazioni di piazza sull’esempio delle primavere arabe a favore o contro il leader deposto dai mercati. L’ulteriore passaggio ( propagandistico) è che la crisi economica italiana sia dipesa dal Cavaliere e quindi senza di lui non dovremmo avere alcun problema con i mercati che non vogliono più finanziare il nostro debito. Magari fosse così. La vera svolta comincerà quando ci saremo finalmente sbloccati e saremo finalmente usciti dall’imbuto propagandistico in cui ci siamo cacciati – è questo il vero peccato originale della lunga stagione berlusconiana- e saremo in grado di guardare in faccia la realtà. La realtà dello spread e dell’euro in bilico (anche) per colpa nostra.

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