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Public Policy

L'era di Internet

La quinta dimensione del potere

Se negli anni Ottanta furono i jet, adesso sono i byte l’arma per bloccare la costruzione della bomba atomica da parte di uno Stato ostile.

di Massimo Pittarello - 13 luglio 2012

Il controllo del mondo cibernetico è la nuova frontiera dove si affronteranno e si confronteranno le potenze planetarie, ma non solo. Nel dicembre 2012 si svolgerà a Dubai la Conferenza Mondiale delle Comunicazioni Internazionali; primo capitolo della nuova grande battaglia planetaria per il dominio della Rete. Le grandi potenze mondiali torneranno a rinegoziare il trattato del 1988, quello che stabilisce l’attuale regime. Di fronte si troveranno due schieramenti che hanno idee diverse su come dovrà essere regolamentato Internet: da un lato gli Stati Uniti con il loro approccio “multi-stakeholder”, che tutela tutti i portatori di interesse sulla Rete, e perciò di carattere essenzialmente privato. Anche perché allo stato attuale delle cose i domini .org, .net, .com – tra i più diffusi e utilizzati – sono amministrati da compagnie basate negli Stati Uniti e dunque sottostanti alle leggi americane. Dall’altro lato una coalizione capeggiata dalla Cina, sostenuta da India, Russia, Brasile, e anche la Francia, che vorrebbero introdurre un controllo multigovernativo, attraverso organizzazioni collegate alle Nazioni Unite. In sostanza siamo di fronte a uno scontro fra chi difende un approccio “privatistico” da uno “diretto dal settore pubblico”. E se la visione anglosassone è favorita, non è scontato che vinca. Ma qui, come in tanti altri casi, la formulazione giuridica è solo uno strumento con cui si vuole ottenere il controllo della quinta dimensione: quella cibernetica. Dopo il controllo delle terre, quello delle acque, poi quello dei cieli e infine quello degli spazi extratmosferici, la battaglia per il dominio globale si sposta su un nuovo campo di battaglia: il virtuale. Che è divenuto fondamentale, strategico, determinate, come testimoniato da molti fenomeni. Basti pensare che il processo di arricchimento dell’uranio attuato dall’Iran è stato bloccato per anni da un attacco informatico che – anche se non rivendicato – è stato lanciato da Israele. Se negli anni Ottanta furono i jet, adesso sono i byte l’arma per bloccare la costruzione della bomba atomica da parte di uno Stato ostile. Il controllo dei codici binari è l’avanguardia per il controllo strategico mondiale. Nel 2009 in Moldavia c’è stata la cosiddetta “Twitter revolution”, ma è stato con le “primavere arabe” che l’importanza dei social network ha palesato tutta la propria importanza. Tra l’altro, molti dei promotori delle proteste avevano partecipato ad appositi corsi formativi promossi dagli Stati Uniti sin dall’amministrazione Bush. Il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato di aver stanziato, dal 2008 al 2011, 76 milioni di dollari per promuovere la “libertà di Internet” nel solo Medio Oriente. Nel 2012 sono previsti altri 25 milioni di dollari, oltre all’esenzione dall’embargo verso l’Iran di alcune tecnologie e servizi informatici che possono favorire “il libero flusso di informazioni”. Gli Stati Uniti, con il controllo di Internet, stanno perseguendo la strategia denominata “full spectrum dominance” e cioè con il controllo di ciascuno degli ambiti strategici. Una volta c’era la “diplomazia del ping pong”, ora c’è la “twitter diplomacy”. E allora la nuova battaglia – speriamo solo diplomatica – verrà combattuta proprio qui. Se in passato gli americani vendevano armi alle forze oppositrici di un regime considerato “nemico”, oggi finanziano tecnologie che permettono ai dissidenti di comunicare, aggirando i controlli che i regimi dittatoriali pongono sugli accessi a Internet. Se in passato la informazioni si ottenevano con servizi segreti, spie e infiltrati, oggi esiste il Web 2.0; strumento integrato nelle strategie di intelligence, psicologiche e militari americane. Durante la guerra in Libia, monitorando i social network dei ribelli, gli strateghi della Nato hanno aggiornato la lista degli obiettivi da colpire con gli aerei. Ma altra e pratica dimostrazione di come i media siano armi ormai determinanti in ogni scenario ci arriva dal successo dei candidati del Movimento Cinque Stelle. Tale forza politica si è costituita dal basso, intorno ad un blog, quello di Beppe Grillo, che poi, sempre sul web, si è consolidata ed affermata. Ora ha il suo primo sindaco e l’obiettivo dichiarato è quello di entrare in parlamento. Ma il “fenomeno Grillo” non è unico, né isolato. Il Partito Pirata è un movimento politico internazionale diffuso in numerosi Paesi (Spagna, Austria, Australia, Francia, Polonia, Russia, Belgio e Italia) e che in Svezia e Germania ha riscosso anche un discreto successo elettorale. Ma non solo. Nelle elezioni presidenziali francesi che hanno visto la vittoria di Hollande, entrambi i candidati hanno assunto un folto gruppo di under 30 che potessero sviluppare sul web il rispettivo marketing politico, pagandoli fra l’altro profumatamente. Se il quarto potere è quello dell’informazione, il web ne è ormai colonna portante, da cui non si può non prescindere. A volte funge da cassa di risonanza, altre volte anticipa e condiziona gli altri media. Inoltre, quando Guttenberg inventò la stampa, in pochi, anzi pochissimi sapevano leggere e scrivere. Nei primi anni del novecento il tasso di alfabetizzazione era intorno al 30%. Oggi, negli stessi territori, la percentuale di chi è “internettizzato” è prossima al totale. Internet incide sul Pil francese per 7,6%, mentre solo il 3% su quello italiano. Promuovere l’uso del wi-fi per tutti darebbe un’accelerazione decisiva allo sviluppo economico. Ma fino ad oggi, e nonostante gli annunci del governo sull’Agenda Digitale, in Italia ci è concentrati esclusivamente su un’azione di controllo, peraltro assolutamente abusiva, restrittiva e limitante. Come ad esempio la legge Levi, che obbliga le persone a registrarsi prima di effettuare l’accesso alla Rete. Ma la Rete nasce e si sviluppa dal basso, e come tutti i movimenti di questo genere, non può essere fermato, come uno scoglio non può arginare il mare. Sulla fenomeno virtuale, che si sostanzia nella realtà del web, la speranza è che l’Italia possa diventare protagonista. Ma per farlo è necessario che si metta al passo coi tempi, che cominci a pensare in un’ottica globale e che soprattutto la smetta di ragionare in termini di limiti, vincoli e che elimini lacci e lacciuoli che reprimono e impediscono nel breve periodo uno sviluppo delle potenzialità del nostro Paese. E’ una questione di spinte democratiche. Pensare di costringere la libertà di opinione all’interno di qualche decreto legge è solo una forma con cui il potere tenta di difendersi, arroccandosi sulle proprie posizioni. E’ necessario tenere da conto l’assoluta libertà e potenza della Rete. Senza apologie ed esaltazioni. Ma con la consapevolezza che, anche se represse, tali spinte “popolari” sono comunque destinate a riemergere e a farsi largo, magari rovesciando l’esistente, con grande perdita di energia. E di byte.

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