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L’Italia necessita di una “nuova coalizione”

La prima candelina del Berlusconi quater

Bene le emergenze, male la strategia, inesistenti le scelte strutturali

di Enrico Cisnetto - 14 aprile 2009

Mentre il Berlusconi quater si avvia a compiere un anno, l’attenzione si sofferma assai poco su quanto il Governo ha fatto fin qui – il mio giudizio sintetico è: bene le emergenze, male la strategia, inesistenti le scelte strutturali – e molto, invece, sulla metamorfosi del premier che sarebbe in atto e che avrebbe avuto un momento di svolta decisivo in occasione del terremoto.

“Per la prima volta mi sono sentito di rappresentare l’Italia, sono diventato il presidente degli italiani”, ha sentenziato il Cavaliere, con evidente riferimento ad un ruolo che non vuole più essere quello di Presidente del Consiglio bensì di Capo dello Stato, magari con i poteri tipici di una repubblica presidenziale.

Naturalmente, come spesso capita in Italia, la discussione non è seria ma ridicola: saranno vere o di coccodrillo le lacrime che ha versato in quel d’Abruzzo? Ai funerali di Stato ha fatto bene a stare tra la gente, per colmare la distanza che separa i cittadini dalle istituzioni, oppure è solo populismo da quattro soldi? E’ del tutto evidente che posta in questi termini la domanda se siamo o meno di fronte ad un “new premier” non può che ottenere risposte partigiane, nell’uno come nell’altro senso.

Ne è sufficiente domandarsi se la risposta dell’esecutivo di fronte al dramma aquilano sia stata tempestiva: un po’ perché il quesito è troppo condizionato dal clima retorico di queste ore – gli slanci di generosità che finalmente rendono gli italiani migliori, le iniziative di raccolta fondi che si moltiplicano perché fa tanto immagine, gli speciali televisivi a base di buonismo – un po’ perché il populismo che spinge i politici a “recarsi sul luogo” per esaltare il loro rapporto diretto con la gente potrà anche essere il segno di inedita capacità di tenere unito il Paese ma rischia di diventare anche il lavacro di ogni responsabilità.

No, è sul terreno più squisitamente politico che va esaminata la questione se siamo davvero di fronte ad un Berlusconi diverso, capace di dare una svolta ad un sistema politico che ha fallito persino quando gli elettori hanno dato con chiarezza (1996, 2001, 2008) un mandato certo e sicuro. E su quel terreno l’unico “reagente” che può darci una risposta inequivoca si chiama Lega. Per dirla brutalmente: se Berlusconi vorrà e saprà emanciparsi dalla Lega, allora potremo parlare di “new premier”, altrimenti saranno chiacchiere. Quanto, emanciparsi? Fino al punto di rinegoziare – anche attraverso elezioni anticipate – un diverso equilibrio di governo, in cui i moderati e i riformisti (cioè Pdl, Udc e parte del Pd) uniscano le forze, escludendo dalla maggioranza i populisti (Lega e Di Pietro).

Sì caro Cavaliere, se vuole davvero chiudere la sua parabola politica facendo il bene di quel Paese che Lei dice di amare, allora si metta alla testa di questa “rivoluzione”: butti a mare il bipolarismo becero che Lei stesso ha contributo a superare per dar vita ad un bipartitismo che sempre Lei ha per primo disconosciuto – certo Veltroni e la sinistra intera ci hanno messo del loro, bisogna ammetterlo – e in nome di una risposta finalmente strutturale alle tante (troppe) emergenze di cui l’Italia è affetta s’impegni a dar vita ad “nuova coalizione” di governo di cui Lei possa essere il padre ma non il padrone. Lo so, l’alleanza con Bossi è stata il filo rosso che ha tenuto insieme la sua intera esperienza politica, e quando come nel 1994 quel filo si è spezzato, Lei ha sempre avuto come primo obiettivo – oserei dire ossessione – quello di ricucirlo.

Ma questa alleanza è stato anche il limite più grosso del suo agire, specie quando ha indossato i panni del premier: dalla pratica di quel localismo esasperato che è stato chiamato federalismo – che ha significato più costi, più burocrazia e meno decisioni per via dei diritti di veto dati anche all’ultimo dei sindaci o ai presidenti dei comitati di quartiere – alle forme più disparate di protezionismo (quote latte, l’ultimo) e di conservatorismo (province), per non parlare di un becero provincialismo che ha contagiato anche il nostro capitalismo (difeso del piccolo e del locale a tutti i costi) proprio quando la globalizzazione richiedeva ben altre aperture, ebbene tutto questo l’Italia (e quindi anche Lei, caro Presidente) lo deve alla Lega.

Proprio in queste ore, Lei ha misurato tutto il peso della pretesa egemonica – e in questo politicamente “ricattatoria” – della Lega, e sappiamo che se ne è lamentato. Anzi, ha mostrato di reagire, come nel caso della “vicenda referendum” o come dimostra il voto parlamentare che ha fatto imbestialire il ministro Maroni. Bene. Ma non trasformi tutto questo in scaramucce, che peraltro agli occhi degli italiani appaiono beghe. Non servirebbe a nulla. Faccia, invece, quel passaggio epocale di cui ho detto. E con quello si guadagni la passerella (inevitabilmente rossa) che porta al Quirinale.

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