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La via maestra sta nella spinta allo sviluppo

La saggezza delle famiglie non basta

Urgono serie riforme strutturali e liberali, ma anche spesa pubblica in investimenti e opere

di Davide Giacalone - 23 febbraio 2010

Le famiglie italiane confermano la loro saggezza, riducendo drasticamente il ricorso all’indebitamento, mentre le casse pubbliche possono solo cercare di ridurre il deficit. Siamo ben lontani dai “vizi privati, pubbliche virtù”, ma neanche possiamo affrettatamente concludere per il contrario, giacché il crollo dei nuovi debiti privati si traduce anche in minori consumi di beni durevoli, il che non favorisce certo la ripresa.

Nel corso del 2009 gli italiani hanno ridotto dell’11,3% il ricorso all’indebitamento personale, o legato all’acquisto di auto, moto, arredamento ed elettronica. Facendosi i conti in tasca, in molti hanno evitato di fare il passo più lungo della gamba. Un settore, quello del credito al consumo, che cresceva, talora in modo impetuoso, fin dal 1995, ha fatto registrare un brusco arretramento.

L’indicazione psicologica è abbastanza chiara: se penso che il mio reddito sarà stabile, o crescerà, se ho, insomma, fiducia nel futuro, tendo ad indebitarmi per potere disporre subito di quel che pagherò nel tempo, se, invece, vedo nubi all’orizzonte, se il futuro mi spaventa, preferisco rinunciare anche a quel che potrei permettermi, se proprio non è indispensabile. Una condotta privatamente virtuosa, tipica di un popolo abituato a risparmiare, ma che si traduce in consumi depressi, quindi nel contrario della ripresa. Non è affatto il caso d’invitare i cittadini all’incoscienza, ma neanche quello di leggere il dato senza reagire, o come banalmente positivo.

Né, addirittura, di cedere alla tentazione di trasformarlo in alibi. Il nostro debito pubblico e significativamente superiore alla ricchezza complessiva che produciamo in un anno. Ma è altissimo. Inquietante. Stabilmente il nostro debito privato è basso, in rapporto a quello di altri Paesi. Se si fa una classifica del debito pubblico noi ci collochiamo in vetta, fra quelli messi peggio. Se si mettono in colonna i debiti complessivi, sommando quelli pubblici e quelli privati, figuriamo assai meglio. Chi lo constata con sollievo, però, sbaglia, perché questa è la fotografia di un Paese in cui la spesa è prevalentemente in mano pubblica, quindi di un mercato non dinamico e di cittadini non liberi. Non un bel vedere.

Chi crede che la via d’uscita sia nel taglio del debito pubblico ha una vocazione sadomasochista, perché si può ottenerlo o con più tasse o con riduzioni della spesa (facili a dirsi, ma dolorose a farsi). La via maestra sta nella spinta allo sviluppo, il che richiede riforme strutturali e liberali, ma anche spesa pubblica in investimenti e opere. Quei soldi creerebbero occasioni di lavoro, quindi fiducia nel futuro e relativa spesa privata, e dovrebbero essere indirizzati a superare le arretratezze infrastrutturali (dall’energia alle comunicazioni).

Il guaio della nostra spesa pubblica non è solo quello d’essere alta, ma d’essere per la quasi totalità corrente. Questo è il fronte su cui si misurerà la lungimiranza della politica economica, sperando che sia pari a quella popolare.

Pubblicato da Il Tempo

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