Riapriamo il dossier “partito della nazione”
La scelta per i centristi
Lettera aperta di un cittadino che ha scelto di votare Pezzottadi Enrico Cisnetto - 29 marzo 2010
Finalmente la più brutta, inutile e surreale delle campagne elettorali è finita. Domani e dopo si vota per 13 amministrazioni regionali, ma mai come questa volta la consultazione è politica, e può determinare in modo significativo il proseguimento, o meno, della legislatura e dell’intera Seconda Repubblica. In gioco non c’è il confronto tra centro-destra e centro-sinistra.
Prima di tutto perché se si parte dal risultato di cinque anni fa – 11 a 2 a favore dell’attuale opposizione – è chiaro che la coalizione guidata da Silvio Berlusconi potrà comunque cantare vittoria, togliendo ogni valore al confronto tra il numero delle regioni amministrate dai due poli. E poi perché se ci si trasferisce sul terreno più propriamente politico per giudicare i risultati di lunedì sera, come è giusto che sia, non è difficile arrivare alla conclusione che la partita vera si gioca dentro il centro-destra e dentro il governo. Infatti, i temi centrali di queste elezioni sono quattro verifiche, tutte nel centro-destra: del rapporto tra l’attuale maggioranza e il suo tradizionale elettorato; dei rapporti di forza tra Pdl e Lega; dell’equilibrio tra le diverse componenti interne al Pdl; dello stato di salute del governo. Mentre quanto accadrà nel centro-sinistra, a parte la misurazione del grado di concorrenza tra Di Pietro e il Pd, francamente appare quasi irrilevante.
Se questo è vero, avevano ragione coloro che in questi giorni hanno detto e scritto che per Berlusconi la corsa è, nell’ordine, contro l’astensione, contro il sorpasso della Lega e contro l’Udc. Sono infatti questi i tre possibili approdi di quell’elettorato moderato che non voterà mai a sinistra se dovesse lasciare il Pdl per disamora mento, disillusione e stanchezza. Si tratta di un dato certo, ancorché ancora non misurato (almeno fino a lunedì sera): una parte rilevante del voto ex An ed ex Forza Italia si sente tradito e medita di reagire. Le motivazioni di questo sentimento sono le più varie: il giudizio poco lusinghiero sul governo, salvo la reattività di fronte alle emergenze; la preoccupazione per una crisi economica che lo stesso premier ha più volte misconosciuto o, in nome di un astratto ottimismo, ridotto a poca cosa, mentre brucia sulla pelle anche e soprattutto di una parte rilevante della borghesia, piccola e media; la crescente intolleranza verso le divisioni interne al Pdl e al governo e verso alcuni comportamenti di manifesto dilettantismo.
In tutti i casi, siamo di fronte a qualcosa di rilevante e, forse, di non transitorio. Cosa faranno costoro domani e dopo? Il clamoroso astensionismo (53%) che ha caratterizzato il voto amministrativo francese di un paio di settimane fa ha fatto pensare che una parte importante degli italiani “delusi” potrebbe comportarsi analogamente ai francesi stanchi di Sarkozy. E’ ragionevole pensare che una parte farà così, ma non meno saggio è tener conto del fatto che quasi sempre alla vigilia delle consultazioni molti nostri concittadini dichiarano un astensionismo che poi non praticano. Perciò molto non voto, ma non nella misura della Francia.
Ma quei “delusi” che alle urne ci vanno, e però non vogliono concedere un’ulteriore proroga di fiducia incondizionata al Cavaliere, hanno solo due alternative: o credere che la Lega stia sulla Luna e non al governo con lo stesso Berlusconi e il Pdl, e di conseguenza la votano illudendosi che il loro rimanga comunque un’espressione di protesta, oppure votare l’Udc. E’, per esempio, quanto farò io, favorito dal fatto di votare a Milano e quindi non solo di potermi esprimere a favore di un uomo stimato e al quale mi lega una amicizia vera come Savino Pezzotta, ma anche e soprattutto di sapere che in Lombardia l’Udc è fuori da entrambe le coalizioni del nostro sgangherato bipolarismo. Non è un dettaglio, questo. Perché lo dico con la franchezza che Casini e gli amici dell’Udc ben conoscono: non so se altrove, con l’Udc schierato di qui o di là, mi comporterei come farò domani a Milano. E’ possibile, per non dire probabile che, che mi asterrei, come peraltro ho fatto altre volte quando questo maledetto sistema bipolare mi ha messo di fronte due minestre egualmente immangiabili.
In questi ultimi tempi mi è capitato con molta frequenza di fare incontri e tenere conferenze in molte zone del Nord del Paese, e ho sempre trovato nella borghesia produttiva che in larghissima misura si è affidata al centro-destra un grado di scoramento e persino di rabbia che francamente non mi aspettavo di trovare, comunque non in questa misura. Sono italiani che vogliono altro, che chiedono una diversa offerta politica, che pensano che si debba voltare pagina anche se poco ci sperano e soprattutto non sanno come si possa fare.
Quando offro loro i ragionamenti di Società Aperta sulla Terza Repubblica, sulla necessità di un’Assemblea Costituente, sull’inderogabilità delle grandi riforme strutturali per la modernizzazione – istituzionale, politica, economica, infrastrutturale e civile – del Paese, riscontro un grandissimo interesse e un’altrettanto grande disponibilità. Ma occorre dare a tutto questo uno sbocco. E’ da tempo, da quando l’Udc ha chiuso la sua esperienza dentro il bipolarismo ed ha imboccato con coraggio la strada della Terza Repubblica, che dialogo con Casini e i dirigenti dell’Udc su questa prospettiva. Prima le elezioni europee e ora quelle regionali hanno impedito di andare oltre le buone intenzioni. Ed è un peccato, perché c’era lo spazio per partire ugualmente. Ma ora, quale che sia il risultato di questa consultazione, si apre una fase decisiva: tre anni di legislatura senza più un appuntamento elettorale in mezzo.
E’ il momento di riaprire il dossier “partito della nazione”, che personalmente ho definito un partito “holding” capace di far convergere intorno ad un patto di governo, che lasci alla coscienza dei singoli e quindi al parlamento le questioni di natura etica, le forze cattoliche e laiche più aperte al cambiamento. Caro Casini, ne riparleremo a partire da martedì. Ma sappi comunque che “ora o mai più”.
Prima di tutto perché se si parte dal risultato di cinque anni fa – 11 a 2 a favore dell’attuale opposizione – è chiaro che la coalizione guidata da Silvio Berlusconi potrà comunque cantare vittoria, togliendo ogni valore al confronto tra il numero delle regioni amministrate dai due poli. E poi perché se ci si trasferisce sul terreno più propriamente politico per giudicare i risultati di lunedì sera, come è giusto che sia, non è difficile arrivare alla conclusione che la partita vera si gioca dentro il centro-destra e dentro il governo. Infatti, i temi centrali di queste elezioni sono quattro verifiche, tutte nel centro-destra: del rapporto tra l’attuale maggioranza e il suo tradizionale elettorato; dei rapporti di forza tra Pdl e Lega; dell’equilibrio tra le diverse componenti interne al Pdl; dello stato di salute del governo. Mentre quanto accadrà nel centro-sinistra, a parte la misurazione del grado di concorrenza tra Di Pietro e il Pd, francamente appare quasi irrilevante.
Se questo è vero, avevano ragione coloro che in questi giorni hanno detto e scritto che per Berlusconi la corsa è, nell’ordine, contro l’astensione, contro il sorpasso della Lega e contro l’Udc. Sono infatti questi i tre possibili approdi di quell’elettorato moderato che non voterà mai a sinistra se dovesse lasciare il Pdl per disamora mento, disillusione e stanchezza. Si tratta di un dato certo, ancorché ancora non misurato (almeno fino a lunedì sera): una parte rilevante del voto ex An ed ex Forza Italia si sente tradito e medita di reagire. Le motivazioni di questo sentimento sono le più varie: il giudizio poco lusinghiero sul governo, salvo la reattività di fronte alle emergenze; la preoccupazione per una crisi economica che lo stesso premier ha più volte misconosciuto o, in nome di un astratto ottimismo, ridotto a poca cosa, mentre brucia sulla pelle anche e soprattutto di una parte rilevante della borghesia, piccola e media; la crescente intolleranza verso le divisioni interne al Pdl e al governo e verso alcuni comportamenti di manifesto dilettantismo.
In tutti i casi, siamo di fronte a qualcosa di rilevante e, forse, di non transitorio. Cosa faranno costoro domani e dopo? Il clamoroso astensionismo (53%) che ha caratterizzato il voto amministrativo francese di un paio di settimane fa ha fatto pensare che una parte importante degli italiani “delusi” potrebbe comportarsi analogamente ai francesi stanchi di Sarkozy. E’ ragionevole pensare che una parte farà così, ma non meno saggio è tener conto del fatto che quasi sempre alla vigilia delle consultazioni molti nostri concittadini dichiarano un astensionismo che poi non praticano. Perciò molto non voto, ma non nella misura della Francia.
Ma quei “delusi” che alle urne ci vanno, e però non vogliono concedere un’ulteriore proroga di fiducia incondizionata al Cavaliere, hanno solo due alternative: o credere che la Lega stia sulla Luna e non al governo con lo stesso Berlusconi e il Pdl, e di conseguenza la votano illudendosi che il loro rimanga comunque un’espressione di protesta, oppure votare l’Udc. E’, per esempio, quanto farò io, favorito dal fatto di votare a Milano e quindi non solo di potermi esprimere a favore di un uomo stimato e al quale mi lega una amicizia vera come Savino Pezzotta, ma anche e soprattutto di sapere che in Lombardia l’Udc è fuori da entrambe le coalizioni del nostro sgangherato bipolarismo. Non è un dettaglio, questo. Perché lo dico con la franchezza che Casini e gli amici dell’Udc ben conoscono: non so se altrove, con l’Udc schierato di qui o di là, mi comporterei come farò domani a Milano. E’ possibile, per non dire probabile che, che mi asterrei, come peraltro ho fatto altre volte quando questo maledetto sistema bipolare mi ha messo di fronte due minestre egualmente immangiabili.
In questi ultimi tempi mi è capitato con molta frequenza di fare incontri e tenere conferenze in molte zone del Nord del Paese, e ho sempre trovato nella borghesia produttiva che in larghissima misura si è affidata al centro-destra un grado di scoramento e persino di rabbia che francamente non mi aspettavo di trovare, comunque non in questa misura. Sono italiani che vogliono altro, che chiedono una diversa offerta politica, che pensano che si debba voltare pagina anche se poco ci sperano e soprattutto non sanno come si possa fare.
Quando offro loro i ragionamenti di Società Aperta sulla Terza Repubblica, sulla necessità di un’Assemblea Costituente, sull’inderogabilità delle grandi riforme strutturali per la modernizzazione – istituzionale, politica, economica, infrastrutturale e civile – del Paese, riscontro un grandissimo interesse e un’altrettanto grande disponibilità. Ma occorre dare a tutto questo uno sbocco. E’ da tempo, da quando l’Udc ha chiuso la sua esperienza dentro il bipolarismo ed ha imboccato con coraggio la strada della Terza Repubblica, che dialogo con Casini e i dirigenti dell’Udc su questa prospettiva. Prima le elezioni europee e ora quelle regionali hanno impedito di andare oltre le buone intenzioni. Ed è un peccato, perché c’era lo spazio per partire ugualmente. Ma ora, quale che sia il risultato di questa consultazione, si apre una fase decisiva: tre anni di legislatura senza più un appuntamento elettorale in mezzo.
E’ il momento di riaprire il dossier “partito della nazione”, che personalmente ho definito un partito “holding” capace di far convergere intorno ad un patto di governo, che lasci alla coscienza dei singoli e quindi al parlamento le questioni di natura etica, le forze cattoliche e laiche più aperte al cambiamento. Caro Casini, ne riparleremo a partire da martedì. Ma sappi comunque che “ora o mai più”.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.