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La lunga agonia della Seconda Repubblica

La retrocessione della politica ad alterco

Meglio il lavacro delle urne, di questa feroce guerriglia quotidiana

di Fabio Fabbri - 15 febbraio 2011

Nelle ore di insonnia di una notte di tardo inverno il tarlo della politica ha stimolato nel mio animo una riflessione sulla lunga agonia della Seconda Repubblica: uno sguardo sugli “anni di Berlusconi”, sulla condizione dell’Italia di oggi, sui possibili scenari futuri. Il bilancio è sconfortante. Dal 1994 ai nostri giorni la Nazione ha subito un regresso preoccupante. L’impoverimento è palpabile. La disoccupazione giovanile è crescente. E’ a rischio l’unità nazionale.

Il prestigio internazionale della Repubblica è in forte declino, mentre nel mondo sono in corso eventi epocali. Ma quel che più preoccupa è che non si scorge neppure un lume in fondo al tunnel: un progetto convincente di risveglio, l’emergere di nuove idee e di nuovi leaders in grado di portarci fuori da questo marasma vacuamente conflittuale. Quanto ai protagonisti, la rassegna è presto fatta.

Anzitutto Silvio Berlusconi. E’ il dominatore che ha riempito il vuoto creatosi con la distruzione, principalmente per opera della magistratura, dei partiti storici della Prima Repubblica. Il bipolarismo, rafforzato da una legge elettorale che prevede un iniquo premio di maggioranza, ha ridotto la vita politica ad un cruento scontro fra chi sta con lui, Berlusconi, e chi vorrebbe distruggerlo con ogni mezzo: e specialmente con l’aiuto della Procura della Repubblica di Milano.

Personalmente, non mi è mai passato per la mente di diventare berlusconiano. Me lo hanno chiesto, cortesemente, nel ’94, prima lui stesso, poi Franco Frattini, mio stretto collaboratore quando ero a Palazzo Chigi con Giuliano Amato. Ho declinato l’invito. E tuttavia non mi piacerebbe affatto che, per la seconda volta, la svolta politica non derivasse da un libero responso elettorale, ma da un secondo straripamento di parte della magistratura. Certo, lui offre ai suoi inquisitori la corda per farsi impiccare. Ma ha cento volte ragione l’ex direttore del Corriere della Sera Piero Ostellino quando rileva il carattere persecutorio e illiberale dell’inchiesta sui festini di Arcore, sorretta da uno spiegamento eccessivo di mezzi di indagine, censurato perfino dal Cardinale Bertone.

Detto questo, il mio giudizio sul Cavaliere di Arcore coincide con quello espresso dal direttore di questo giornale nel suo editoriale del 30 gennaio. Il Silvio è da sempre un erotomane. Molti anni fa venne a Parma, ospite di un noto imprenditore cattolico e creò grande imbarazzo fra le signore presenti magnificando le plurime prestazioni sessuali garantite da certe pillole che consigliava agli amici. Rino Formica suggerisce per lui la cura in una clinica svizzera, dopo una sorta di amnistia, come quella di Togliatti, che lo tenga lontano dalla galera e gli conservi “la roba”. Un piano di difficile realizzazione. Lui intanto ha sette vite come i gatti, sembra sul punto di soccombere, ma è ancora al comando: tira a campare che, come diceva Andreotti, è meglio che tirare le cuoia. La ragione per cui sta in piedi, lo ha detto brutalmente il filosofo Massimo Cacciari, è che mancano, sul fronte opposto, idee e leader in grado di presentare una seria alternativa.

Dopo la rivoluzione del 1994, sono scomparsi i partiti, intesi come fucine di progetti e incubatori della classe dirigente. I nuovi prim’attori politici sono ora i guitti dei talk show, gli strapagati Floris, Santoro, Travaglio, Gad Lerner, Fazio e perfino Vespa e la Gruber, che accrescono il loro potere intervistandosi a vicenda e usando come provocatori alcuni giornalisti “schierati”: pro o contro Berlusconi. In nome di un bipolarismo con l’elmetto che non ha portato né stabilità né buongoverno. Anche gli “ospiti” dei vari “format” sono sempre gli stessi, perennemente in sovraesposizione, da Di Pietro, il tribuno della plebe nemico dei congiuntivi, al mediocre Gasparri, da Rosy Bindi paonazza al saccente Bocchino. Ha commentato giustamente Mina, la grande cantante che scrive per la Stampa di Torino: “Se continueranno a sbraitare, a interrompere, a vomitare esagerazioni, nessuno si accorgerà più delle reali differenze…Sta nascendo irrefrenabile una pretesa di silenzio”. E’ la retrocessione della politica ad alterco.

I grandi leader del passato, che emanavano autorevolezza e tranquillità, non avrebbero mai accettato di partecipare a questi tornei della contumelia e dell’odio. Non c’è bisogno di tornare alle “Tribune politiche”. Basterebbe che i canali nazionali imitassero la concorrente Sky.

Il maggior partito di opposizione, il PD, è etero-diretto, cioè a rimorchio del quotidiano La Repubblica ed anche dei suddetti guitti delle TV. E’ solcato da aspre divisioni e perfino vittima delle sue primarie. Bersani è una guida debole e un mediocre comunicatore, impaurito dalla concorrenza di Vendola, il favellatore aulico con l’orecchino. I giovani rottamatori non riescono a salire sulla plancia di comando, né sembrano portatori del nuovo verbo. L’unica testa politica resta Massimo D’Alema, che ha concluso con le dimissioni la sua esperienza di governo e appare dunque usurato. La novità poteva essere il terzo polo di Casini, un vecchio-nuovo democristiano. A Pierferdinando, che conosco da quando era allievo di Toni Bisaglia ed Arnaldo Forlani, mando un messaggio amichevole. Che errore l’abbraccio con Fini! Sì, perché questo post-fascista allo sbando, campione di trasformismo, è pronto a nuove giravolte al servizio della sua sete di potere. Ha anche infranto la tradizione dei presidenti della Camera prestigiosi e super partes.

Resta da dire della Lega, elettoralmente in ascesa, certo, ma indebolita dalle precarie condizioni di salute di Umberto Bossi, dalle divisioni fra sotto-capi e dalla intrinseca debolezza del suo programma. Il federalismo comunale è uno svarione istituzionale. Si tratta semplicemente di attribuire autonomia finanziaria ai comuni, che può anche essere una delusione rispetto alle aspettative.

C’è una sola ragione di conforto: la saggezza, la popolarità, l’intelligenza e la dirittura morale del Presidente della Repubblica, questo socialdemocratico europeo reduce da una lunga esperienza di minoranza nel partito comunista. Anche il Capo dello Stato non può che essere consapevole che, a questo punto, è meglio il lavacro delle urne di questa feroce guerriglia quotidiana.

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