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Prima all’ombra della politica, ora sono loro a dettare legge

La rivincita dei burocrati (e dei tecnici)

Cambiamento di fase o eccezione che rientrerà?

di Elio Di Caprio - 09 marzo 2012

La Politica ha perso, l’Amministrazione ha vinto o sta per vincere. Si potrebbe così definire il passaggio di testimone e di consegne dalla politica all’alta burocrazia avvenuto con il cosiddetto governo dei professori. E’ un processo vero o solo apparente e transitorio in tempi in cui i politici emarginati si devono accontentare per esistere e contare dei tanti talk show a ripetizione dove continuano ad accapigliarsi sul nulla come contorno obbligato ad uno scenario dominato dai “tecnici” ? Ci accorgiamo all’improvviso che per lungo e troppo tempo non abbiamo avuto nè tecnici e nè competenti su cui contare avendo lasciato troppo spazio alla deriva partitocratica che ha consentito ai partiti di dividersi le spoglie del sistema economico colluso con la politica, prima durante e dopo Tangentopoli.

Gli scandali a ripetizione della Regione Lombardia da cui sembra non salvarsi nessuno non sono che l’ennesima dimostrazione che in questi anni sono stati piuttosto premiati o compensati i tanti clan d’affari e di malaffare a cui le leggi non hanno mai impedito di incunearsi e di infiltrarsi prima nelle pieghe del sistema proporzionale e poi di quello bipolare e maggioritario, totalmente incapace di ricreare un circuito virtuoso di responsabilità etica. In parallelo non è stato posto alcun freno all’aumento dei costi dello Stato assistenziale come testimoniato dal continuo aumento della spesa pubblica mentre è stato consentito ai vertici dell’alta burocrazia cresciuta all’ombra dei partiti di arricchirsi con stipendi stratosferici resi possibili dall’interpretazione tutta italiana dello “spoyl sistem” nato con ben altra logica in Paesi dove l’alternanza non è mai stati disgiunta dalla funzione di garanzia del pubblico interesse che dovrebbe avere ogni burocrazia. Il vento sembra cambiato, sappiamo finalmente con sorpresa e sconcerto quali sono le retribuzioni dei vertici dello Stato e non possiamo non osservare con sollievo in termini di competenze di avere come Ministro dell’Interno un prefetto, come Ministro degli esteri un diplomatico e come Ministro della Difesa un generale di lungo corso. Le competenze vincono sulla democrazia e anzi non potendo i nuovi personaggi pubblici emersi con il governo Monti ascriversi alla destra o alla sinistra sono ritenuti di centro, anzi sono diventati centrali nel senso più assoluto del termine in quanto non rispondono del loro operato a nessun corpo elettorale pur essendosi addossati una responsabilità di scelte di grande impatto politico e sociale. E’ presto per dire quali saranno i risultati del suicidio accettato delle forze parlamentari che ora avrebbero tutto il tempo – ma lo avevano già prima quando Berlusconi non si spiegava perché il gioco parlamentare non potesse essere svolto in maniera soddisfacente con i soli capi gruppo di partito e senza la pletora dei parlamentari - per discutere del loro futuro destino mettendo mano a una nuova legge elettorale ed a riforme costituzionali condivise che si preannunciano, nonostante i roboanti annunci, timide e controverse. Non c’è da essere molto ottimisti né sulla legge elettorale e né sulle modifiche costituzionali visto in che mani sono le riforme promesse, ma intanto una riflessione più ampia dovrebbe riguardare il ganglio vitale della burocrazia italiana- mettiamoci dentro pure una certa magistratura- e la progressiva involuzione da essa subita negli anni, diventata al contempo inflazionata e improduttiva, troppo spesso schiacciata ai voleri dei partiti, neppure pronta ad esercitare le proprie competenze secondo quel canone di neutralità ed efficienza che dovrebbe costituire una tradizione consolidata a difesa dell’interesse pubblico. Il discredito spesso fondato che circonda una burocrazia spesso pasticciona sembra contrastare con i compiti che il governo Monti ha ritenuto necessario affidare ai suoi vertici per far digerire provvedimenti di austerità, apparentemente neutrali, al comune cittadino che fino a ieri è stato frastornato dai tanti bluff propagandistici della politica. Vuol dire che gran parte dei “tecnici” e dei competenti si rinvengono non nella classe politica dei nominati ma nelle sfere del potere burocratico o accademico, prima inspiegabilmente dormiente ed ora piombato improvvisamente attraverso il governo Monti sullo scenario italiano? Ma poi a ben vedere i burocrati lanciati alla ribalta sono quegli stessi che per anni sono passati da un incarico all’altro, costituendo un ceto a parte cresciuto all’ombra più che al riparo della politica, non saranno mai “rottamati” e non certo possono essere portati ad esempio di quel ricambio generazionale che si è sempre invocato per dare spazio alle nuove generazioni. Forse il mercato delle professionalità non offre di meglio, ma il loro risveglio improvviso con l’incarico di tracciare il percorso per attuare le riforme che l’Europa o i mercati ci chiedono non può fare dimenticare la prassi invalsa fino a ieri, quella che ha determinato una matassa aggrovigliata di interferenze reciproche in cui il profilo dei politici si è troppo spesso confuso con quello dei burocrati a danno delle loro vocazioni e funzioni originarie. In un sistema democratico normale i politici dovrebbero fare i politici ed i burocrati dovrebbero fare i burocrati, senza essere al servizio gli uni degli altri. Le sovrapposizioni e gli incroci di ruolo testimoniati dall’eccezionalità del governo Monti indicano invece a quale punto morto sia giunta la faticosa gestione di poteri mal regolati dalla Costituzione. Quando si parla dell’ equilibrio dei poteri dello Stato e dei pesi e contrappesi necessari in democrazia si dà per scontata la funzionalità di una burocrazia neutrale e competente all’ombra del potere esecutivo. Ma è sempre così? Domandiamoci piuttosto perché al di là delle costrizioni e dei diktat dei mercati finanziari in questo periodo storico in Italia sia la politica a perdere e l’Amministrazione – anche quella che si inventa ( in ritardo) il cervello elettronico per far pagare le tasse- a vincere. Significa soltanto e semplicemente che lo Stato funziona poco e male e non sa utilizzare neppure gli strumenti di cui dispone. Perché? La risposta è apparentemente problematica se si prescinde dalla cultura del senso dello Stato che dovrebbe essere incarnato e permeare in modo esemplare i vertici delle istituzioni. Non a caso la confusione dei ruoli a cui stiamo assistendo con l’esperimento del governo Monti è stata preceduta e accompagnata da una cultura altrettanto confusa che invoca meno Stato o più Stato a seconda delle circostanze o imputa al troppo Stato o alla troppa burocrazia persino l’espandersi del fenomeno corruttivo, una cultura che non sa discernere tra il potere ineludibile della politica e il potere esorbitante dei partiti che ha alterato tutti gli equilibri.

Certamente non è un bello spettacolo lo strapotere dei partiti prima e oggi la casta burocratica a dettar legge. L’eccezione prima o poi finirà, ma si tratta pur sempre di poteri che prima o poi dovranno rientrare nei ranghi dopo essere abbondantemente esondati dai loro recinti che l’attuale Costituzione d’altronde non è mai riuscita a definire e a limitare per dare sostanza ed equilibrio alla nostra giovane democrazia.

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