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Public Policy

Meglio l’Italia commissariata da un Ministro che dall’Europa?

La resa dei conti di Tremonti

Quando gli equilibrismi non bastano più per uscire dalla crisi

di Elio Di Caprio - 24 maggio 2010

Se non avessimo un debito pubblico così alto, se l’introduzione dell’euro non avesse penalizzato il potere d’acquisto del lavoro dipendente, se non ci fosse una così massiccia evasione fiscale ( si parla di 200 miliardi di euro all’anno, ma chi è in grado di dare cifre così sicure?) se non ci fosse la tassa nascosta di un sistema corrotto che vive ancora di tangenti ( si parla di 60 miliardi all’anno, ma anche qui si tratta di un’informazione credibile della Corte dei Conti?), se non ci fosse il buco degli sprechi della sanità ( a quanto ammonta? 60 o 100 miliardi di euro all’anno?).

Se fosse così, sarebbe un’altra Italia, vivremmo in un’altra Italia, quella che non c’è. Si fermerebbe comunque l’Italia come la conosciamo, un Paese che nel declino strisciante ha perso man mano le posizioni più competitive, eppure regge. Il costo che si paga è stato ed è – ce ne accorgiamo quando arriva la sveglia di una crisi internazionale improvvisa - un ulteriore ripiegamento sugli interessi piccoli e di bottega e dall’altra un sistema partitocratrico, sempre più lontano dalla gente, che continua ad autoalimentarsi fino a diventare, come è avvenuto, sistema delle caste e poi delle cricche. Fino a quando? Uscirne fuori è un bel rompicapo, più complicato di quanto si pensi perché il groviglio riguarda un po’ tutti.

Basterebbe pensare all’ardua alternativa tra il penalizzare e in che misura l’attuale generazione rispetto a quelle che verranno dopo oppure al prolungamento dell’età lavorativa che se da una parte aiuta ad aggiustare la spesa pubblica, dall’altra svantaggia ancor più gli ex giovani che entrati già tardi sul mercato del lavoro si trovano la strada sbarrata dal ritardato ricambio con le generazioni precedenti.

Quando di fronte ad un bivio è impossibile o difficile scegliere non restano che i messaggi propagandistici, o gli annunci volenterosi immancabilmente smentiti dalla realtà: non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, ci sarà comunque e sempre cassa integrazione per tutti, compresi i precari, il federalismo fiscale farà giustizia degli sprechi regionali, l’evasione fiscale sarà finalmente sconfitta, con la mitica green economy- altro che nucleare!- aumenteranno i posti di lavoro. Chi ci crede? Meravigliarsi a questo punto che nessuno abbia fiducia in cambiamenti epocali e tanto meno in quelli ordinari che dovrebbero conseguire ai cambi di maggioranza del governo? Il partito delle astensioni enormemente cresciuto nell’ultimo test elettorale assieme al successo localistico della Lega al nord nella medesima tornata elettorale dovrebbero pur dirci qualcosa sul vero e proprio riflusso sul privato e sulla sfiducia che gli attuali partiti siano all’altezza dei tempi.

E’ più facile dire che fare, annunciare che scegliere quando la dialettica delle informazioni contrapposte si trasforma in guerra di propaganda pura e semplice con l’intento di non scontentare nessuno e di nascondere la realtà. La realtà (economica) sembra che la conosca il solo Ministro Giulio Tremonti. E’ lui l’unico baluardo rimasto a proteggere i conti di un’Italia che balla sull’orlo del debito pubblico da decenni, a lui viene riconosciuto anche da quella sinistra che lo accusava fino a ieri di trascurare lo sviluppo a favore della tenuta dei conti, il merito di aver salvato l’Italia ( fino a quando?) da un destino greco.

Se fino a ieri ci si lamentava delle famiglie che non arrivano con il loro reddito a coprire le spese oltre la terza settimana del mese, cosa di peggio ci potrà riservare il futuro? Ed allora è meglio che l’Italia venga commissariata dal Ministro Tremonti che dall’Europa, come invece è successo alla Grecia. Si fa finta di credere alla favola del “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani” quando tutti capiscono che una manovra finanziaria da 28 miliardi di euro, se basta, qualche effetto diretto o indiretto sulle tasche degli italiani lo avrà. Altrimenti non si spiegherebbe perché un’operazione così ingente, anti sprechi e a costo zero, come si vuol far credere, si sia fatta con tanto ritardo solo per dare un segnale e dimostrare all’Europa che l’Italia è ben consapevole della criticità del suo debito pubblico e qualcosa comincia a fare per ridurlo o non accrescerlo.

Si fa finta di non sapere che l’evasione e l’elusione fiscale è sì il problema dei problemi ma è allo stesso tempo un falso problema- Tremonti dovrebbe essere il primo a saperlo- perché la politica ci ruota consapevolmente attorno da anni senza risolverlo alla radice. Se il tasso di evasione rispetto agli altri Paesi europei è secondo solo a quello della Grecia, se i condoni fatti o in programma indicano una certa benevolenza al riguardo, vuol dire che il problema non è mai stato preso di mira dai vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni per non turbare i fragili equilibri di un’Italia a due velocità che si è sviluppata in maniera abnorme anche grazie all’evasione fiscale al centro-nord ed all’economia sommersa del sud E’ per questa che l’evasione ha finora funzionato da perverso incentivo per mantenere quella flessibilità nei rapporti di lavoro all’entrata e all’uscita che consente di fronteggiare un tasso di disoccupazione altrimenti insostenibile.Ma chi lo ammette apertamente?

Non resta che la propaganda o la sapiente preparazione graduale degli italiani ai futuri sacrifici. E’ l’Europa che lo chiede e nessuno può tirarsi indietro. Ma, con il debito pubblico che abbiamo la manovra finanziaria in programma non è certo una misura “una tantum” dopo la quale tutto può restare come prima. E’ solo l’inizio di un percorso di austerità. Nessuno ha il coraggio di dire che l’Italia a due velocità di nord e sud, quella delle evasioni e delle cricche, corre il rischio di fare le spese, tutta intera, dell’Europa a due velocità che si prospetta se l’euro non tiene e affonda. Il “si salvi chi può” può cominciare dall’Europa, ma non finire lì. Il contagio potrà arrivare all’interno degli Stati. A che serviranno allora l’ottimismo di Berlusconi o gli equilibrismi di Giulio Tremonti per dimostrare all’estero che l’Italia ha invertito le tendenze del passato e sta risanando i conti?

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