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Il sipario sul caso dell’ex-dirigente Sisde

La sentenza Contrada

Se la verità giudiziaria merita rispetto, ora delegittima gravemente le istituzioni

di Davide Giacalone - 15 maggio 2007

Bruno Contrada è colpevole, da servitore dello Stato s’è messo al servizio dei mafiosi. La sentenza è definitiva, quindi questa è la verità processuale cui siamo tenuti ad attenerci. Questa verità, però, demolisce la credibilità dello Stato e induce a ritenere possibili i peggiori intrecci con la criminalità.

Contrada, durante i trentuno mesi di custodia cautelare, è stato un uomo solo, ma nei quindici anni che ci separano dall’arresto (un’altra vigilia di Natale) a fianco dell’ex numero tre del Sisde, servizio segreto civile, si sono ritrovati in molti. Hanno sostenuto non soltanto la sua onestà, ma la sua decisiva importanza nella lotta contro la mafia i capi della polizia (e con particolare forza Parisi), i direttori del Sisde, gli alti commissari contro la mafia, ed una lunga collana di prefetti, questori, poliziotti, carabinieri e finanzieri. Dato che la verità processuale è opposta, dato che siamo tenuti a considerare Contrada un uomo dei mafiosi, ne deriva che tutti questi signori sono, nel migliore dei casi, degli incapaci.

La peggiore ipotesi non è che anche loro abbiano favorito la mafia (mi parrebbe mostruoso anche solo a pensarsi), ma che quello cui abbiamo assistito è uno scontro fra poteri interni allo Stato, fra il Sisde e la Dia, la direzione investigativa antimafia. Se così fosse quella sentenza non darebbe voce ad una verità processuale, ma sarebbe la tessera di un orrido mosaico. Uso un tono pacato, nella speranza che favorisca il risaltare di quanto sia grave quel che è accaduto. Devo considerare Contrada colpevole, perché così dice la legge. Ma devo anche aggiungere che in un sistema giudiziario appena più civile questo non sarebbe successo.

Arrestato nel 1992 è stato condannato nel 1996. Nel 2001 è assolto, in appello, “perché il fatto non sussiste”. Nel 2002 la cassazione annulla l’assoluzione, il nuovo appello, del 2006, lo condanna e la settimana scorsa la cassazione appone il sigillo finale. Il dubbio non è legittimo è obbligatorio, tanto più che gli accusatori sono “pentiti” già scoperti a mentire. Contrada è restituito al carcere, con un’alta probabilità di morirci. Spera ancora che la verità smentisca la sentenza. Agli italiani va peggio, perché restituiti al buio di una storia non tutta raccontata, comunque, di certo, non chiarita.

Pubblicato su Libero di martedì 15 maggio

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