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PD: la trappola delle primarie

La sinistra in cerca di identità

Per costruire un futuro politico bisogna andare oltre la propaganda politica

di Davide Giacalone - 07 luglio 2008

Ragionando sulla condizione del Partito Democratico, e lamentandosene con forza, Arturo Parisi (cattolico, uno dei fondatori dell’Asinello, artefice dell’Ulivo e molto vicino a Romano Prodi), sottolinea il disagio per l’assenza di democrazia interna e mette in evidenza un dato numerico. Quest’ultimo mi ha colpito, benché non sia certo una novità: gli italiani che hanno votato Pd sono stati 12.092.998, quelli che si sono recati alle così dette primarie erano stati 3.554.169. Ne deriva un rapporto pazzesco: il 30% degli elettori è composto da militanti del partito. Considerati i familiari, e volendo supporre che almeno loro stiano ad ascoltare i propri cari, ne deriva che i democratici parlano in larga misura a se stessi.

Se fosse vero, sarebbe un dato per loro drammatico. Una specie di comunità etnica che non s’incrocia con il mondo esterno. Credo, invece, che le cose stiano diversamente. I voti raccolti non sono pochi, ed il verdetto emerso dalle urne a me pare niente affatto disastroso. E’ più grave, a sinistra, la crisi politica, rispetto a quella elettorale, più preoccupante il vuoto d’idee che non il mancato pieno di voti.

Il rapporto con le primarie è del tutto falsato dal fatto che erano non un’incarnazione di democrazia dal basso, ma una manifestazione di propaganda, senza alcun valore rappresentativo. Credo, insomma, che il numero dei votanti sia stato largamente gonfiato e, al tempo stesso, abbiano partecipato molti cittadini che non sono affatto dei militanti del partito, ma si sono mossi per manifestare la propria opposizione ad un centro destra berlusconiano che s’annunciava vincente.

Alla sinistra converrebbe fugare l’equivoco e non rimanere con le gambe nella propria trappola. Giacché, se quelle fossero state vere primarie è evidente che eleggere un segretario con il consenso dei passanti, senza poi avere uno statuto, e nominare duecento rappresentanti delle correnti in un organismo che solo i partecipanti conoscono, comunque incapace anche del più elementare dibattito, è una condotta masochista. E se non lo sono state, come in effetti è, se hanno solo offerto un’occasione di mobilitazione e propaganda, poi a quelle non si può appendere tutto il ragionamento interno ad una imponente forza politica.

Si dirà: ma anche a destra le cose stanno messe male, anche lì non c’è democrazia interna e dibattito. Verissimo, ma non ne sentono il bisogno, anzi, forse proprio non ne hanno bisogno. Lì c’è un capo sicuro, che si muove con forza propria e cerca l’equilibrio fra le diverse componenti. Può piacere o meno, ma funziona. A sinistra la devono piantare d’imitare il peggio della destra, di volerne simulare la struttura non avendo nessuno cui far fare il leader indiscusso. A sinistra si costruisce un futuro politico se non si considera la politica quale fastidiosa appendice della propaganda. Né può supplire la piazza, perché quello è un modo per eliminare l’appendice.

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