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Incombe la crisi finanziaria internazionale e noi?

La rincorsa delle lucciole

La scelta obbligata tra Berlusconi e Veltroni per gestire “i tempi di ferro” che verranno

di Elio Di Caprio - 17 marzo 2008

Sarà pur difficile al comune cittadino orientarsi e capirci qualcosa sulla crisi finanziaria innescata dal crollo dei mutui sub prime negli USA, sulle sue ultime cause, sulla possibile durata, sui rimedi, sul calcolo dei vincenti e dei perdenti. Anche a non voler essere catastrofisti non è una crisi come le altre e né c"è da aspettarsi che i grandi economisti scovino in questa occasione un"equazione da scienza esatta che faccia quadrare tutti i conti a livello planetario e ci diano conto e ci svelino perchè è cominciata e come potrà andare a finire tutta la storia e se altre crisi consimili si profilino all"orizzonte. Sono ormai troppe le variabili in campo incontrollabili ed incontrollate.

Ma quello che risulta chiaro è che siamo entrati in un"era di profonda instabilità, i cui prodromi potevano essere avvertiti già da tempo. Gli attentati dell"11 settembre a New York, l"occupazione dell"Iraq che non si sa quando e come terminerà avrebbero pure dovuto insegnarci qualcosa. Spese militari da capogiro, economia americana retta dai consumi e da un indebitamento crescente sostenuto dai petrodollari e dall"attivo della bilancia dei pagamenti cinesi, fondi sovrani che rafforzano la loro presenza nella finanza globale, tutto ciò non poteva non produrre qualche sconquasso finanziario e geopolitico, o comunque un nuovo scenario a cui tutte le economie mondiali sono costrette prima o poi ad adeguarsi.

Un fatto per il momento è certo: stiamo facendo i conti con l"ennesima degenerazione speculativa da libero mercato che tanto libero non è quando la finanza si discosta troppo dall"economia reale, segue la sua propria logica destabilizzante, distribuisce perdite e costi sul maggior numero possibile di consumatori in vista di futuri arricchimenti, mostra quella spietatezza da “animal spirits” che già molti pensatori del novecento, anche conservatori - non solo Carl Marx – avevano denunciato come tratto distintivo del capitalismo d"assalto senza frontiere.

E" questa una crisi peggiore di quelle precedenti perchè alla crisi finanziaria è ora associata quella energetica o quella dovuta alle speculazioni che si sono innestate in previsione della penuria futura di energia e di materie prime. Giulio Tremonti direbbe che questo è il primo effetto devastante a largo raggio della globalizzazione dei mercati e dei consumi, iniziata negli anni"90, e del disordine conseguente in mancanza di un governo globale in grado di contenere e indirizzare le crisi e le loro conseguenze. Va da sé che le conseguenze sono peggiori per quei Paesi o quelle aree come l"Italia, che sono andate indietro e non avanti rispetto agli altri e che comunque non possono contare su una macchina statale unitaria ben funzionante ed organizzata.

Basta pensare che non siamo in grado neppure di controllare i territori in mano alla malavita, essa sì veramente organizzata tanto da riuscire a mettere le mani sulla quasi totalità degli ingenti finanziamenti europei alle nostre regioni del Sud in via di sviluppo. Quanto succede nel mondo dovrebbe indurci anche a sfatare alcuni luoghi comuni sulle riforme possibili, al di là delle mode mercatiste che hanno contagiato in Italia sia destra che sinistra dagli anni "90. In questo Tremonti qualche ragione ce l"ha, al di là della stantia polemica se l"Italia e l"Europa debbano e possano proteggersi dalla concorrenza asiatica o accettare invece i rischi e le opportunità del libero mercato. Nel mondo globale che il “liberista” Mario Monti in un editoriale sul “Corriere della Sera “ci ha ricordato - sulla linea di quanto detto prima di lui dallo storico Hobsbawm a proposito dei primi anni dell"altro secolo, il “Secolo breve” del "900 - non essere di per sè irreversibile, sono cambiate molte cose ed altre cambieranno.

Che senso ha richiamarsi alla tradizione liberista americana che ha sempre prodotto una legislazione anti trust per regolare il mercato interno ed evitare i monopoli a danno del consumatore, quando ora le frontiere sono cadute e nessuna legge può regolare e controllare le multinazionali finanziarie ed energetiche ed i loro comportamenti monopolistici da cui dipende il destino o la qualità della vita di tutti noi? Siamo più che mai nelle mani della finanza internazionale e delle sue bolle speculative, la Russia di Putin non è certo più rassicurante di quella di Breznev, il cartello dei Paesi produttori di petrolio è tutto tranne che un esempio di libero mercato. Non c"è chi non veda come in tale contesto vadano ridimensionate le stesse aspettative delle liberalizzazioni in campo energetico. E" più importante non dipendere troppo dalle fonti energetiche importate, fare spazio al nucleare e alle (poche) fonti alternative o dar corso a liberalizzazioni di facciata che al massimo fanno risparmiare dieci euro per famiglia all"anno come è accaduto per quella elettrica quando si è deciso che i consumatori possono avere un"alternativa all"Enel? Con chi protestiamo se aumenta il costo di elettricità e gas? Con l" Enel o con l"Eni?

Tremonti sembra un visionario alla corte di Berlusconi, ma non è il solo a vaticinare un difficile futuro. Speriamo abbia torto. Egli invita ad una rivoluzione culturale di difesa, necessitata dai tempi : più Stato, più autorità, più disciplina, più responsabilità individuale, più solidarietà comunitaria. In una parola più realismo. Ma è proprio quello che manca nella rincorsa alle lucciole di casa nostra con una campagna elettorale ancora giocata più sulle promesse nel giardino di casa che non su una visione delle complessità a cui andremo incontro.

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